L’inversione di rotta subita dai mercati nel pomeriggio di ieri (sia per quanto riguarda gli indici azionari che i bond) ci conferma come l’attenzione degli operatori sia essenzialmente rivolta alle vicende economiche e agli eventuali impatti che ne potrebbero derivare sulle politiche monetarie. I rischi geo-politici, evidentemente, per il momento rimangono sullo sfondo, una sorta di “corollario”, che potrebbe modificare lo scenario nel caso di una “propagazione” del conflitto (vedi, per es, un eventuale attacco di Israele all’Iran, ritenuto da molti il più forte sostenitore di Hamas – a tal proposito sembrerebbe che la preparazione dell’attacco del 7 ottobre sia durata 2 anni: se così fosse, le colpe dell’intelligence israeliana sarebbero ancora più gravi di quanto già non siano). E la visita a Tel Aviv del Segretario di Stato Blinken, probabilmente, non ha avuto solo lo scopo di confermare la “vicinanza” americana al popolo israeliano, ma anche quello di “placare l’ira” del Governo e dell’apparato militare, con l’obiettivo di far comprendere gli enormi rischi a cui non solo Israele, ma tutto il mondo occidentale, potrebbero andare incontro. Se la prova di forza, ormai certa, che si riverserà sulla Striscia di Gaza fosse priva di controllo, con migliaia di morti tra cittadini comunque inermi, per di più ridotti allo stremo dalla mancanza di qualsiasi cosa, dalla luce all’acqua ai generi di prima necessità per arrivare alle cure mediche, agli occhi del mondo arabo, ma anche di gran parte del mondo, il rischio potrebbe essere di considerare Israele alla stregua dei terroristi di Hamas, con conseguenze facilmente prevedibili.
Il motivo del “dietro-front” di ieri è stato dettato, ancora una volta, dai dati macro. Questa volta, sul “banco degli imputati” è tornata l’inflazione americana.
Le attese di analisti ed investitori sono andate parzialmente deluse: infatti, nel mese di settembre, l’andamento dei prezzi è stato leggermente più negativo di quanto ci si aspettasse.
A fronte di previsioni pari allo 0,3% mensile e al 3,6% annuo (indice CPI, Consumer Price Index), l’aumento è stato dello 0,4% del 3,7%. Un solo decimale, quindi, ma tanto è bastato per far cambiare l’umore. Il pensiero è subito andato alla FED e alle prossime 2 riunioni previste entro la fine dell’anno ( l’1 novembre e il 13 dicembre). Se, a riguardo della prima, rimane forte la convinzione che nessuna decisione sarà presa a riguardo di un nuovo aumento dei tassi, lasciando le cose invariate, sulla seconda, invece, le probabilità che ci possa essere un nuovo ritocco verso l’alto sono cresciute, passando dal 26% al 37%. Da considerare anche il fatto che la “super inflation”, che esclude i prezzi dell’energia e i costi abitativi, è aumentata dallo 0,4% mensile allo 0,6% mensile, mentre quella su base annua è a risalita al 3,8%, i livelli in cui, più o meno, si trovava ad inizio estate.
La disinflazione, quindi, fatica ad affermarsi, non garantendo quell’andamento lineare di discesa dei prezzi che tanto piace agli osservatori, con il rischio di complicare non poco le cose. E le vicende geo-politiche, in questo senso, qualche conseguenza possono portarla, aggravando ulteriore il contesto.
Non a caso, il prezzo del gas, in Europa, è aumentato, nell’ultima settimana, di circa il 40%, tornando ai livelli di circa 6 mesi fa (€ 53 per megawattora). Va anche detto che l’aumento è in parte dovuto al presunto sabotaggio del gasdotto finlandese verso l’Estonia, oltre all’attività speculativa di qualche operatore.
L’attenzione rimane alta non solo negli Usa, ma anche in Europa, dove, però, la situazione sembra un pochino diversa, con un’economia che fatica un po’ di più, condizionata dal calo della Germania; elemento che da voce a coloro che, all’interno del Comitato Direttivo BCE (Francia, Spagna, Italia per citare i Paesi più autorevoli), spingono per un una pausa dopo 10 rialzi consecutivi. E’ probabile, quindi, che nella prossima riunione del 26 ottobre le cose rimangano invariate (Centeno, Governatore della Banca del Portogallo, addirittura si spinge a dichiarare che “l’aumento dei tassi è terminato”).
L’inversione di tendenza di ieri pomeriggio, con i mercati USA in calo (Nasdaq – 0,37%, Dow Jones – 0,51%), ha cambiato l’umore anche degli investitori asiatici.
Questa mattina tutti gli indici puntano al ribasso: a Tokyo il Nikkei è in calo dello 0,55%, a Hong Kong l’Hang Seng perde il 2,21%, mentre Shanghai “lima” dello 0,72%.
In ribasso anche Seul e, in India, Mumbai.
Segnali di ripresa per i futures Usa, mentre per il momento appaiono deboli quelli europei.
Segnali di ripresa per il petrolio, con il WTI che recupera $ 84 (+ 1,23%).
Gas naturale Usa – 0,99%, a $ 3,316.
Oro che continua la sua fase di recupero, arrampicandosi a $ 1.891 (questa mattina + 0,33%).
Spread a 197 bp, con il BTP a 4,75%, 10bp in più rispetto al giorno precedente.
Bund 2,78%.
Treasury Usa 4,69%, dal precedente 4,57%.
Riguadagna terreno il $, con l’€/$ a 1,0543.
Bitcoin che rincorre sempre i $ 27.000 (26.836).
Ps: la domanda è: ma cosa spinge ragazzi che vivono il “mondo dorato” del calcio, modelli per molti altri giovani, che godono di ingaggi milionari, di privilegi unici, con il futuro dalla loro parte, a scommettere illecitamente, arrivando, a quanto pare, in qualche caso, anche a indebitarsi…?