Circa 15 mesi fa (praticamente ieri) Nvidia festeggiava il raggiungimento di una “market cap” di $ 1MD,entrando a far parte del ristretto “club” delle società con una capitalizzazione superiore al miliardo.
Ieri, dopo l’ulteriore + 3% fatto segnare a Wall Street, “svetta” a $ 3.336 MD, leader assoluta di mercato. Una progressione inarrestabile, “termometro” di quanto sta accadendo intorno all’AI. Ormai, come da tempo in molti sostengono, la società numero uno al mondo nella realizzazione di “super chip”, con costi unitari che possono arrivare anche a $ 70.000, come nel caso del Blackwell Superchip, è considerata un vero e proprio “benchmark” di mercato: e come tutti i benchmark è un riferimento fondamentale per un settore che, giorno dopo giorno, continua a crescere a ritmi non sostenibili in nessun altro campo. E pensare che la società oggi forse più conosciuta al mondo (senza dubbio la più citata) nel 1992 non esisteva ancora: risale, infatti, a quell’anno la sua nascita da parte di 3 scienziati informatici, tra cui Jensen (o Jen-Hsun) Huang, l’attuale Presidente e AD, operando, però, nell’ambito della grafica digitale. Solo una decina di anni dopo si è avvicinata (il passo, in realtà, è stato più breve di quanto si pensi) alla produzione di chip destinati all’intelligenza artificiale. Per arrivare, 2 anni fa, alla nascita di ChaptGPT, la vera svolta del mercato, che da quel momento non si è più fermato. Definirla “moda del momento” è certamente fuori luogo: oramai, a livello globale, per non parlare dei comportamenti individuali, rinunciare all’AI equivale a rinunciare ad una parte consistente del business e delle opportunità che ne possono derivare. E’ diventata, quindi, con tutta probabilità, il maggior contributore alla crescita che si conosca. Normale, quindi, che tutto ciò che “ruota” intorno a lei cresca senza tregua.
Ma non di sola Intelligenza Artificiale vive il mercato.
Si è molto parlato, in queste ultime settimane, nel nostro “piccolo” (intendendo per tale il mercato borsistico domestico, che, ricordiamolo ancora una volta, è proprio “piccolo”, visto che vale meno dell’1% del mercato globale – e pensare che siamo tra le 8 maggiori economie al mondo), della quotazione (peraltro riservata solo alla clientela istituzionale) di un marchio italiano, nel settore della moda, molto conosciuto tra i giovani, che produce sneaker “personalizzabili” (certamente non alla portata di tutti, visto che si parla di prezzi vicini ai 500€…). Parliamo di Golden Goose, nata nel 2000 a Venezia.
E’ notizia di oggi, invece, che l’IPO (Offerta Pubblica Iniziale) è stata sospesa in considerazione della “volatilità” dei mercati fatta segnare negli ultimi giorni.
In realtà le motivazioni potrebbero essere anche altre: due in particolare.
La prima legata al “prezzo” a cui sarebbe avvenuta l’offerta. Il titolo, infatti, avrebbe dovuto attestarsi intorno a € 9,75 per azione: un valore che, pur se nella parte bassa della “forchetta” (inizialmente si era parlato di valori anche superiori), avrebbe “valorizzato” la società tra € 1,7 e 2 MD. Ma quello che forse ha “bloccato” l’azionista di riferimento, promotore dell’operazione (il Fondo di private equity Permira) è la certamente non brillante esperienza che lo ha visto protagonista nella quotazione di un altro “player”, per molti aspetti simile: nel 2021, infatti, ha collocato, sul mercato londinese, Dr. Martens, la società celebre per le sue calzature: da quella data, il titolo ha perso quasi l’80% del proprio valore, senza riuscire a riprendersi. A penalizzarlo il fatto che si tratta, sostanzialmente, di un brand “monoprodotto”, che quindi concentra le sue “revenues” solo dalla vendita di “quel” prodotto. Né più né meno di Golden Goose (il 90% deriva dalle sneaker): con l’aggravante che si tratta di un bene non alla portata di tutti (e già questo riduce la platea dei potenziali consumatori) e, questo inequivocabilmente, “figlio” sì di una “moda”. Quindi indubbiamente le montagne russe (dei mercati) di questi giorni hanno indotto a qualche riflessione, ma probabilmente, è il caso di dire, non tutti i mali vengono per nuocere: e qualche segnale era arrivato ai promotori dell’operazione, come per esempio il fatto che da parte degli operatori erano si arrivate richieste superiori al numero di titoli offerti, ma non in maniera così convinta e soddisfacente.
Ciò che più conta, peraltro, è che anche i ieri (e questa mattina, da quanto è dato vedere sulle piazze asiatiche e sulle piazze future), è continuata la “normalizzazione” dei mercati dopo “l’imbarcata” post-elettorale scatenata dal “macronismo” (che indubbiamente, a prescindere dalla fede politica, ha avuto il merito di riportare, senza dubbio in Francia, ma anche in Europa, la “questione politica” al centro della discussione, ricordando a tutti che il futuro – di tutti – passa dalle scelte politiche che siamo chiamati a fare).
L’ennesimo record (il 7° in 7 giorni) del Nasdaq fa si che il mercato tecnologico per eccellenza asiatico (l’Hang Seng di Hong Kong) questa mattina mostri segnali che denotano un’ottima salute, con un rialzo del 2,62%.
Molto più contenuta la crescita del Nikkei giapponese (+ 0,17%), mentre è “sfumato” il rimbalzo a Shanghai, con il mercato che flette dello 0,30%.
In rialzo, a Seul, il Kospi (+ 1%) e, a Taipei, il Taiex (+ 1,5%).
Futures al momento piatti, senza una direzione precisa.
Segnali di forza da parte del petrolio, con il WTI tornato, dopo diverse settimane, sopra i $ 80 (80,66).
Gas naturale Usa a $ 2,927.
Oro stabile, a $ 2.344 (- 0,19%).
Si stabilizza anche lo spread, questa mattina a 149,2 bp.
BTP al 3,89%, in marginale recupero.
Bund 2,40%.
Treasury al 4,22%, in ulteriore recupero.
Oat francesi sempre “in quota”, al 3,17%, con uno spread verso bund dello 0,77%.
€/$ a 1,074.
Bitcoin ancora intorno a $ 65.000 (65.488).
Ps: dal 1999, negli USA, si celebra la “National Take Your Dog to Work Day”, una specie di “open day” in cui i proprietari di cani possono portarlo con sé in ufficio. Anche da noi si festeggia qualcosa di simile, con la Giornata mondiale del cane, con la ricorrenza che cade l’ultimo o il penultimo venerdì di giugno (quindi tra 2 giorni). Ormai è noto a tutti che la compagnia di un animale domestico (soprattutto i cani) fa piuttosto bene. Stando ad una delle tante statistiche, secondo i lavoratori portare il proprio cane al lavoro migliora l’umore e il clima dell’ufficio (il 47% degli intervistati), diminuendo lo stress (42%) e favorendo le occasioni di contatto con i colleghi (40%). E poi stimola la creatività (31%) e favorisce la produttività (27%). Verrebbe voglia di rendere la Giornata mondiale non un ricorrenza annuale, ma un’abitudine quotidiana…