Sono passati quasi 7 anni da quando, nel giugno 2016, in Gran Bretagna (e Gibilterra) si è svolto lo scellerato referendum voluto dall’allora cancelliere Cameron, sotto certi aspetti emulo di Ponzio Pilato: più semplice, per lui, affidarsi alla “volontà del popolo” piuttosto che “sporcarsi le mani” nel cercare di far comprendere ai propri concittadini i grandi rischi di tornare sui propri passi. Quasi certamente oggi le cose andrebbero un po’ diversamente. Indubbiamente è stato, da quel momento, un rapido susseguirsi di eventi negativi che tutti ben conosciamo, che hanno stravolto le nostre vite, creando nuove abitudini di vita, accompagnate da preoccupazioni sul domani e da una precarietà a cui non eravamo preparati.
L’isolamento a cui è tornato il Regno Unito ha indubbiamente impattato ancor più negativamente sulla qualità della vita di quel Paese.
Non a caso oggi si trova in una crisi più grave di quanto, per esempio, non si trovino altri Paesi della UE, con un quadro economico poco entusiasmante: l’inflazione si trova ancora oltre il 10% (10,1%), un livello ben superiore a quello dell’Eurozona (7% le ultime rilevazioni) e degli Usa (4,9%). La crescita del PIL per il 2023 è prevista allo 0,25%, sebbene la Bank of England abbia rivisto stime che, fino a poco tempo fa, davano per certa la recessione, con l’economia vista in calo dello 0,5%. Ma rimane, per i prossimi 3 anni, la fotografia di un Paese in affanno, con profonde differenze sociali e sacche di povertà che l’inflazione contribuirà ad accentuare (per quest’anno sempre la Bank of England ha dovuto rivedere al rialzo l’inflazione “media”, portandola, dal precedente 3,9%, al 5,1%. Motivo che ha spinto la stessa Banca Centrale ad un nuovo rialzo (il 12° di fila): seppur sia stata la prima, nel dicembre 21, ad aprire il “nuovo corso”, oggi è ancora costretta a “rincorrere” l’aumento dei prezzi, portando il livello dei tassi britannici al 4,5%, il più alto dal 2008. Rialzi, peraltro, che potrebbero anche non essere ancora finiti: infatti si prevede che si possa arrivare al 5% prima di assistere ad uno stop. Ma solo nel 2024 gli economisti ritengono che si possa assistere ad un “dietro front”.
Ancora più grave, sotto diversi, tenuto conto anche della tradizionale stabilità (con Primi Ministri che rimanevano in carica per anni, se non per decenni), la crisi politica, con già 5 Cancellieri (e 7 Governi….) che si sono susseguiti dopo l’abbandono di Cameron subito in seguito ai risultati del referendum(si può dire che la Brexit almeno in questo abbia avvicinato la Gran Bretagna all’Italia…).
Una situazione, quella appena descritta, che conferma come, a livello globale, il quadro sia ancora piuttosto precario. Un’incertezza che ritroviamo nei dati macro pubblicati ieri negli USA, dove le nuove richieste di disoccupazione sono state pari a 264.000 unità (il numero maggiore da ottobre 2021), ben superiori alle precedenti 242.000 e alle stesse stime, che parlavano di 245.000 richieste.
Anche il calo di alcune materie prime ci fornisce indicazioni non particolarmente positive, con il petrolio e il rame (forse i 2 maggiori indicatori dell’andamento delle attività produttive) che vedono i prezzi in discesa (in particolare il rame ha perso, da metà gennaio, circa il 15%).
In un contesto simile, i mercati globali si mantengono piuttosto prudenti, per non dire poco propensi al “risk on”, e quindi ad aumentare la propensione al rischio.
Ieri sera Wall Street ha chiuso ancora una volta in maniera contraddittoria: marginalmente positivo il Nasdaq (+ 0,31%), aiutato dalla percezione che nel prossimo meeting di giugno la FED “non muoverà un dito” (i futures stimano, con il 95% di probabilità, che i tassi rimarranno fermi), mentre il Dow Jones è sceso dello 0,66%.
Questa mattina in Asia il Nikkei di Tokyo sale dello 0,90%, mentre sono in calo Shanghai (- 0,90%) e Hong Kong, con l’Hang Seng a – 0,42%.
Leggermente debole il Kospi di Seul (– 0,2%), mentre sale l’India (Sensex Mumbai + 0,3%).
Futures in rialzo, ad indicare un inizio di giornata positivo un po’ ovunque.
In arretramento le materie prime.
Il WTI si riavvicina alla soglia dei $ 70 (70,53, – 0,59%).
Gas naturale Usa a $ 2,173 (- 0,91%).
Oro che si allontana ulteriormente dai massimi, riportandosi verso quota $ 2.000 (2.015, – 0,36%).
Spread a 188,6 bp, con il rendimento del BTP vicino al 4,10%.
Treasury USA a 3.37%, con la discussione sull’innalzamento del tetto del debito USA (oggi fissato a $ 31,4 billion) che continua con qualche difficoltà (l’incontro tra Biden e i leader del Congresso è stato spostato alla prossima settimana).
€/$ a 1.0931.
Bitcoin che “buca” i $ 27.000, scendendo a $ 26.257, in calo questa mattina di un altro 2,57%.
Ps: e cinque. A tante ammontano le lauree Honoris causa assegnate a Giorgio Armani dopo che ieri ha ricevuta quella in Economia (Global Business Management) da parte dell’Università Cattolica di Piacenza, la città in cui è nato. A 89 anni è sempre più “Re Giorgio”.