Santiago de Compostela, il capoluogo della Galizia, è famosa in tutto il mondo per la sua cattedrale, dove sarebbero custodite le reliquie dell’Apostolo San Giacomo il maggiore, e per aver dato il nome al cammino, una rete di percorsi che, partendo dalla Francia, attraverso la Spagna (ma anche il Portogallo), permettono di raggiungere la località religiosa. Una tradizione iniziata nel Medioevo e che continua ancora oggi, riversando migliaia di pellegrini nella località galiziana, dopo aver utilizzati vari percorsi (il più lungo è quello originario, che parte dalla Francia, che si dispiega per oltre km 781, mentre probabilmente quello più “battuto” è quello che, partendo da Oviedo, si snoda per km 320).
Il Cammino di Santiago de Compostela, richiede innanzitutto tempo (mediamente si impiegano 14 giorni per percorrere il percorso da 320 km), un minimo di allenamento (non si percorre di corsa ma camminando, ma non per questo non è stancante), altrettanta programmazione (vanno studiate le tappe e le località di ristoro) e volontà ad arrivare sino in fondo. Non è, ovviamente, una gara: le motivazioni, quindi, non sono di carattere sportivo, ma trovano origine, oltre che nella conoscenza di un pezzo di storia, nella fede cristiana, sufficientemente forte per permettere di sopportare sacrifici e fatica (oggi è diventata, pur conservando le caratteristiche che lo hanno tramandato nei secoli, una meta turistica, con, per chi le volesse, tutte le comodità del caso, ma nei secoli scorsi aveva un significato religioso fortissimo).
Proprio la cittadina nel nord della Spagna ha ospitato, durante questo week-end, la riunione dell’Ecofin, l’organismo che riunisce i Ministri delle Finanze degli Stati membri dell’Unione Europea (la Spagna, per questo semestre, “presiede” il Governo europeo). La scelta della località, quindi, è stata fatta dalla Spagna, ma è impossibile non trovare dei “paralleli” con la situazione in cui si trova l’Europa.
Anche la Ue si trova ad affrontare, in questa fase, un percorso per il quale sono richiesti tempo, programmazione e volontà comune di arrivare alla metà, sapendo, però, che “l’allenamento” dei singoli Stati membri è diverso e, pertanto, quasi sicuramente qualcuno chiederà più di altri di fare una pausa per prendere fiato e far riposare le gambe.
L’obiettivo della riunione non era quello di arrivare ad una conclusione (per quella ci vorrà tempo e si giocherà ai “massimi livelli”, con la discesa in campo dei Capi di Stato e di Governo e delle massime autorità europee), ma quello di “gettare le basi” per superare gli ostacoli (diversi) che rendono difficile il percorso. In primis la nuova entrata in vigore del patto di stabilità dal 1° gennaio prossimo, forse l’argomento più importante di cui si è discusso, con l’Italia in prima linea per riuscire ad individuare una soluzione “morbida”. Secondo alcune fonti, sembrerebbe che l’ipotesi di non tener conto, sino al 2026, delle spese militari legate agli aiuti all’Ucraina e al piano PNRR, come proposto dal nostro Ministro Giorgetti, abbia raccolto più di una risposta favorevole. La cosa, ovviamente, per l’Italia “fa la differenza”, mettendoci al riparo dal rischio di reprimende e sanzioni da parte della Commissione europea. Mentre su altri temi (vd MES) gli spazi di manovra sembra ben più ristretti (siamo l’unico Paese che non ha ancora ratificato il Fondo Salva Stati).
Sullo sfondo rimane lo spettro di un debito pubblico che dovrà fare i conti con uno spread destinato molto probabilmente a salire, in considerazione anche dell’immissione sul mercato, da parte della BCE, delle prime tranche di titoli governativi (fino all’anno scorso, con i vari piani – Pepp, QE – succedeva il contrario, come tutti ben ricordiamo), con il costo per interessi che già quest’anno potrebbe superare € 100 MD. Un cifra enorme, che da sola vale 3 – 4 manovre finanziarie…(ecco cosa vuol dire avere un rapporto debito/PIL del 140%….).
La settimana si apre con i mercati asiatici a “scartamento ridotto”, vista la chiusura per festività di Tokyo.
A Hong Kong l’Hang Seng è in ribasso di circa l’1% mentre Shanghai segnala un rialzo di circa mezzo punto, in scia al settore immobiliare.
In ribasso le altre piazze asiatiche (Seul – 0,8%, Sidney – 0,6%, Mumbai – 0,3%).
Indicazioni positive dai futures, ovunque con il segno più.
Non si ferma il petrolio, con il WTI ormai abbondantemente sopra i $ 90 (91.66, + 0,88%).
Gas naturale Usa a $ 2,635.
Ora a $ 1.932 (+ 0,15%).
Spread a 177,3: secondo Citi Group potrebbe, nel giro di poche settimane, spingersi verso i 190 bp, trascinando verso l’alto i rendimenti dei ns governativi.
Questa mattina il BTP riparte da 4,45%, mentre il bund si posiziona a 2,67%.
Treasury a 4,32%.
€/$ a 1,0669.
Bitcoin a $ 26.684 (+ 0,58%).
Ps: secondo l’INPS, in Italia i lavoratori poveri non superano le 20.300 unità, vale a dire un quasi impercettibile 0,2% del totale. L’Istat (quindi il più importante istituto di statistica del nostro Paese), invece, sostiene che sono quasi 3 ML. Una differenza non da poco, le cui motivazioni vanno ricercate sostanzialmente in 2 fattori. Uno relativo alla retribuzione oraria minima: secondo l’Istat va messa a € 9, mentre per l’INPS si posiziona a € 7,5. L’altro sul periodo che viene preso in considerazione: per l’INPS “conta” solo chi lavora per tutto l’anno, mentre per l’Istituto di ricerca si guarda all’intera retribuzione annua (composta, quindi, anche da chi un anno non lavoro). A conferma, comunque, della necessità di arrivare a definire un salario minimo da tutti riconosciuto.