Il dilemma, più o meno, è sempre lo stesso: bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?
Ancora una volta, dopo la decisione (scontata) della BCE di tagliare di altri 25 bp i tassi, portando il costo del denaro al 3,25%, l’attenzione si concentra sulle parole e sulle sfumature del discorso pronunciato dalla Presidente Lagarde.
Con l’inflazione europea scesa, a settembre, all’1,7% (dal 2,2% in cui si trovava non più tardi di agosto, esattamente come in Gran Bretagna), non proseguire sulla strada dei tagli probabilmente avrebbe avuto conseguenze piuttosto negative, a cominciare dalla presa di distanza di molti Governi e ancora di più da parte del mondo imprenditoriale. La decisione è stata presa, invece, all’unanimità, votata anche da quei banchieri solitamente più “ostili” al “lassismo” monetario (vd Germania e Olanda), da sempre portavoci del “rigore”.
Bicchiere, quindi, “mezzo pieno” se lo guardiamo dal punto di vista dell’inflazione e dei vantaggi che ne derivano per imprese e famiglie, i cui oneri sul debito proseguono sulla strada della riduzione, permettendo di dirottare risorse verso gli investimenti da una parte e i consumi dall’altra. E’ evidente che, al di là delle raccomandazioni per un ipotetico “fuoco di paglia” (che assumono il ruolo di parole di rito, quasi a non far passare per esagerato l’ottimismo sul tema), la battaglia sui prezzi, dalle parti di Francoforte si considera vinta, avendo, di fatto, già raggiunto il “livello target”, fissato, ricordiamolo ancora una volta, al 2%. Infatti, nella sua conferenza stampa, la Lagarde ha ribadito che l’inflazione, nell’arco del 2025, dovrebbe assestarsi su quel livello.
Bicchiere, purtroppo, “mezzo vuoto” se invece lo guardiamo dal lato dell’andamento economico dell’area €.
I dati confermano, infatti, che l’Europa è “in mezzo al guado”, non riuscendo a “cambiare marcia”. Si trova, quindi, a fare i conti con una crescita non certa soddisfacente (non si arriva all’1% su base annua), facendo dire alla stessa Lagarde che “è un po’ più debole di quanto avessimo previsto”. Colpa, ancora una volta, soprattutto della Germania, ormai destinata al secondo anno di fila di recessione (ecco spiegato il “game changing” di Joachim Nagel, il Governatore tedesco, in merito alla riduzione dei tassi).
Parafrasando uno dei luoghi comuni più noti (“non esistono più le mezze stagioni”, come forse le piogge milanesi di questi giorni possono far pensare), si potrebbe dire che lo stesso discorso vale anche per la politica monetaria. Infatti, dopo aver assistito al più rapido rialzo dei tassi di cui il mondo avesse memoria (11aumenti consecutivi per la FED tra il 2022 e il 2023, 9 per la BCE), si sta aprendo (per l’Europa si è già aperta, essendo già al 3° taglio dal giugno scorso, mentre la FED è ferma ad 1 – anche se dello 0,50% – ma lì, lo sappiamo, ci sono fattori “endogeni” a brevissima scadenza piuttosto importanti….) una fase completamente diversa, che probabilmente porterà al verificarsi esattamente di condizioni opposte. L’obiettivo è chiaro: ridurre il gap che separa le 2 aree più sviluppate al mondo, con gli USA che continuano ad inanellare risultati “stellari” (crescita intorno al 3%, disoccupazione al 4,1%, vicina ai minimi storici, creazione di nuovi posti di lavoro quasi sempre oltre le previsioni degli analisti, vendite al dettaglio salite nell’ultimo mese dello 0,4%, etc) e l’Europa costretta ad “inseguire”, con produzione in calo, magazzini che si riempiono di merce, conti pubblici in sofferenza.
Un dato più di altri può aiutare a comprendere come l’umore, da parte dei cittadini europei, non sia dei migliori: è tornata ad aumentare, infatti, e non di poco, la tendenza al risparmio da parte delle famiglie. Un fenomeno che aveva conosciuto la massima espansione nel periodo del Covid (ma lì le ragioni erano dovute all’impossibilità di spendere), per poi riprendersi sin quasi a “dar fondo” ai risparmi accumulati. Oggi, invece, sono le “preoccupazioni per il futuro” a spingere in consumatori a preferire l’accantonamento piuttosto che alla “messa in circolo del denaro”, il cui ruolo, invece, è determinante per la crescita. Né sono sembrate sufficienti le affermazioni della Lagarde, che, sempre nella conferenza stampa di ieri, ha voluto sgombrare il campo dai rischi di una recessione incombente.
“Aria di festa” ieri sui listini europei e statunitensi dopo l’annuncio del taglio da parte della BCE.
Più consistenti i rialzi in Europa, con diversi indici intorno al + 1% (Ftse MIB + 1,09%), mentre dall’altra parte dell’oceano non si è andati oltre il + 0,37% del Dow Jones.
Il buon umore sembra voler continuare questa mattina sui mercati asiatici.
Più che il Giappone, con il Nikkei in lieve rialzo (+ 0,18%), a festeggiare sono i listini cinesi, nonostante i dati pubblicati nella notte, con l’economia cinese cresciuta, nell’ultimo trimestre, del 4,6% su base annua, contro una previsione del 4,7%, e che allontana l’obiettivo di una crescita annua del 5%. Ci si aspetta, quindi, una serie di provvedimenti governativi per spingere sull’acceleratore della crescita.
Shanghai sale del 3,46%, ancora meglio, seppur di poco, l’Hang Seng di Hong Kong, a + 3,54%.
Molto bene anche il Taiex di Taiwan (+ 1,88%), mentre rimane “al palo” il Kospi di Seul (- 0,57%).
Futures al momento poco mossi, in posizione di attesa.+
Leggera ripresa per il petrolio (WTI $ 71,19, + 0,64%).
Gas naturale Usa sempre più su, a $ 3,209 (+ 0,92%).
“Rompe” la resistenza di $ 2.700 l’oro, che si porta a 2.721 (+ 0,43% questa mattina), nuovo record di sempre.
Sempre più giù, invece, lo spread, a 119 bp, il minimo da 3 anni.
BTP al 3,40%.
Bund stabili, al 2,21%.
Treasury Usa vicini al 4,10% (4,095).
Si mantiene vicino ai massimi di periodo il $, a 1,0849 vso €.
Bitcoin ancora sopra i $ 68.000 (68.350): se, come molti analisti oramai lo considerano, lo prendiamo come un indicatore della “predisposizione al rischio”, potrebbe significare che anche oggi la giornata sui mercati potrebbe essere favorevole.
Ps: tempio di profonda crisi per l’automotive, con le case automobilistiche che si ritrovano a misurarsi con numeri non propriamente positivi. Ma…(c’è sempre un ma). La Ferrari ha messo in produzione la F80, supercar da 1.200 cavalli (l’ideale per “saltare” le code in città). Produzione che sarà limitata a 799 esemplari, ovviamente andati subito esauriti. Costo? € 3,6 ML, che consentirà alla casa di Maranello di realizzare un fatturato, solo con questa macchina, di oltre € 3 MD. Ma di quale crisi si sta parlando….?