Il Sabato del villaggio è indubbiamente una delle poesie più note di Giacomo Leopardi. Fu scritta nel 1829 e pubblicata nell’edizione dei Canti (1831): ci parla della “quotidianità” in un paese di campagna (che poi è Recanati, la sua città natale) e, soprattutto, di come ci si prepara al giorno di festa domenicale. Nel suo “pessimismo cosmico”, il grande poeta marchigiano ci racconta una grande verità: la felicità umana risiede più nell’attesa che nell’accadimento dell’evento stesso.
Ormai da tempo (in maniera piuttosto evidente almeno da fine ottobre, in realtà già inizio 23) i mercati stanno vivendo il loro “sabato del villaggio”. L’euforia che si respira (per alcuni asset più di altri) è riscontrabile, proprio in questi giorni, nei record di molti indici, in continuo aumento e aggiornamento. I mercati, è cosa nota, amano giocare d’anticipo: e quindi, probabilmente, non esiste una parafrasi migliore.
Le attese sono diverse: in primo luogo per la riduzione di tassi da parte delle Banche Centrali (in primis FED e BCE). Poi per l’avvicinamento continuo dell’inflazione al livello “target” del 2%. E, ancora, per un atterraggio morbido, se non addirittura un “no-lending” dell’economia. A fare da contorno “l’high conviction” che le crisi geopolitiche in atto rimarranno, per quanto gravi, sotto controllo, senza un impatto grave sugli equilibri mondiali.
Tutte cose che ormai abbiamo imparato, ma che, comunque, è bene ricordare.
Sul primo punto le attese sono così forti da impedire che le recenti delusioni modificassero il sentiment di mercato. Se verso fine anno si parlava con insistenza di 5 o 6 (qualcuno addirittura di 7) tagli, oggi, nella migliore delle ipotesi, ci si ferma a 2 per la FED e 3 per la BCE: in cifre, se prima si ipotizzavano riduzioni tra l’1,25% e l’1,50%, oggi non si va oltre lo 0,50/0,75%. Eppure i mercati non hanno fatto una piega. E’ vero che i rendimenti obbligazionari, a qualsiasi latitudine e per qualsiasi livello di rischio, si sono spostati un poco verso l’alto rispetto a qualche mese fa, ma siamo comunque sotto i livelli dell’autunno e il successo di alcune emissioni (vd il nostro BTP Valore) trova motivazione anche nel convincimento che domani i rendimenti saranno più bassi.
C’è poi l’argomento inflazione. Un tema che se non tutti (agli “ultra high net worth individual”, vale a dire gli individui con a disposizione patrimoni ingentissimi, calcolati in almeno $ 30ML, il problema non tocca molto), interessa alla stragrande maggioranza della popolazione. In Europa le cose vanno un po’ meglio rispetto agli USA (e in Italia ancora meglio che in Europa), con i prezzi oramai sotto il 3% (dall’altra parte dell’Oceano siamo intorno al 3,5%), ma “l’appiccicosità” rende più lenta la sua discesa. Ma, anche qua, la convinzione che siamo “all’ultimo miglio” è un ulteriore elemento di forza.
Rimane la situazione economica. A livello globale, secondo l’OCSE e il FMI, il PIL dovrebbe crescere del 3,1%: parlare di recessione è, pertanto, assolutamente fuori luogo. Certo vanno fatti gli opportuni distinguo: gli USA stanno molto meglio dell’Europa, con una previsione di crescita, per l’anno in corso, del 2,5%, contro un ben più modesto 0,7% (con spazio fino allo 0,9) in Europa.
Il clima più che positivo, peraltro, è riscontrabile anche in altri indicatori, forse un po’ meno evidenti delle “performance” borsistiche, ma che, forse, spiegano ancora meglio la situazione.
Il Vix, noto come “indice della paura”, è ai livelli più bassi dal 2018: siamo ,infatti, intorno a 13, ben al di sotto della soglia di 20 punti, considerata lo “spartiacque” verso situazioni di alta volatilità.
Ma c’è un altro aspetto che ci racconta molto bene quale sia il momento che stiamo attraversando: il differenziale di tasso tra i titoli ritenuti più “sicuri” (investment grade) e quelli più “a rischio” (high yeld), se non addirittura “molto a rischio” (junk). Quando i mercati vivono situazioni di alta volatilità, lo spread tende ad ampliarsi, andando, i risparmiatori, verso le asset class più sicure. Ai tempi della Lehman Brothers, per es, lo spread tra treasury e junk bonds arrivò addirittura a 2.000 bp (20%). Bene: oggi siamo a 315 punti (3,15%), il livello più basso dal 2007, quando toccò i 230 bp.
Per finire, rimane da considerare un ultimo aspetto: la liquidità presente nelle società che gestiscono fondi d’investimento. Secondo Bank of America oggi non è superiore al 4%. Solo un mese fa era ancora al 4,2%. Il livello più basso mai toccato è stato del 3,7%: non siamo, quindi, molto lontani. E questo, forse, potrebbe essere un primo segnale che non siamo così lontani dal picco. Certo che sino a quando le trimestrali delle aziende continueranno ad essere sostenuti come quelli in corso di pubblicazione (e i buy-back continueranno ad “imperversare”) è difficile pensare ad un’inversione di tendenza (senza considerare le “sector rotatrions”, vale a dire il flusso verso le asset class ad oggi meno performanti).
Dopo aver toccato nuovi massimi, ieri sera le borse Usa hanno chiuso in leggero ribasso: Dow Jones – 0,10%, Nasdaq – 0,21%, S&P 500 – 0,20%.
Le borse asiatiche confermano il loro buono stato di salute: Shanghai sale dello 0,66%, a Hong Kong l’Hang Seng fa + 0,75%, portando ad oltre il 5% il rialzo settimanale.
Si prende una pausa, invece, Tokyo, con il Nikkei che perde lo 0,34%, chiudendo comunque positivamente la settimana (+ 1,2%).
Futures appena deboli in Europa, marginalmente sopra la pari, invece, a New York.
Petrolio ancora più su, con il WTI a $ 79,52 (+ 0,37%).
Gas naturale Usa a $ 2.507 (+ 0,36%).
Oro ad un passo dai $ 2.400 (2.391, + 0,16%).
Spread sotto i 130 bp (129,8), con il BTP a 3,75%.
Bund 2,45%.
Treasury 4,37%, in leggero rialzo dal 4,32% precedente.
Poco mosso l’€/$, a 1,081.
Bitcoin che apre l’ultimo giorno della settimana a $ 65.856.
Ps: per gli americani burger and fries sono un’istituzione (un po’ come la nostra pizza). Il significato, quindi, va ben oltre il semplice aspetto “culinario”. A causa dell’inflazione pare che sempre meno famiglie, però, ne facciano consumo: forse il segnale più evidente della “sofferenza” delle classi sociali più povere. Una crisi che ha costretto Mc Donald’s a correre ai ripari, lanciando un menu a $ 5. Un segnale di cui anche Biden, se vuole essere rieletto, dovrebbe tener conto.