Alan Greenspan, uno dei più longevi Presidenti della FED, che governò per 19 anni (1987-2006), era solito dire che la “politica monetaria si fa in gran parte con le parole e la comunicazione”. Una frase che trova conferma in diversi episodi: clamoroso quello del marzo 2020, quando l’allora neo Presidente BCE Christine Lagarde dichiarò che (la BCE) “non è qui per chiudere lo spread”, vale a dire “tenere sotto controllo” il differenziale di tasso fra i vari Paesi. Un’affermazione che nell’arco di pochi minuti fece “lievitare” il nostro spread da 1,22% a 1,88% (quindi di ben il 50%). A ben pensarci, un’affermazione in totale antitesi all’ormai storico “whatever it takes” con cui Draghi Salvò l’€ nel 2012.
Parole, quelle di Greenspan, peraltro valide non solo in campo monetario, ma estendibili in tutti i campi, con particolare riguardo a quelli (vd la politica) dove ogni cosa può essere oggetto di manipolazione, basandosi sulla “rappresentazione” della realtà piuttosto che sulla realtà medesima.
Anche la politica monetaria si basasulle “rappresentazioni” che, di volta in volta, i numeri ci raccontano. Numeri che diventano oggetto di “interpretazioni”, lasciando spazio a visioni più o meno positive o più o meno negative.
Né più né meno quello che sta succedendo in queste settimane, in cui si rincorrono, di volta in volta, voci che l’economia (con particolare riguardo a quella americana, “drive” di quella mondiale) potrebbe trovarsi in difficoltà ben maggiori di quanto fosse lecito pensare sino a poco tempo fa. In altre parole, se nei mesi scorsi i più escludevano la possibilità di una recessione, oggi il divario si è accorciato. E i dati USA della settimana scorsa, con l’occupazione che inizia a far fatica nel mantenere ritmi di crescita sostenuti, oggi parlare di hard landing non è più un tabù.
Né è ben consapevole Jerome Powell, che dopodomani dovrà decidere dove “collocare” la FED: se il taglio (ormai cosa certa) dovesse limitarsi allo 0,25%, il messaggio che “passerebbe” sarebbe, infatti, di un’economia in salute, con un rimo di crescita comunque più che soddisfacente (secondo trimestre + 2,6%), a cui si accompagna un’inflazione ancora in calo (2,5% a fine agosto). Se, invece, il taglio fosse dello 0,50%, quello che potrebbe trasparire è una situazione piuttosto critica, che costringerebbe la Banca Centrale Americana a “recuperare” il terreno perso (non sono pochi coloro che accusano Powell di essere “dietro la curva”, un modo per dire che la FED è in ritardo sulle decisioni da assumere: un po’ quello che è successo nel 2021, quando, ai primi segnali di esplosione dell’inflazione, che nel 2022 arrivò, come ben ricordiamo, a toccare, se non superare la doppia cifra, proprio Powell si affrettò a dire che si trattava di un “fenomeno temporaneo”, per cui non c’era alcun bisogno di intervenire, prolungando, in questo modo, una politica espansiva. Per poi costringerlo (e con lui la BCE) ad “inanellare” una serie di ben 11 rialzi consecutivi, a partire dal maggio 2022 e sino a settembre 2023.
Nel medio termine, i futures “prezzano”, per fine 2025, i tassi USA al 2,8%, mentre in Europa (dove i ribassi sono già stati 2, uno a giugno e uno giovedì scorso, per uno 0,50% totale) si stima arrivino all’1,9% (dal 3,50% attuale).
In queste settimane i bond si stanno muovendo con una certa chiarezza verso quell’obiettivo, seppur nell’indecisione sull’atterraggio dell’economia (soft-hard landing), mentre sono esclusi gli scenari peggiori (vale a dire higher for longer” – quindi tassi alti per tempi più lunghi – oppure la stagflazione – economia in recessione e inflazione alta). Non a caso il nostro BTP ha toccato, la settimana scorsa, il 3,5%, il rendimento più basso dall’agosto 2022, mentre il treasury USA è sceso sino al 3,58%.
Oggi mercati asiatici a “scartamento ridotto” per la contemporanea chiusura, per festività, della borsa giapponese e di quella cinese.
Dopo una partenza all’insegna della debolezza, a Hong Kong l’Hang Seng “agguanta”, in questi minuti, la parità.
Positivi a Seul il Kospi e, a Taiwan, il Taiex (+ 0,4%).
Futures appena deboli a Wall Street e in Europa, con ribassi comunque non superiori al – 0,20%.
Petrolio in leggero rialzo (+ 0,34%), con il WTI che si porta a $ 68,95.
Gas naturale USA a $ 2,274, – 1,48%.
“vede” i $ 2.600 l’oro, facendo segnare, con $ 2.592, il nuovo record storico.
Spread a 136,1 bp.
BTP al 3,52%.
Bund 2,16%.
Treasury al 3,65%.
€/$ a 1,1104, con l’€ in leggero rafforzamento.
In leggero ritracciamento il bitcoin, a $ 58.895.
Ps: se si parla di ponti, non si può non pensare a quello sullo stretto: un progetto da ben € 10 MD, che, se da una parte dovrebbe unire l’Italia, dall’altra la divide, contrapponendo chi lo ritiene indispensabile e chi, invece, assolutamente inutile, anche in considerazione di un investimento che probabilmente non possiamo permetterci. Ma ne esistono anche altri che fanno discutere. Come quello che si dovrebbe costruire ad Agordo, il paese della Luxottica. Un’opera ben più modesta, ma che dovrebbe ampliare gli spazi del colosso dell’occhialeria, con uno sviluppo produttivo quantificato in € 50 ML. Ma che, al momento, non ha avuto l’ok della sovrintendeza regionale.