Pochi giorni ci separano dalla fine dell’anno.
Come sempre c’è da essere certi che non passerà giorno, da qui in avanti, in cui non leggeremo (più ancora di quanto non succeda nella quotidianità) di dati e numeri che indicano (forse sarebbe meglio dire “dovrebbero” indicare) lo stato di salute nostro e, più in generale, del mondo.
Con altrettanta certezza possiamo dire sin d’ora che ogni numero, ogni percentuale, ogni raffigurazione si presterà, a seconda della fede politica o della fonte che le produrrà, ad interpretazioni molteplici.
Ci sarà chi vede, per esempio, dietro lo 0,5/0,7% di crescita che il nostro Paese dovrebbe confermare per il 2024 una forza e una dinamicità che ci mettono davanti ad economie in crisi profonda, come quella tedesca, mentre altri tenderanno ad evidenziare un’incapacità a far “rendere” i poderosi investimenti (i maggiori in Europa) che il PNRR continua a metterci a disposizione. Sul fronte dell’occupazione ci sarà chi tenderà ad esaltare la massima occupazione che l’Italia è riuscita ad ottenere, facendoci “tornare” al tempo del boom della seconda metà degli anni 50 e la prima metà degli anni 60 del secolo scorso, con oltre il 63% della popolazione attiva che ha un lavoro, chi, invece, punterà il dito sul fatto che si tratta di una crescita basata essenzialmente sul “lavoro povero”, quello che meno spinta può dare alla crescita, piuttosto che, in molti casi, di lavori part-time. E ancora, chi vanterà di essere stato in grado di “battere” l’inflazione (come abbiamo sentito in questi giorni…) e chi, invece, cercherà di mettere in luce che la “spesa del carrello”, quello che serve alle famiglie italiane per andare avanti ogni giorno, oggi continua a costare molto di più rispetto anche all’anno scorso. Questo per rimanere nel nostro “guscio”, senza evocare situazioni “esterne” o a livello globale, la cui lettura, si farebbe oltremodo lunga e complicata.
I numeri, quindi, diventano, inseriti in un determinato contesto, piuttosto opinabili: paradossalmente, diventano per alcuni la certificazione di un successo, per altri la conferma dell’incapacità di far funzionare le cose.
Ma ci sono numeri che, in modo assolutamente incontrovertibile e univoco, “certificano” lo stato in cui ci troviamo e, forse ancor di più, ci danno una rappresentazione di un futuro che si prospetta complicato come non mai (e, per una volta, non c’è think positive che tenga).
L’Italia, lo sappiamo, ha più di un problema. Ma uno, più di altri, dovrebbe togliere il sonno a chi è chiamato da dare un nome al nostro futuro, soprattutto a quello dei più giovani.
L’anno scorso, in Italia, confermando una discesa iniziata già nel 1995, poi un po’ rallentata, ma dal 2010 (non a caso, probabilmente, visto ciò che è accaduto a livello economico in quegli anni) ripresa in maniera irreversibile e sostenuta, abbiamo avuto solo 379.890 nascite: per fare un confronto, nel 1965 erano state più di un milione. Ma anche negli anni precedenti, si viaggiava a ritmi simili.
Verso la fine degli anni 80 del secolo scorso, il numero si era stabilizzato intorno ai 550.000: numero che, comunque, erano in grado di assicurare uno sviluppo demografico che si può definire “nella norma”.
Quest’anno i nuovi nati saranno ancora meno, forse non arrivando neanche a 370.000. Il numero medio di figli per donna, di conseguenza, continua a scendere: dall’1,44 figli del 1995 si è passati all’1,24 del 2022 e all’1,20 del 2023. Oramai, per ogni bambino sotto i 5 anni di età in Italia abbiamo 6 ultrasessantenni. Per ogni bambino si contano 5,8 anziani (erano 5,6 nel 2022, 3,8 nel 2011). L’età media della popolazione è pari a 46,6 anni (48 per le donne, 45,2 per gli uomini). Rispetto al 2022, nel 2023 la quota di età 0-14 anni scende al 12,2% (era 12,4%). Gli ultrasessantacinquenni crescono dal 24% al 24,3%.
Più in generale, secondo l’analisi del Censis, anche nel 2023 la popolazione italiana è diminuita, seppur di poco (– 25.971 persone), scendendo a 58.971.323 abitanti.
Con numeri così, il futuro non può che essere arduo, molto arduo. E rischia di diventarlo ancor di più se non si portano avanti politiche sociali e familiari in grado di dare “speranza” a chi il futuro lo deve costruire.
Perché se ci sono 2 parole che possono tracciare la rotta e che non possono esistere una senza l’altra, queste sono speranza e futuro.
Un Paese che non cresce demograficamente non ha futuro. E se non c’è futuro, è praticamente impossibile che ci sia la speranza (non a caso l’India, che sta crescendo a ritmi vertiginosi, è destinata, secondo molti analisti, a diventare, nell’arco di pochi anni la seconda potenza al mondo, surclassando la Cina, che, in pochi anni, è passata dal poter diventare la 1° potenza al mondo, superando gli USA, ad essere destinata ad essere superata da una “concorrente diretta”, con una crisi demografica immane, viste le dimensioni di quel Paese).
Dopo l’ennesimo record di ieri sera a Wall Street (Nasdaq + 1,45%, S&P 500 + 0,38%), questa mattina i listini del Pacifico sembrano non avere energia per seguirne la progressione.
A Tokyo il Nikkei fatica a tenere la parità (– 0,04%).
Shanghai “lima” dello 0,18%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng perde lo 0,28%.
A Seul, dopo l’empeachment del Presidente Yoon avvenuto sabato, il Kospi lascia sul terreno l’1,24%.
Taiex Taiwan anche lui appena sotto la parità (– 0,10%).
Futures in lievissimo calo a Wall Street (- 0,05/0,10%), leggermente più contrastati in Europa.
Petrolio in leggero calo, con il WTI a $ 79,44 (- 0,38%).
Gas naturale Usa a $ 3,229.
Oro a $ 2.671.
Spread intorno a 115 bp.
BTp al 3,39%.
Bund 2,24%.
Treasury al 4,40% nei primi scambi asiatici.
€/$ a 1,0501.
Bitcoin a $ 106.895, dopo che ieri aveva superato i $ 108.000.
Ps: 1° Bergamo, 2° Trento, 3° Bolzano, 4° Monza e Brianza, 5° Cremona, 6° Udine…107° Reggio Calabria, 106° Napoli, 105° Crotone, 104° Siracusa…e si potrebbe continuare. Quella che emerge dalla classifica delle città in cui si vive meglio è un’immagine di un Paese sempre più spaccato in 2 (altro problema, Houston…). Un’immagine che si evidenzia in molti ambiti: sportivi (vogliamo parlare dell’Atalanta…?), culturali-musicali, professionali, sociali, etc. Fattori che, sommati uno dopo l’altro, sono le specchio di una città in cui la qualità della vita ha standard che vanno ben oltre i confini nazionali.