E’ sufficiente una rapida incursione su Google per trovare alcune definizioni che ben descrivono cos’è un paradosso: forse quella che meglio lo definisce è “la descrizione di un fatto che contraddice l’opinione comune o l’esperienza quotidiana, riuscendo perciò sorprendente” (wikipedia).
Secondo Janet Yellen, la potente segreteria del Tesoro USA, ci sono soldi (per l’Amministrazione USA) per arrivare solo sino al 1 giugno. Stiamo parlando della 1° economia al mondo, con un PIL (2022) pari a circa $ 23.350 MD (la zona € ha fatto registrare, nello stesso periodo, $ 18.500 MD, la Cina $ 16.900 MD, per un PIL mondiale di circa $ 102 trilioni). Il debito pubblico Usa ha toccato, in queste settimane, i $ 31.500 MD, pari ad un rapporto di circa il 134%: per le vigenti leggi di bilancio di quel Paese, un limite, quello dei 31.500 MD, che non può essere superato.
Da anni, per non dire decenni, il nostro Paese viene accusato di non “tenere a bada” il proprio debito: affermazione corretta se si guarda ai parametri imposti (e condivisi da tutti gli Stati membri) per poter aderire e partecipare alla UE. Ben sappiamo come il nostro 144% di rapporto debito/PIL sia secondo solo a quello della Grecia, economia che certamente non può essere messa a confronto con la nostra, per non parlare della valenza geo-politica. “Accusa” che si traduce, nei fatti e nel dialogo con gli altri Paesi membri, in continue negoziazioni piuttosto che “alert”, motivati da un potenziale “rischio contagio” nel caso in cui la situazione ci sfuggisse ulteriormente di mano. Esperienza già vissuta non tantissimo tempo fa (era il 2012), quando lo spread arrivò quasi a toccare i 600bp.
Eppure i mercati, sia quelli americani che quelli globali, non sembrano particolarmente preoccupati della situazione, quasi a confermare che, dal loro punto di vista, le probabilità del default USA sono vicine allo zero. Se così non fosse, la situazione americana avrebbe conseguenze ben più gravi, con impatti devastanti su tutte le asset class: dal mercato valutario, con il $ che dovrebbe crollare nei confronti delle principali valute internazionali, ai treasury, che sarebbe venduti a mani basse, per non parlare dei mercati azionari, che prima ancora di esprimere la “profittabilità” e le “prospettive” delle varie società quotate, “certificano” la solidità di un Paese.
Ma così non è: ieri, per esempio, i principali indici americani hanno chiuso in territorio positivo, il $ è rimasto stabile verso le altre valute, il rendimento del treasury non ha subito particolari variazioni rispetto al giorno precedente (3,48% verso il 3,46% del giorno precedente).
Un paradosso, appunto.
Il pensiero comune è che l’accordo, ancora una volta (il problema dello “sforamento” si pone periodicamente), verrà trovato: anche perché l’anno prossimo ci saranno le elezioni presidenziali e nessuno ha voglia di presentarsi come “l’artefice” (o comunque essere ritenuto incapace) di un potenziale disastro. Tra l’altro in un momento in cui cominciano ad intravedersi segnali positivi sulla lotta all’inflazione, al punto che qualcuno comincia a spingersi in previsioni piuttosto “baldanzose” in merito ai possibili tagli dei tassi da parte della FED (tipo addirittura 3 tagli entro la fine dell’anno. Una formulazione che appare un po’ esagerata, in considerazione del fatto che è vero che l’inflazione sta calando, ma la “velocità di crociera” non appare così sicura e rapida come ci si sarebbe aspettato, in particolar modo per l’inflazione core (per esempio, in Europa si prevede che quest’anno sarà del 5,8% e non del 5,6% come si pensava sino a febbraio, mentre per l’anno prossimo ci si dovrebbe attestare al 2,8% e non al 2,5%).
Di certo a prevalere, in questi giorni, è l’idea che la politica del “rigore”, soprattutto oltre oceano, stia per finire, lasciando spazio, anche se non nell’immediato, al ritorno a politiche più accomodanti, in grado di tenere lontana la recessione. Non a caso ieri la Commissione Europea ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il 2023 e il 2024, innalzate rispettivamente all’1,1% e all’1,6%.
Il buon andamento di ieri sera a Wall Street sta portando questa mattina il mercato giapponese ad aggiornare i rialzi: Nikkei a + 0,82%, mentre il Topix, in crescita dello 0,5%, tocca il nuovo massimo dal 1990.
Meno brillanti le altre piazze asiatiche: appena sotto la parità ad Hong Kong l’Hang Seng, mentre Shanghai retrocede dello 0,5%.
Leggermente deboli anche la Corea (Kospi – 0,18%) e l’India (Sensex – 0,25%).
Futures improntati al ribasso, con percentuali peraltro modeste (– 0,30/0,40%).
Petrolio in ripresa, con il WTI che si riporta sopra i $ 70 (71,18).
Gas naturale Usa a $ 2,369.
Oro in discesa, vicino a $ 2.000 (2.011, – 0,62%).
Spread 187,7, per un BTP decennale ad un rendimento del 4,19%.
Treasury al 3,48%.
€/$ a 1,0869.
Bitcoin “aggrappato” ai $ 27.000 (27.080, – 0,33%).
Ps: cos’è l’amicizia? Esistono decine di modi per definirla, senza bisogno di andare su Google a cercare le parole che meglio la rappresentano per noi. Ma forse è sufficiente pensare a quello che ha fatto Kevin Sinfield, ex rugbista con un passato nei Leeds Rhinos, ora gran maratoneta. Domenica ha corso la Leeds Marathon. E sin qui nulla di particolare. Però l’ha corsa spingendo la carrozzina su cui è costretto da 3 anni, a causa di una rarissima malattia degenerativa, Rob Burrow, suo ex compagno di squadra di rugby. E gli ultimi metri li ha corsi prendendo un braccio il suo amico e superando con lui il traguardo.