A quanto pare, quindi, gli “auguri” natalizi di Powell non sono stati così graditi o, per lo meno, non sono stati all’altezza delle aspettative.
Questo il verdetto di ieri, almeno per quanto riguarda i mercati americani, che hanno registrato uno dei ribassi più decisi dell’anno (Dow Jones – 2,58%, Nasdaq – 3,56%, S&P 500 – 2,95%): percentuali da brividi.
Eppure la FED, nel comitato di ieri, non è “rimasta a guardare”: la nuova “sforbiciata” (– 0,25%) è arrivata puntuale, esattamente come gli operatori avevano previsto e i mercati si aspettavano.
A dominare la scena, quindi, ancora una volta, non è tanto il “qui e ora” (per i mercati, evidentemente, in quanto “acquisito”, è già passato), quanto quello che ci attende. E qui qualcosa, evidentemente, “è andato storto”. Attenzione, nulla di così stravolgente o così pesantemente negativo, ma quanto basta per far cambiare l’umore e far vedere il mare un po’ più increspato.
Ma andiamo con ordine.
Fino a ieri, ci si aspettava che la Banca Centrale Americana avrebbe “tagliato” almeno 4 volte nell’anno che sta per arrivare, portando, in questo modo, i tassi al 3,25-3,50% dall’attuale (dopo il ribasso di ieri) 4,25-4,50%.
L’inflazione “attesa” era, per fine 2025, intorno al 2% (e quindi al “target”). Ancora sostenuta la crescita, con un’economia che dovrebbe viaggiare sopra il 2% e un livello di disoccupazione che si attesta al 4,3%.
E’ successo, invece, che il Presidente Powell abbia dichiarato, a margine della conferenza stampa succeduta al Comitato, che molto probabilmente i tagli, l’anno prossimo, non saranno più 4, bensì soltanto 2, nell’ordine dello 0,25% cadauno, per cui i tassi dovrebbero “atterrare” al 3,75-4% per fine 2025. Il motivo? Innanzitutto, un’inflazione più resiliente del previsto, con i prezzi che fanno più fatica a scendere. Ragion per cui il nuovo “fix” è stato aggiornato al 2,5% , in leggera crescita dal 2,4% con cui si dovrebbe chiudere l’anno in corso. Per poi scendere al 2,1% nel 2026 e, finalmente, passare al 2% nel 2027.
Di contro, la crescita dovrebbe essere leggermente sopra le precedenti rilevazioni, portandosi al 2,5% per il 2025, per poi scendere, per il biennio successivo, al 2,1%.
Il tutto con un livello di disoccupazione che dovrebbe mantenersi al 4,3% per i prossimi 3 anni, non lontano dai minimi del 3,7/3,8% fatti registrare nei mesi scorsi.
Se la “mission” della FED, come lo stesso Powell ha nuovamente affermato anche ieri, è la stabilità dei prezzi e il raggiungimento della massima occupazione, quest’ultima vera “ossessione” americana, ecco che il comunicato post-riunione appare come la “via obbligata” in cui muoversi: la crescita prosegue in maniera costante, mantenendo “in quota” i consumi, che, a loro volta, “sostengono” i prezzi. Mantenere una politica monetaria più restrittiva è il modo più “scolastico” per raggiungere l’obiettivo.
Certamente, poi, non è sfuggito a nessuno che sullo sfondo rimane “l’incognita Trump”, con cui la FED dovrà, probabilmente, fare i conti e che, quasi certamente, ha spinto Powell a mettere “le mani avanti”, togliendo qualche certezza a chi puntava sull’all-in. Come dire: attenzione a “spingere” troppo sull’acceleratore della crescita, con politiche dichiaratamente espansive (ripetiamole ancora una volta: detassazione per le aziende della “Corporate America” con siti produttivi domestici, aumento del debito pubblico) che si aggiungono al protezionismo dei dazi, che farebbe aumentare i prezzi di diversi prodotti. Una “dualità” che sottintende un confronto che potrebbe anche essere, in alcuni momenti, piuttosto acceso, tra Powell e Trump, con il secondo che accuserebbe il primo di voler mettere freno alla realizzazione del nuovo “sogno americano”, il Make America Great Again che tanto ha inciso sull’elezione del nuovo Presidente.
Fatto sta che qualcuno, nei minuti che hanno fatto seguito alla decisione della Banca Centrale, arrivata un paio d’ore prima della chiusura delle contrattazioni, ha pensato bene di “alleggerire”, prendendo beneficio e chiudendo alcune posizioni. Una scelta che appare dettata dal voler “prepararsi” alle vacanze di Natale, rimandando le scelte d’investimento a gennaio, quando si dovrebbe avere una maggior “contezza” di quello che vorrà fare Trump, e non dal subentro di preoccupazioni per eventuali “rovesci” che potrebbero verificarsi (e che, come successo ieri sera, senza dubbio ci saranno, soprattutto laddove dovessero emergere dati non così brillanti).
Questa mattina le borse del Pacifico non danno segnali di particolare nervosismo.
Per quanto a dominare sia il “colore rosso”, i cali non sono così accentuati. A Tokyo il Nikkei perde circa lo 0,7%; a Hong Kong l’Hang Seng arretra dello 0,28%, mentre Shanghai fa segnare – 0,36%.
Ben più pesante, a Seul, il Kospi, che scivola dell’1,95%.
Taiex Taiwan – 1,02%.
ASX200 si Sidney – 1,70%.
Attorno alla parità di futures: leggermente negativi (– 0,10%) in Europa, dove sembra abbiano assorbito molto bene l’arretramento di Wall Street, appena positivi negli USA.
Leggero calo per il petrolio, con il WTI a $ 69,64 (- 0,64%).
Gas naturale Usa $ 3,467 (+ 2,58%).
Oro a $ 2.629, – 1%.
Spread a 124 bp.
BTp 3,40%.
Bund 2,16%.
Treasury nuovamente venduti, con il rendimento che sale al 4,52%.
€/$ a 1,040: le previsioni di tassi più alti mantengono “in quota” il $.
Perde slancio il Bitcoin, che riporta verso i $ 100.000 (101.610).
Ps: Tony Effe. Carneade, chi è costui? Questa la domanda che, sino a ieri, si sarebbe posta la maggior parte dei cittadini italiani (in età adulta….) se qualcuno avesse posto quesiti sulla sua identità.
Da ieri, probabilmente, sono molti di più quelli che lo conoscono, indicando la sua attività (è un rapper). Ancora una volta si conferma la regola che, nel momento in cui, si vuole “cancellare” la presenza di qualcuno, artista o no che sia (nel caso specifico, la sua partecipazione, dapprima concessa da parte dell’amministrazione capitolina, al concerto di Capodanno al Circo Massimo) – in questo caso con l’aggravante di un provvedimento che sa di censura – si ottiene il risultato opposto, con una notorietà che si diffonde improvvisamente e la solidarietà di altri artisti, che prendono le distanze da chi ha assunto la decisione, fino quasi a far apparire chi l’ha subita, quasi una “vittima designata”. Fatto sta che oggi Tony Effe, oltre a salutare, ringrazia il sindaco di Roma: e questa non è neanche “pubblicità occulta”. E’ pubblicità e basta.