Houston (anzi, Washington) abbiamo un problema. Uno solo…? Probabilmente ben più di uno.
Partiamo con il dire che negli Usa circolano qualcosa come 450 ML di pistole e fucili per una popolazione di 330 ML di persone: circa 1,5 pro-capite, compresi i neonati e i bambini.
Un numero impressionante. Anche ipotizzano che i fanatici e gli estremisti non superino l’1% (ma ben sappiamo che la realtà è un po’ diversa), significa che circa 3,3 ML di individui girano tranquillamente armati per le strade, i supermercati, le scuole, gli uffici pubblici, gli impianti sportivi dove si tengono manifestazioni che riunisco decine di migliaia di tifosi, in assoluta libertà e nessun tipo di controllo (come dimostrano le continue stragi, soprattutto nelle scuole e nei campus universitari).
La storia americana è fatta di ripetuti attentati (a partire dal 1865, quando Abramo Lincoln venne assassinato durante uno spettacolo teatrale): senza arrivare “all’attentato per eccellenza”, quello al Presidente Kennedy a Dallas nel 1963, o a quello del fratello Robert, candidato, come oggi Donald Trump, a Presidente, ucciso a Los Angeles nel 1968, molti altri sono stati gli episodi che hanno messo a rischio la vita dei Presidenti Usa e dei loro avversari politici.
Evidentemente la “Storia” non basta.
Quanto successo sabato sera (la notte in Italia) è frutto anche di un’escalation nei “toni” che la campagna presidenziale ha assunto. Toni che hanno ulteriormente “arroccato” i candidati (soprattutto uno, mentre l’altro appare sempre meno in grado di sostenere il ruolo, facendo nascere forti dubbi e sempre maggiori preoccupazioni tra i propri sostenitori), creando un clima di forte “antagonismo”, quasi si trattasse di “contrade” che partecipano al Palio di Siena (peraltro va detto che l’attentatore era iscritto al Partito Repubblicano, e quindi non si trattava di un “avversario” dello schieramento opposto).
Ovvio che l’attentato diventerà il “grimaldello” che, per un verso o per l’altro, dominerà gli ultimi mesi della campagna elettorale, con Trump che cercherà di portare “l’acqua al suo mulino”. A cominciare dalla sicurezza, già oggi uno dei suoi principali “cavalli di battaglia” (infatti sono già partite le polemiche sul fatto che l’area in cui si teneva il comizio non fosse stata “bonificata” dalle forze di sicurezza). Mentre dall’altra parte, al di là della telefonata di Biden (che ha annullato qualsiasi impegno, anche elettorale), al suo rivale, l’attuale Presidente potrebbe ulteriormente uscire indebolito dalla vicenda. Cosa che renderebbe ancora più ineluttabile lo “switch” con un candidato più “tonico”, in grado di sostenere l’urto. Cosa che, però, al momento non sembra essere nei piani del Presidente in carica.
Di certo da oggi sondaggisti, politologi, sociologici etc avranno materiale su cui lavorare (e se non lo hanno lo creeranno), condizionando, e forse anche indirizzando, la campagna elettorale.
L’attesa sarà brevissima, visto che oggi inizierà a Milwaukee, in Wisconsin (per niente casualmente in uno degli Stati che possono decidere le sorti dei 2 candidati), la Convention Repubblicana, a cui parteciperà Trump, che si è immediatamente ripreso. Da lì dovremmo capire se i toni si saranno “abbassati” (senza arrivare allo “stiamo uniti” di morandiana e festivaliera memoria) o se, invece, persisteranno quelli accesi e provocatori, premonitori di una situazione che rischia di sfociare nel caos.
Caos che, per il momento, non sembra sfiorare i mercati.
Quelli asiatici iniziano la settimana in maniera disallineata: chiuso il Nikkei per festività, a Hong Kong l’Hang Seng apre la settimana in territorio negativo (al momento – 1,45).
Appena positiva, invece, Shanghai. Sulla parità, a Seul, il Kospi, mentre a Sidney l’ASX 200fa segnare + 0,5%.
La notizia positiva è che, a Wall Street, tutti i futures sono positivi (Russel 2000 + 0,86%, Nasdaq + 0,38%, S&P 500 + 0,22%), incuranti delle tensioni politiche.
Che la situazione sia “sotto controllo” lo possiamo verificare anche da 2 altri “indicatori”: l’oro, molto sensibile alle vicende geo-politiche, questa mattina si sta indebolendo, allontanandosi dai massimi, a $ 2.410 (- 0,52%).
Idem il $, che, in quanto “valuta rifugio” tende a crescere di valore quando il tempo “volge al brutto”: questa mattina, invece, sembra quasi indebolirsi verso €, con l’€/$ a 1,0888.
Stabile il petrolio, con il WTI a $ 82.22 (- 0,10%).
Gas naturale Usa a $ 2,259 (- 3,13%).
Spread a 130 bp.
BTP a 3,79%.
OAT francesi a 3,14%.
Bund 2,49%.
Treasury a 4,19%.
€/, come detto, intorno a 1,089.
Torna l’appetito sul bitcoin, tornato prepotentemente sopra i $ 60.000 (62.928, + 3,49%).
Ps: per gli appassionati di sport nel week end c’è stato solo l’imbarazzo della scelta: tennis, calcio, ciclismo, atletica.
Tante sarebbero le cose da dire per ogni categoria (a cominciare da Wimbledon, dove Alcaraz, a soli 22 anni, ha trionfato per il 2° anno di fila).
Ma “l’impresa vera”, tanto per cambiare, l’ha fatta Tadej Pogacar, che nelle 2 tappe pirenaiche di sabato e ieri non ha avuto rivali, avviandosi alla conquista del Tour de France, dopo il trionfo al Giro d’Italia. Quella di ieri rimarrà un ‘impresa storica: ha percorso la salita di Plateau de Beille (15,8 km ad una pendenza media del 7,9%) in 39’44”, ben 4’ in meno di quanti ne sono serviti a Pantani nel 1998. La “Vam” (velocità ascensionale) ha dell’impressionante: al ritmo che ha tenuto nella salita è come sa in un’ora fosse passata dal livello del mare a 1.860 mt di quota. In bici (è bene ricordarlo).