“Il mondo è bello perché è vario”.
Chi non ha pronunciato, almeno una volta, il proverbio che potrebbe essere definito il “manifesto” del “pensiero relativo”: un modo, sotto non pochi aspetti, per affermare che la “verità assoluta”, molto spesso, è un’utopia.
Sui principali quotidiani di oggi: “Stellantis (FCA-Peugeot) porta le auto Leapmotor in Europa”, “Dazi Usa del 102,5% sui veicoli elettrici made in China”. Lo yin e lo yang: 2 opposti. Ma, come nel Taoismo i 2 concetti alla fine sono una fonte di armonia e, quindi, di equilibrio, chissà che anche questa visione opposta della politica economica non sia fonte di un “equilibrio” più generale (per tornare alla relatività).
La questione, evidentemente, è un po’ più seria e trova motivazioni ben diverse: certamente più “politiche”, visto il periodo, negli USA, più legate al ciclo economico e al “futuro” dell’automotive in Europa.
In vista delle Presidenziali di novembre, ormai, tra i 2 candidati, è una gara a rincorrersi, alla ricerca del consenso. Un terreno, peraltro, “scivoloso” e, in qualche modo, pericoloso, con ripercussioni che potrebbero andare oltre i confini statunitensi. Non tanto per gli effetti puramente “economici”, quanto, piuttosto, a livello geo-politico: le “armi” dell’economia, più di quelle tradizionali, sono spesso lo strumento per riaffermare la propria leadership.
Ma guardiamo i numeri: nel 2023 le esportazioni cinesi verso gli USA sono state pari a circa $ 427 MD (ma qualcuno ipotizza che abbiano superato i $ 500 MD), mentre quelle americane verso la Cina sono circa 1/3 ($ 150 MD).
I nuovi dazi voluti da Biden, che, evidentemente, vuole sopravanzare il rivale su quello che è uno dei suoi “terreni preferiti” (Trump vorrebbe imporre dazi pari al 60% su tutto l’import proveniente da Pechino, oltre al 10% su tutto ciò che gli Usa importano, indipendentemente dal Paese di provenienza), in realtà andrebbero a colpire solo una minima parte delle merci importate: si stima, infatti, in appena $ 18 MD il controvalore dei beni oggetto dei provvedimenti. Tra quest’anno e il 2026, le maggiori imposte sulle auto elettriche passeranno dal 27,5% al 102,5%, quelle sulle batterie al litio al 25% (dal 7,5%), chip e pannelli solari al 50% (dal 25%). Due ulteriori dati possono far comprendere meglio di cosa si sta parlando. Nel caso delle auto elettriche, nel 1° trimestre nell’anno negli Usa sono state vendute “ben” 2.217 veicoli elettrici “made in China”: praticamente nulla. Dove le cose cambiano è nel fotovoltaico: si stima che oltre l’80% dei pannelli installati negli USA sia di fabbricazione cinese, con un costo inferiore del 60% rispetto a quello di un pannello “americano”. Ma altre merci saranno oggetto della “scure” dell’amministrazione Usa (vedi semiconduttori, ma anche acciaio e alluminio per arrivare ad alcuni prodotti sanitari, come siringhe, aghi e guanti medici e chirurgici).
Di contro, in Europa si “apre” al mercato cinese.
Si è parlato, nelle settimane scorse, di colloqui tra il nostro Ministero dello Sviluppo economico e la casa di automotive Dongfeng per avviare un sito produttivo nel nostro Paese in grado di “sfornare” circa 100.000 autovetture “gialle”. Ma la notizia di oggi ha quasi del clamoroso.
La joint-venture italo francese, infatti, metterà a disposizione, a partire da settembre, circa 200 concessionarie, distribuite in 9 Paesi europei (tra cui, ovviamente, Italia e Francia, ma anche Portogallo, Spagna, Belgio), per promuovere la vendita della Leapmotor (certamente non una delle aziende leader nel suo Paese: l’anno scorso ha prodotto 144.000 vetture, con una potenzialità di 800.000) fuori dai confini cinesi. Al momento l’accordo si limita ad una partnership puramente commerciale, ma non è escluso che in futuro possa prevedere anche sviluppi tecnologici e produttivi, con l’utilizzo di piattaforme comuni.
Due strategie completamente diverse: quella italiana (e quindi europea: impossibile, infatti, che la Commissione Europea non sia stata informata) “filosoficamente” quasi “confuciana”, del tipo “se non sei in grado di battere il tuo nemico alleati con lui”. L’altra molto “yankee”, come nei migliori film di John Ford, con l’America che non ha paura di nulla e non arretra di un passo (anche se, visti i numeri di cui sopra, si potrebbe anche dire “molto rumore per nulla”, almeno per ora). Ma la posta in gioco, come detto, è molto più grande.
Di certo, in un modo o nell’altro, ci dobbiamo preparare ad un “mondo che cambia”, dove “l’inclusione” non riguarderà solo gli individui ma l’economia e il commercio in genere.
Ieri sera altra chiusura positiva per il mercato americano: Dow Jones + 0,32%, Nasdaq + 0,68%, S&P 500 + 0,48%.
Questa mattina a Tokyo il Nikkei si avvia ad una chiusura appena sopra la parità: in grande evidenza Sony, che, con un balzo vicino al 10%, si porta ai massimi da 10 anni a questa parte.
Hong Kong è chiusa per festività, mentre Shanghai al momento è in ribasso dello 0,50%.
In rialzo, grazie ai titoli tech, Taiwan (+ 1%).
Futures ovunque poco mossi, ad anticipare una giornata all’insegna della normalità.
Cerca il recupero il petrolio, con il WTI in rialzo dello 0,64% ($ 78,61).
Gas naturale Usa $ 2,359 (+ 0,51%).
Sale anche l’oro, a $ 2.365 (+ 0,12%).
Spread a 132,3, con il nostro decennale a 3,88%. Da segnalare che ieri si è tenuto il collocamento “sindacato” (dedicato cioè alla clientela istituzionale) del nuovo BTP Green: si tratta della 4° emissione di questa particolare tipologia di titoli, dedicati agli investimenti “eco-sostenibili”. Enorme il successo: a fronte di un’emissione pari a € 9 MD, sono arrivate richieste (l’80% dall’estero) per € 84,4 MD. a conferma della “fame” di rendimento (sulla scadenza a 13,5 anni – ottobre 2037 – il rendimento è del 4,10% annuo, in 2 cedole semestrali).
Bund 2.55%.
Treasury al 4,44%.
€/$ a 1,0825.
Ancora in “naftalina” il bitcoin, sempre tra i $ 61.500 e i $ 62.000 (61.819).
Ps: crescono sempre di più le spese per la Difesa. Si calcola che, oramai, abbiano raggiunto il 2,3% del PIL mondiale (e quindi siamo vicini a $ 2.500 MD). L’equivalente di circa $ 306 a persona (la più alta dal 1990). E pensare che ci sono alcuni Paesi al mondo in cui il reddito pro-capite fatica a raggiungere quella cifra. Non c’è che dire: ci sono non poche “aree di miglioramento”.