Molteplici sono le ragioni che determinano, in qualunque democrazia, la vittoria di una parte politica o di un’altra. Ragioni che, in considerazione della storia piuttosto che del contesto sociale, possono avere valenze diverse, ma, bene o male, tendono a ripetersi: in ultima istanza, l’aspirazione di qualsiasi popolo e di qualsiasi cittadino è il benessere proprio e della comunità di cui si è parte integrante, partendo dal rispetto della dignità dell’individuo e dalla libertà di espressione, elementi fondamentali a qualunque latitudine e qualunque sia la parte politica in cui si crede.
Peraltro, quasi sempre l’esito elettorale si “gioca” su elementi precisi, che assumono una valenza determinante. La situazione economica, con tutto ciò che si “porta dietro”, è forse quella che più di altre può indirizzare le scelte dell’elettorato, così come, in moltissimi Paesi, tutto ciò che riguarda la sicurezza dei cittadini, ricomprendendo in questa il fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Non fanno eccezione gli Stati Uniti, che il prossimo 5 novembre sono chiamati ad eleggere il nuovo Presidente.
Come già 8 anni fa, quando i contendenti erano Donald Trump e Hillary Clinton, e 4 anni fa (Trump vs Biden) l’esito non è per niente scontato: i sondaggi continuano a dare un lieve vantaggio (quasi incredibilmente, viste le molteplici “magagne” giudiziarie, in corso e “in pending”) a “the Donald”, confermando la “polarizzazione” tra le aree urbane e metropolitane, pro Biden, e quelle più “rurali” e “conservatrici” (vd stati del sud), a favore di Trump.
Probabilmente, ancora una volta, a fare la differenza saranno proprio la situazione economica e la gestione dell’immigrazione clandestina, con particolare attenzione ai flussi provenienti dal Messico.
Per quanto riguarda l’immigrazione, sotto certi aspetti, il fenomeno ricorda quanto sta succedendo in Europa, con la differenza, non di poco conto, che oltre Oceano, non c’è lo “scarica barile” a cui assistiamo, da sempre, in Europa, con gli Stati membri incapaci di arrivare ad un progetto comune. Anche negli USA, infatti, il fenomeno ha assunto dimensioni “bibliche”, con centinaia di migliaia di cittadini in fuga dalla povertà o, peggio ancora, come per alcuni Paesi del Centro America, dalle bande armate e dalla violenza che mette a repentaglio la loro vita. Trump ha fatto della lotta all’immigrazione uno dei cavalli di battaglia (a suo tempo aveva iniziato la costruzione del “muro” al confine con il Messico), facendo leva, appunto, sulla necessità di garantire la sicurezza dei cittadini americani.
Ancora più importante il tema dell’economia.
Come per qualsiasi argomento, più che la realtà conta la “percezione” che si ha della realtà.
E’ fuori discussione che Biden, nel suo mandato, ha saputo dare impulso all’economia USA: il tasso di disoccupazione ormai dal 2022 si può dire che viaggi sui minimi storici, costantemente sotto il 4% (le ultime rilevazioni lo danno al 3,9%: dall’inizio del suo mandato Biden ha creato qualcosa come 15 ML di posti di lavoro), il PIL, per quanto nei primi 3 mesi dell’anno sia risultato molto inferiore al dato dell’ultimo trimestre 2023 (1,6% vso 3,4% – ma l’anomali forse era quella…), continua a dare segnale positivi, che conferma una dinamicità, generando sempre nuovi posti di lavoro (l’ultimo dato parla di 175.000 posti creati nel mese di aprile).
C’è una cosa, però, che mette tutto in discussione: l’inflazione. Un dato che, giorno dopo giorno, toglie certezze ai consumatori americani (e quindi all’elettorato). Da qualche mese i cittadini americani assistono, infatti, alla sua recrudescenza, con l’inflazione core che non accenna a scendere (oggi è ancora al 2,8%, ma le attese dei consumatori sono per un’inflazione al 3,3%): una situazione che ormai va avanti da più di 2 anni, facendo emergere una precarietà che qualche certezza, alle famiglie americane, la toglie. Banalmente, per un cittadino americano, “sganciare” circa $ 3,58 per un gallone (l’equivalente di 3,785 lt) di benzina (è nota la predisposizione ai trasferimenti in auto da parte dei cittadini americani, che spesso abitano distanti decine e decine di km dal posto di lavoro), vale molto di più che sapere che la disoccupazione è vicina ai minimi storici. Piuttosto che vedere che 1 libbra (2,2 kg) di pane bianco, al supermercato costa oltre $ 2.
Non a caso le ultime statistiche non aiutano “il morale”, a partire dalla liquidità sui conti delle famiglie. Pare, infatti, che i $ 2.100 MD che lo “stay home” pandemico aveva contribuito ad accumulare siano finiti, contribuendo non poco a generare un diffuso senso di povertà, a partire dal ceto medio. Ma non finisce qua. Negli ultimi mesi è cresciuto in maniera esponenziale il tasso di “default” (gli insolventi) delle carte di credito, arrivato, secondo la FED, al 3,1% (ma per le piccole banche siamo al 7,80%). Non meglio va per chi ha contratto un prestito per l’acquisto per l’auto (oltre che viaggiare molto il cittadino medio americano si indebita molto – il debito complessivo delle famiglie americane ormai è a $ 17.500 MD – , come le “disavventure” del 2007/2008 ci ricordano): oggi, sempre per la FED, il 2,66% di chi ha contratto un debito per l’acquisto dell’auto non è in grado di far fronte (ma, se si parla della fascia tra i 18 e i 29 anni si arriva al 4,79%), il massimo dal 2010.
Una fotografia che ci da un quadro un po’ meno brillante rispetto ad una lettura che si ferma ai dati sull’occupazione piuttosto che alla crescita. E che probabilmente preoccupa non poco Biden, che sa bene (e se non lo sapesse lui, senza dubbio lo sa bene il suo staff) che, alla fine, sono queste le cose che rimangono più “scolpite” nella mente delle persone.
Giornata senza infamia e senza lode, ieri, per i mercati Statunitensi, con il Dow Jones a – 0,21%, Nasdaq + 0,21%, S&P 500 piatto.
Poco mossi, questa mattina, gli indici asiatici: il Nikkei di Tokyo sale dello 0,46%, mentre sia Shanghai che l’Hang Seng di Hong Kong veleggiano intorno alla parità.
Futures ovunque senza particolari spunti, con variazioni minime.
Petrolio sui prezzi di ieri, con il WTI a $ 79,16.
Gas naturale Usa a $ 2,35, in calo questa mattina dell’1,47%.
Oro a $ 2.344 (- 0,04%).
Spread a 134m7 bp.
BTP a 3,85%
Bund fermo a 2,50%, mentre il treasury Usa si conferma al 4,48%.
€/$ a 1,0787.
Bitcoin a $ 62.645.
Ps: comincia oggi il Festival del Cinema di Cannes (forza Sorrentino). Il caso vuole che proprio oggi compia gli anni (80) George Lucas, forse uno dei più grandi registi degli ultimi anni, se non della storia. A lui si devono film (o meglio, saghe) come Star Wars e Indiana Jones. Ma non finisce qua. Compie gli anni (però 72) un altro “grande” del cinema: Robert Zemeckis, il regista di Ritorno al futuro ( 1, 2 e 3) e Chi ha incastrato Roger Rabbit. Chissà se il 14 maggio, quindi, è solo una coincidenza.