“L’amico geniale”, seconda puntata.
Non si può certo affermare che Elon Musk ami il “low profile”.
Evidentemente l’essere l’uomo più ricco del mondo gli “stava stretto”: avere il controllo di società “disruptive”, che stanno contribuendo non poco a cambiare le nostre (in senso lato) abitudini di vita, gli ha dato, e continua a dargli, visibilità e notorietà, ma la sua “leadership” non “valica” i vari consigli di amministrazione in cui siede.
Cosa, peraltro, che qualcosa pur significa.
Ma vuoi mettere essere il “consigliere” (de facto) del Presidente degli Stati Uniti? Perché, ormai è chiaro, di questo si tratta (almeno per il momento: non sarebbe, infatti, la prima volta che Trump si circonda dei suoi amici – ovviamente ricchi almeno quanto lui – e poi, a distanza di pochi mesi, se non di qualche settimana, il “sodalizio” va in frantumi).
Vista la “posta in gioco” non è detto che le cose, questa volta, abbiano uno svolgimento diverso: $ 118 ML (di donazioni “dirette” a Trump, più buona parte dei $ 130 ML raccolti da America PAC) sono un buon motivo per “meritare”riconoscenza. E lui non sta certo con le mani in mano, visto che in pochi giorni ha messo in piedi la “squadra” (in buona parte proveniente dal suo impero) che dovrà aiutarlo a ridurre gli sprechi e iniziare a “far quadrare i conti”. Quasi una sorta di “governo ombra”, che un po’ di luce al “Governo” vero di certo la toglierà.
Ma l’America non vive solo di Casa Bianca: se nella Sala ovale si prendono decisioni che potrebbero cambiare il mondo, Wall Street “traccia la strada”, approvando o bocciando le scelte di politica economica di chi è chiamato a guidare il Paese.
In questi primi giorni i segnali sembrano essere piuttosto chiari: il programma espansivo di Trump sta indirizzando in maniera piuttosto chiara gli investitori.
Fiducia, quindi, ai mercati azionari, bilanciata dalle prese di beneficio sul mercato obbligazionario (le preoccupazioni su un ritorno dell’inflazione sta facendo salire i rendimenti, spinti verso l’alto dalle vendite sui bond, con gli investitori sul “chi va là” per il rischio che Biden torni “alla finestra” per quanto riguarda il taglio dei tassi), criptovalute senza freni, dopo l’endorsment del Presidente eletto, oro invece che “paga” la forza del $ e il rialzo dei tassi (l’oro non paga cedole, e questo, nel caso di tassi che salgono gli fa perdere appeal). Nel comparto azionario non sono pochi coloro che ritengono che le small-mediun cap americane dovrebbero vivere il loro “anno di gloria”: il ventilato abbattimento delle tasse per le imprese che produrranno (e torneranno a produrre) sul territorio americano dovrebbe, infatti, avvantaggiare proprio le piccole-medie società, che, in gran parte, hanno lì i loro stabilimenti (cosa che, invece, non succede alle multinazionali, che negli anni, non hanno perso occasione di “delocalizzare” – che, con il senno di poi, pensando al Covid e al blocco del commercio, non ha indubbiamente “pagato dazio”. Parola, quest’ultima, piuttosto cara a Trump, con il mondo che sta cercando di capire se manterrà o meno la promessa.
Ieri “giornata di gloria” per l’Europa (MIB + 1,93%, Dac + 1,37%, Parigi + 1,32%), mentre dall’altra parte dell’Oceano il “segno rosso” ha prevalso (Nasdaq – 0,66%, Dow Jones -0,47% S&P 500 – 0,60%).
Questa mattina segnali di ripresa sui mercati del Pacifico: a Tokyo Nikkei + 0,28%, a Hong Kong Hang Seng + 0,10%.
Soffre ancora Shanghai (- 1,45%), nonostante i dati macro lascino intendere un inizio di ripresa.
Frazionalmente negativo il Kospi a Seul (- 0,08%), mentre di segno opposto è il Taiex di Taiwan (+ 0,12§%).
Futures che fanno intravedere un inizio di giornata con aperture in calo (– 0,40/- 0,60%).
Oil ancora debole, con il WTI a – 1,27% ($ 67,90).
Gas naturale Usa – 2,84% ($ 2,709).
Oro a $ 2.565, – 0,36%.
Spread ancora in recupero, a 119 bp.
BTP al 3,55%.
Bund 3,36%.
Treasury intorno al 4,45%.
$ in leggero ribasso dopo i forti rialzi dei giorni scorsi (€/$ 1,055).
Bitcoin sotto i $ 90.000 (88.540).
Ps: quello demografico è, forse, il problema più grave che attanaglia il nostro Paese. Invecchiamento della popolazione e, soprattutto, denatalità stanno togliendo la “speranza” (oltre che riducendo, anno dopo anno, la popolazione). L’anno scorso, in ben 340 comuni con meno di 5.000 abitanti non è nato neanche un bambino. In 72 non ci sono bambini sotto i 3 anni. L’anno scorso, in tutta Italia, sono nati 379.000 bambini. E quest’anno saranno ancora meno. Se poi ci aggiungiamo i giovani che preferiscono “migrare” in altri Paesi, dove la qualità della vita è migliore e il lavoro viene remunerato con stipendi almeno dignitosi, il quadro è completo.