La notizia relativa al calo della popolazione cinese non si limita solo ad una mera analisi demografica, ma, in considerazione del “peso” di quel Paese, apre riflessioni sui futuri equilibri mondiali.
Per la 1 volta dal 1961 i decessi hanno superato le nascite, facendo passare la popolazione da 1,4126 MD (dato 2021) a 1,4118 di fine 22, con un tasso di natalità sceso a 6,77 ogni mille abitanti, dal 7,52 dell’anno precedente, ma soprattutto il dato più basso dal 1949, quando Mao Zedong proclamò l’avvento della Repubblica popolare. Le nascite nell’anno che si è appena chiuso sono state 9,56 ML, il 9,98% in meno rispetto all’anno precedente. Di questo passo si calcola che già nel prossimo mese di aprile (si sa anche il giorno: secondo l’Onu sarà il 14 aprile) l’India supererà la Cina, toccando 1.425.775.850 (mah, chissà a che ora nascerà il piccolo che permetterà a New Delhi di superare Pechino…).
Si prevede che da qui al 2.050 la popolazione cinese calerà di oltre 109 milioni, 3 volte tanto le stime del 2019, e addirittura di 800 milioni entro il 2.100. Questa sì una cifra apocalittica, che riporterà l’orologio indietro di secoli: nel 1750 la Cina totalizzava 225 milioni di abitanti, pari al 25% della popolazione mondiale. Numeri oggi ben diversi, visto che abbiamo superato gli 8 miliardi e tra non molto saremo più di 10 MD.
Passando ad analisi di carattere socio-economico, la situazione suona come un campanello d’allarme non irrilevante. Ancora oggi esistono 600.000 cinesi con un reddito mensile di 1.000 yuan (circa 136 €). In una città di medie dimensioni (per non parlare di megalopoli come Shanghai) il costo della vita fa sì che i matrimoni continuino a diminuire, mentre una famiglia del ceto medio non è disposta al ridimensionamento della propria qualità di vita allargando la famiglia (a conferma il dato sugli investimenti immobiliari, in calo del 10%, oltre di quello delle vendite “per superficie” degli immobili, scese del 24%). Forse anche come conseguenza dell’onda lunga del figlio unico, fino al 2016 imposta dal Governo, preoccupato per una crescita modesta della ricchezza individuale, oltre che per la preoccupazione di non essere in grado di accompagnare con le dovute riforme e le più adeguate strutture (dalla sanità all’istruzione) una crescita demografica che sembrava senza freni. A questo si accompagna un invecchiamento della popolazione ben più rapido di quanto si pensasse: a fine 2022 gli ultra sessantenni era 280 ML, contro i 267 ML dell’anno precedente (18,9% della popolazione), mentre gli ultra sessantacinquenni sono quasi 210 ML contro i 200ML del 2021 (14,85%). Si può ben capire come il “combinato disposto” minori nascite-aumento delle aspettative di vita (78,2 anni) non possa non avere impatti su un andamento economico certo già oggi non brillante per le abitudini del Paese. Ad oggi l’età pensionabile è 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne (che scende a 50 per le operaie). I cinesi in età da lavoro sono oggi 875,56 ML, pari al 62% della popolazione, in continuo calo ormai dal 2013, quando è stato raggiunto il picco, grazie al così detto “dividendo demografico”, vale a dire il potenziale di crescita economica favorito dall’aumento della popolazione in età lavorativa. Nel 2050 l’età media della forza lavoro sarà di 51 anni, ben di più rispetto ai 39 anni attuali: in considerazione dell’età pensionabile, di cui si è detto sopra, se le cose dovessero continuare invariate si prevede che nel 2035 molti fondi pensione saranno costretti ad arrendersi.
Situazione opposta, invece, per l’India, dove da qui al 2040 la popolazione in età di lavoro crescerà di 134,6 ML, raggiungendo una percentuale pari al 65% della popolazione. Il che, però, vista la situazione in cui si trova il Paese, dove le differenze sociali sono ancora oggi incredibili, non è detto che possa essere sinonimo di risoluzione dei problemi.
La giornata si apre con la borsa giapponese in forte rialzo (+ 2,50%) grazie alla conferma, da parte della Bank of Japan, delle politiche monetarie accomodanti (al momento unica tra le grandi Banche Centrali), lasciando invariati i tassi e il meccanismo di “controllo della curva”, mentre continua il piano di riacquisto di titoli, che potrebbe addirittura essere aumentato. Sulla parità Shanghai, mentre a Hong Kong l’indice Hang Seng fa segnare un modesto + 0,22%.
Ieri sera, a Wall Street, calo dell’1,14% dell’indice Dow Jones, appesantito dal – 6,3% di Goldman Sachs, che ha presentato utili in calo di oltre il 66%. Meglio ha fatto il Nasdaq, che si è mantenuto sopra la parità (+ 0,14%).
Questa mattina futures in rialzo, seppur modesto (+ 0,20% medio), un po’ ovunque.
Rialzo del petrolio, con il WTI che si porta a $ 81,05 (+ 0,96%).
Gas naturale Usa a $ 3,498, – 2,62%.
Allo snodo di Amsterdam quello europeo rimane sotto i 60€ per megawattora, dopo che ieri era sceso anche sotto i 55€.
Oro in calo, ma comunque ancora sopra i $ 1.900 (1.909).
Spread a 180 bp, soglia che permette al nostro BTP decennale di posizionarsi al 3,88% di rendimento (a fine anno eravamo al 4,50%).
A proposito di obbligazioni, il collocamento Eni è andato oltre le più rosee previsioni, avendo già toccato, almeno così pare, quota 2MD, vale a dire il quantitativo massimo previsto per l’emissione: un’ulteriore conferma dell’opportunità offerta, in questo momento, dal mercato, che evidentemente si prepara ad una fase di rendimenti in calo.
€/$ a 1,081, con la moneta unica in leggero rafforzamento.
Poco mosso il bitcoin, a $ 21.268 (+ 0,63%).
Ps: parliamo ancora di clima. Secondo un recente studio pubblicato dalla rivista Advances in Atmospheric Science il calore dell’Oceano, nei primi 2.000 mt di profondità, è aumentato di 10 zettajoule (pari ad uno joule seguito da 21 zeri). Per capire, 10 zettajoule equivalgono al calore necessario per mantenere in ebollizione 700 ML di bollitori di 1,5 lt pe 1 anno intero. Facile immaginare le conseguenze per la fauna (e la flora) ittica.