Se si dovesse, con una parola, rappresentare il momento che stiamo vivendo, forse nessuna meglio di “cambiamento” potrebbe essere presa a riferimento.
L’utilizzo più comune è a riguardo del clima: proprio in queste ore la Florida è attraversata dall’uragano Milton, da molti definito “la tempesta del secolo” per la sua violenza. Ma anche da noi le piogge di queste settimane sono dai più ritenute l’effetto di un cambiamento climatico drammatico.
Ma il “cambiamento” non riguarda solo il clima: basti pensare alle nostre abitudini di vita (con il Covid che ha oltremodo accelerato molti processi se non causato nuovi “approcci” al vivere quotidiano), alle abitudini alimentari, ai consumi, al lavoro, etc.
In realtà il “cambiamento” non è una “moda” o un fenomeno “passeggero”: il mondo vive, da sempre, di cambiamenti. La differenza, indubbiamente, è data dalla “velocità” con cui avvengono e con cui si ripetono. Pensiamo, banalmente, alla tecnologia: spesso non si ha il tempo di “sedimentare” un prodotto che già ne viene commercializzato un altro, facendo apparire vecchio il precedente, magari con pochi mesi di vita.
Anche l’economia e la finanza non ne sono esenti. Se in passato erano, probabilmente, considerati un terreno un po’ “ostico” e argomenti quasi “elitari”, oggi sono diventati comuni, di cui si discute tra amici o in famiglia: non a caso, in qualsiasi telegiornale, anche nei più “generalisti”, lo spazio dedicato alle notizie finanziarie è sempre maggiore.
In ambito finanziario, il “cambiamento” più evidente è senza dubbio quello portato avanti dalle Banche Centrali, cambiamento reso ancora più evidente dal diverso “paradigma” che hanno dovuto affrontare: prima un forte rialzo dei tassi per bloccare l’inflazione e riportarla “nei ranghi”, poi quella in cui ci troviamo ora, contraddistinta da un movimento opposto, finalizzato a sostenere l’economia (o rilanciarla laddove abbia perso velocità) e i consumi, “drive” indispensabile sulla strada del benessere.
Qualche numero può aiutarci a capire perché oggi le persone, almeno nel nostro Paese, sono così “attenzionate” sull’argomento.
In primo luogo oramai anche i bambini sanno che il problema dell’Italia si chiama debito pubblico. Non più tardi di ieri, il Ministro Giorgetti ha dichiarato che con € 3.000 MD di debito sulle spalle un approccio “realistico” al tema (lo spunto, ancora una volta, è la nuova Legge di Bilancio e ai “sacrifici” di cui tanto si parla ma di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità) è quanto mai opportuno. In sostanza ha detto ciò che tutti sanno: e cioè che la BCE ci può mettere del suo (il taglio dei tassi, magari pigiando un po’ sull’acceleratore), ma molto dipenderà dalla nostra “credibilità”, che si potrà ottenere e confermare solo mantenendo gli impegni assunti.
Ma non si tratta solo di debito pubblico. Esiste anche un debito privato, facendo rientrare in questa definizione sia quello delle famiglie che quello delle imprese.
In merito al primo aspetto, per quanto le famiglie italiane siano tra le meno indebitate in Europa (non per niente, di contro, abbiamo il debito pubblico maggiore in rapporto al PIL, ad esclusione della Grecia), con un livello pro-capite pari a circa € 22k (contro, per es, a € 37k per i francesi,€ 38k per i tedeschi, € 59k per la Spagna, € 64k per la Gran Bretagna), complessivamente si arriva ad un’esposizione che supera i 600 MD €.
Che è, miliardo più miliardo meno, il livello in cui si trovano le aziende, “esposte”, a fine agosto, per € 587 MD, comunque in diminuzione rispetto ai mesi scorsi (erano 625 un anno fa).
Si parla, quindi, di “altro” debito per circa € 1.200 MD. Ovvio, quindi, che il “pressing” sugli organismi monetari sia forte: anche solo un 1% di ribassi consentirebbe, con un conto molto spannometrico, circa € 12 MD di risparmi privati, per non parlare di quelli pubblici: complessivamente supererebbero il valore della Legge di Bilancio che si sta predisponendo (circa € 25 MD). Qualche problemino in meno Giorgetti lo avrebbe (e con lui il Governo). Ma, soprattutto, lo avrebbe il nostro Paese. Ma, come ben sappiamo, è finita l’epoca dei “pasti gratis”…
Ieri sera nuovo record dei listini newyorkesi, con il Nasdaq che ha chiuso a + 0,80%. Meglio ha fatto il Dow Jones (+ 1,03%), mentre lo S&P 500 si è fermato a + 0,71%.
Questa mattina i listini asiatici hanno ripreso la loro “marcia”: a “tirare la volata” ancora Hong Kong, con l’Hang Seng, che, in questi minuti, si trova a + 3,27%.
Shanghai al momento fa segnare un + 2%.
Distanziato il Nikkei, a + 0,33%.
Kospi di Seul + 0,6%.
Sensex Mumbai + 0,4%. A proposito di India, lunedì verrà lanciata l’IPO su Hyundai India, la branch indiana della casa madre coreana. Sarà l’operazione più grande mai lanciata in quel Paese: valore oltre $ 19 MD, pari al 40% del valore complessivo della Hyundai (che, ai valori attuali, capitalizza circa $ 45 MD).
Futures leggermente deboli su tutte le piazze.
In leggera crescita il petrolio, con il WTI a $ 73,73 (+ 0,57%).
Gas naturale Usa $ 2,638 (- 0,94%).
Riprende a salire l’oro, che questa mattina tratta a $ 2.633,80 (+ 0,21%).
Spread a 129,5 bp, con il BTP sempre al 3,56%.
Bund a 2,26%.
Treasury a 4,073%, sui livelli di ieri.
Torna a rafforzarsi l’oro, a 1,0942 vso €.
Bitcoin a $ 61.155.
Ps: tra i tanti neologismi che continuano ad arricchire il nostro vocabolario (e non solo il nostro), “googlare” è probabilmente tra i più diffusi. Lo sa bene il Dipartimento di Giustizia americano, che infatti sta valutando uno “spezzatino” di Google per porre fine al suo monopolio nell’ambito delle ricerche on line attraverso il browser Chrome, l’app store Play e il sistema operativo Android. Si calcola che, complessivamente, oggi ben l’89% degli utenti che “navigano” sul WEB e fanno ricerche passano attraverso Google. Chissà se a Mountain View, vicino a Santa Clara – California, sede della società, fanno uso dell’Intelligenza artificiale….