Secondo l’European Consumer Payment Report, 4 italiani su 5 (e quindi l’80% della popolazione) si sentono impoveriti dall’inflazione (o meglio, dal caro energia, comunque il maggior “contributore” al rialzo dei prezzi), mentre un altro 16% ritiene che lo sarà a breve. L’incremento del costo della vita, in altre parole, li costringe ad intaccare i propri risparmi per poter sostenere le spese quotidiane, costringendo molti a rivedere le proprie abitudini di vita e a fare qualche rinuncia. La riduzione del reddito (perché di questo si sta parlando) rende molti cittadini più precari di quanto non si sentissero durante i lockdown del 2020 e le restrizioni del 2021: circa il 17% dichiara di stare addirittura peggio rispetto a quel già difficile periodo. “L’ansia da bolletta” sta creando una vera e propria sindrome, in cui si fa largo per molti il timore di non essere in grado di pagare le bollette: da qui la ricerca di cosa “tagliare”, magari eliminando alcuni consumi piuttosto che la ricerca di punti di acquisto che vendano a prezzi ridotti. Fino ad arrivare, appunto, ad intaccare il “tesoretto” accantonato negli anni. Minori consumi minori spese, minori spese minori investimenti, minori investimenti minor produttività, minor produttività minor lavoro, minor lavoro maggior disoccupazione, maggior disoccupazione maggior precarietà, maggior precarietà minori consumi, e via di questo passo…Così nasce, in parole molto sintetiche, la tanto temuta recessione.
Si può ben capire, quindi, il motivo per cui gli sguardi sono tutti rivolti ai dati sull’inflazione americana attesi per oggi. Passo fondamentale per comprendere quali potrebbero essere le prossime mosse della Banca Centrale americana, il cui comitato è fissato per mercoledì. Tra poche ore capiremo se l’inflazione Usa proseguirà la sua discesa. I mercati, infatti, si attendono che passi dal 7,7% di ottobre al 7,3% di novembre: se così fosse, è pressochè certo che la FED limiterà il rialzo allo 0,50%, interrompendo la sequenza (4 di fila) di riali dello 0,75%. Si sprecano le previsioni, da parte degli addetti ai lavori, di quale sarà il punto di arrivo dei tassi americani: il range, comunque, dovrebbe posizionarsi tra il 4,75% e il 5,25%. Probabile, come spesso succede, che ci si fermi nel mezzo, e quindi al 5%. Cosa che, da sola, evidentemente, non risolve il problema. Occorre, infatti, definire anche i tempi in cui rimarranno su questi livelli: poiché si ritiene che, almeno negli USA, l’inflazione possa rientrare verso il 2% (il numero “magico” – quello che gli esperti chiamano “inflazione targe” – su cui ruotano le politiche monetarie delle Banche Centrali) solo nel 2024, l’ipotesi più diffusa è che per almeno gran parte del 2023 i tassi si manterranno su quei livelli.
Un po’ meglio, per quanto riguarda i tassi, dovrebbe andare per l’Europa. Il giorno successivo, giovedì, sarò il turno della BCE, con la Presidente Lagarde che potrebbe limitare il rialzo allo 0,50%, sulla falsariga della FED. Un rialzo, quello dello 0,50%, dato quasi per acquisito, a meno di (improbabili) sorprese negative sul fronte dei prezzi. Rimane invece da definire l’inizio dell’immissione sul mercato dei titoli acquistati in questi anni, dando il via a quello che si definisce QT (quantitative tightening). Aspetto oltremodo importante e determinante, oltre che compito non semplice per la BCE, che dovrà valutare i possibili impatti sui tassi in funzione del suo inizio e della sua portata. Gli analisti si aspettano marzo 2023 come da di inizio e tra i 10 e i 20 MD mese come “portata” (poca cosa se raffrontata ai $ 95MD mese già fissati dalla FED americana). Dalla sommatoria dei 2 strumenti (rialzo dei tassi, riduzione del bilancio della Banca Centrale), come noto,può dipendere infatti la velocità della ripresa se non la tenuta dell’economia.
Nell’attesa, intanto, ieri i mercati europei si sono mossi (poco) all’insegna della cautela. Non è stato così, invece, per quelli americani, con Wall Street che, nel finale di seduta, ha avuto un’accelerazione che ha portato il Nasdaq a chiudere a + 1,24% e il Dow Jones a + 1,58%.
Piazze asiatiche ben intonate, con il Nikkei giapponese a + 0,40% e Hang Seng ad Hong Kong + 0,71%. Sulla parità Shanghai.
Futures appena sopra la pari negli USA, mentre in Europa sono impostati per un rialzo più sostenuto.
Petrolio ancora in rialzo, con il WTI che si porta oltre i $ 74 (74,34, + 1,49%).
Gas naturale Usa a $ 6,804 (+ 3,16%).
Gas europeo a € 136,10 (- 2,65%) per megawattora.
Oro di nuovo in “vista” di quota $ 1.800 (1.799,70, + 0,31%).
Spread sempre a 187 bp, con il rendimento del BTP “ancorato” a circa 3,70%.
Treasury Usa a 3,60% dal 3,55% di ieri.
Poco mosso l’€/$, a 1,055, con l’€ in leggerissimo rafforzamento.
Bitcoin a $ 17.145, in leggero calo. Nella notte è stato arrestato Sam Bankman-Fried, il fondatore di Ftx, la piattaforma di criptovalute “saltata” il mese scorso con un “buco” stimato compreso tra i 30 e i 50MD di $, di cui una parte, pare, finiti nelle “tasche” del fondatore, nonché CEO della società.
Ps: tempi di crisi, ma non per tutti. L’industria della cosmesi, uno dei fiori all’occhiello del “made in Italy”, sta conoscendo, infatti, una fase di grande espansione. Il valore delle vendite ha superato € 12 MD, che diventano oltre € 17 MD se si tiene conto del packaging, aspetto fondamentale per quell’industria. Con la ripresa dei viaggi e delle attività di intrattenimento, il “make up”, dopo essere stato a lungo “superfluo” per lo “stay home”, sta crescendo a ritmi record, con rialzi a 2 cifre nell’anno che sta per finire. E così sarà, pare, anche per i prossimi anni, con ritmi di crescita stimati del 5% all’anno.