There Is No Alternative (TINA) è stato, fino a circa 18 mesi, quando le manovre restrittive delle Banche Centrali hanno modificato il paradigma dei “tassi a zero”, uno degli acronimi più noti: stava a significare che non c’erano alternative agli investimenti azionari, visto il perdurare delle politiche espansive, fortemente penalizzanti per quasi tutti gli altri asset, in grado, invece, di spingere le quotazioni di molti titoli ben oltre i valori oggettivi.
Lo stesso slogan, oggi, si piò dire sia valido per quanto riguarda la discussione sul debito pubblico americano, una “voragine” di $ 31.400 MD, in realtà superata di qualche miliardo nelle scorse settimane grazie ad alcuni “escamotage” da parte del Tesoro Usa. Un accordo è l’unica via di uscita, almeno stando alle parole del Presidente Biden, che ha confermato che accorcerà in viaggio in Asia, dove interverrà al G7 in Giappone, mentre invece verrà annullato il viaggio in Australia, per permettere, appunto, che i negoziati procedano in maniera più spedita. Da più parti arrivano segnali allarmanti: Goldman Sachs, per esempio, ha stimato che un mancato accordo porterebbe alla paralisi di un decimo dell’attività economica, con 3 milioni di posti di lavoro che sarebbero da subito persi. A quel punto la recessione non sarebbe soltanto un’ipotesi, ma si trasformerebbe in una drammatica realtà, e non solo per il la prima potenza mondiale.
Se così fosse, anche il nuovo record toccato dal debito globale sarebbe “storia vecchia”. Nel 1° trimestre dell’anno, il debito complessivo, a livello globale, di Stati, famiglie, imprese, banche è cresciuto di altri $ 8.300 MD, arrivando all’incredibile cifra di $ 304.900 MD, invertendo una tendenza che si era manifestata negli ultimi mesi. Il PIL mondiale è stato, nel 2022, pari a circa $ 102.000 MD: tradotto, vuol dire che il rapporto debito/PIL ha raggiunto il 334%, una percentuale che fa capire che rientrare in limiti più “umani” sarà un’impresa titanica.
A preoccupare maggiormente la situazione dei Paesi emergenti, in cui si sono superati i $ 100.000 MD, costretti ad “approvvigionarsi” a tassi ben superiori e, fatto forse ancora più grave, non più in valuta locale ma in $, con il rischio di trovarsi, tra qualche tempo, a rimborsare il debito per un valore molto maggiore.
In questo contesto l’Italia riesce quasi a fare bella figura. Il valore del debito domestico complessivo è pari, infatti, al 284%, in calo di ben 75 punti rispetto ai picchi fatti registrare nei mesi immediatamente successivi alla pandemia. Numeri resi possibili da un andamento economico che ha portato il PIL a crescere, per un paio di anni, a ritmi da Paese emergente.
Comunque, la domanda viene spontanea: come sarà possibile, producendo un reddito di $ 102 trilioni, rimborsare debiti per $ 305 ML, soprattutto pensando a un mondo in cui l’invecchiamento della popolazione sarà sempre più diffuso, con un evidente aumento dei costi sanitari e del welfare in aggiunta ai tantissimi altri costi che gli Stati e le famiglie si troveranno ad affrontare.
Le dichiarazioni del presidente Biden in merito alla necessità di trovare un accordo hanno dato un impulso non banale alle quotazioni di Wall Street: non a caso ieri sera tutti gli indici hanno chiuso ai massimi di giornata, con rialzi ben superiori all’1%. Il Down Jones è cresciuto dell’1,24%, il Nasdaq dell’1,22%, lo S&P 500 dell’1,19%.
Questa mattina le borse del Pacifico stanno raccogliendo “l’invito”, allineandosi ai rialzi americani.
A far la parte del leone, ancora una volta (e per il 5° giorno consecutivo) il Giappone, con il Nikkei che sale dell’1,63%.
Più cauti, dopo un avvio spumeggiante, gli indici Great China, con Shanghai poco sopra la parità (0,14%) e Hong Kong (indice Hang Seng) a + 0,47%.
In rialzo anche Corea, Australia e India.
Futures appena negativi a Wall Street, mentre quelli europei sembrano intenzionati a recuperare la giornata poco mossa di ieri, con rialzi nell’ordine dello 0,40/50%.
Dopo il recupero di ieri, questa mattina il petrolio segna il passo, con il WTI che perde lo 0,54%, confermandosi, comunque, sopra i $ 72 (72,51).
Gas naturale Usa fermo a $ 2,37.
Chi non sta fermo, invece, è l’oro, tornato ampiamento ($ 1.982) sotto la soglia dei $ 2.000.
In recupero lo spread, che si ferma a 183 bp, con un decennale che rende il 4,19%.
Bund a 2,35%.
Treasury a 3,56%. Oggi sono attesi i nuovi dati sui sussidi di disoccupazione, con gli analisti che si attendono 254.000 nuove richieste.
In rafforzamento il $, che si porta a 1,0832 vso €.
Bitcoin che torna, senza “strafare”, sopra i $ 27.000 (27.187).
Ps: secondo il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, i crediti erariali non riscossi e non riscuotibili ammonterebbero a circa € 1.153 MD. Ricordiamo che il nostro debito pubblico ne vale circa 2.800: solo incassando quel credito passeremmo a 1.650 MD, con il rapporto debito/PIL che scenderebbe all’86%. Più o meno come la Germania. Le cose, a quel punto, sarebbero, e non di poco, un po’ diverse: per il nostro Paese e per ognuno di noi.