quanto è successo alla Silicon Valley Bank, oltre che a qualche altra banca regionale americana, non fa che rendere ancora più complicata la ricerca di una soluzione al problema che da circa 18 mesi sta sconquassando il mondo. Le Banche Centrali, in primis la FED ma anche la BCE, anche se a distanza, devono ora fare i conti non solo con il rischio di provocare una recessione se dovessero confermare il loro rigore, ma anche con quanto può accadere al sistema bancario nel caso in cui i prezzi dei titoli di cui le Banche sono imbottite dovessero ulteriormente indebolirsi. Va comunque detto, in maniera molto chiara, che, almeno per quanto riguarda l’Europa, ad oggi la situazione appare piuttosto solida: la presenza di regole rigide, accompagnata da controlli severi, ha creato una “rete di sicurezza” al sistema bancario che gli permette di affrontare anche fasi non semplici come quella attuale.
Le banche, come noto, arrivano da un lungo periodo che possiamo definire di “sonnolenza”. Anni in cui, con i tassi a zero e con un’economia che, per quanto abbia dovuto affrontare “cigni neri” e periodi piuttosto difficili, grazie alle politiche fiscali messi in atto dai governi e agli interventi delle varie Istituzioni, è stata in grado di “rimettersi in carreggiata”. Il prezzo che hanno dovuto “pagare”, come noto, è stato quello di trovare nuove vie per poter avere bilanci in ordine e remunerare i propri azionisti.
Con il rialzo dei tassi molte cose si sono aggiustate, in primis la loro marginalità. Ma ogni cosa, come sempre, ha un prezzo.
In questo caso, sostanzialmente due.
Per prima cosa, il poderoso rialzo dei tassi ha fatto aumentare in maniera esponenziale il costo dei finanziamenti, a partire dai mutui per arrivare alle semplici aperture di credito. Se prima si “viaggiava” ben sotto l’1%, oggi il livello medio degli interessi è ben superiore al 3/3,50% (fatto salvo, ovviamente, per i mutui “fissi”, cioè con i tassi bloccati). Fattore che sta facendo nuovamente crescere, anche se siamo ben lontani dalla crisi del 2008/2009, i crediti “problematici”, vista le crescenti difficoltà di alcune società e di molte famiglie al pagamento delle rate e al rientro del debito.
La seconda, che sta emergendo in tutta la sua dimensione dopo l’insolvenza della Silicon Valley Bank, è data dalla presenza, nei loro bilanci, di titoli (soprattutto governativi, ma anche di emittenti privati) acquistati a prezzi ben superiori agli attuali.
Le banche europee, ci dice l’EBA, l’Ente Bancario Europeo, hanno “in pancia” circa € 3.300 MD di titoli governativi, in aumento rispetto ai 3.100 MD del 2021. Le Banche italiane ne possiedono per € 384 MD (fonte Bankitalia gennaio 2023), a cui si devono aggiungere circa € 200 MD di altri bond.
I conti sono presto fatti: supponendo una perdita media del loro valore del 10% (ipotesi non così remota: si pensi che, nel 2022, i nostri BTP decennali hanno ceduto circa il 21% – ma il portafoglio, ovviamente, comprende anche titoli di durate ben inferiori, il cui prezzo ha tenuto ben di più), si arriva a circa € 310 MD. Una perdita di certo ingente, impossibile da “occultare” nelle pieghe del bilancio. Ovviamente si parla di una perdita “teorica”, che diventerebbe “vera” solo nel momento in cui si liquida l’investimento, ma che indubbiamente “pesa” nei bilanci. E’ anche vero, però, che i requisiti patrimoniali delle banche europee al momento non sono messi in discussione (l’unica che potrebbe correre qualche problema è il Banco Sabadell).
Peggio stanno le banche americane: ad oggi le loro perdite ammonterebbero a $ 620 MD, un livello ben superiore a quello europeo. Aggravato dal fatto, come sappiamo, che, come ha confermato la crisi bancaria di questi giorni, il sistema dei controlli ha più di una falla.
Ecco perché il percorso delle Banche Centrali, negli ultimi giorni, si è complicato.
Un ulteriore aumento dei tassi potrebbe, infatti, rendere ancora più pericolosa la situazione, non solo per quanto riguarda la recessione.
Di contro, non assumere provvedimenti, potrebbe essere letto come un segnale di “debolezza” delle autorità monetarie, oltre che far nuovamente “schizzare” l’inflazione. Inflazione che, come evidenziato dai dati americani di ieri, qualche segno di debolezza comincia a darlo, essendo scesa al 6% dal 6,4% di febbraio, l’aumento più modesto da 6 mesi a questa parte. E’ probabile che, a “questo giro”, vedremo una BCE più “falco”, con un aumento dello 0,50% (difficile possa rivedere, vista anche l’imminenza della decisione, attesa per domani), mentre la FED dovrebbe “ammorbidire” la linea, con un rialzo che potrebbe limitarsi allo 0,25% (almeno così ritiene circa l’80% degli analisti).
Intanto i mercati hanno voglia di “rialzare la testa”.
Dopo i buoni recuperi di ieri (Europa mediamente – Eurostoxx 600 – + 1,45%, con punte del 2,36% per Milano e 2,23% per Madrid, i 2 listini che avevano perso di più il giorno precedente, Nasdaq + 2,32%, Dow Jones + 1,06%, S&P 500 + 1,65%), anche gli indici asiatici sembrano intenzionati a “chiudere la parentesi”.
Sulla parità Tokyo, Shanghai al momento + 0,55%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng è ben sopra l’1% (1,27%).
In significativo rialzo anche, a Seul, il Kospi, a + 1,5%, sulla spinta dei buoni dati occupazionali.
Futures ovunque intorno alla parità.
In ripresa, questa mattina, il petrolio, con il WTI che fa segnare $ 72,33 (+ 1,30%).
Stabile, a $ 2,573, il gas naturale Usa.
Si ferma il recupero dell’oro, di nuovo vicino ai $ 1.900 (1.904, – 0,44%).
Prende fiato lo spread, a 183,7 bp, per un BTP decennale al 4,31%.
Bund di nuovo vicino al 2.50%.
Treasury al 3,68%, 10 bp oltre il livello di ieri.
€/$ a 1,0737, con l’€ in rafforzamento in previsione del rialzo dei tassi da parte della BCE.
Bitcoin che, dopo aver superato nella notte i $ 25.000, questa mattina si porta a $ 24.900.
Ps: è di tristissima attualità, in questi giorni, il dramma dei migranti. Colpisce, quindi, ancor di più apprendere, come ci dicono alcune ricerche di studiosi italiani, che la mamma di uno degli italiani più famosi al mondo, Leonardo da Vinci (all’epoca il QI non si misurava, ma probabilmente il suo era maggiore di quello di Madonna, da molti ritenuta una persona intelligentissima), era addirittura una schiava, proveniente da una regione del Caucaso e sfruttata prima nelle manifatture tessili veneziane e poi in servizio presso una famiglia borghese di Firenze.