Dire che l’Italia sia diventato un Paese virtuoso è certamente esagerato: sino a quando “viaggeremo” ad un rapporto debito/PIL intorno al 140% (ma anche al 130, o 120%) parlare di “virtuosismi” è fuori luogo.
Peraltro qualche segnale incoraggiante sta arrivando: per quanto riguarda la spesa primaria (al netto degli interessi sul debito), come scritto recentemente, siamo messi molto meglio di alcuni nostri partner europei ben più “autorevoli”, il nostro debito pubblico è si stratosferico, ma non sta crescendo molto di più rispetto a quello di Paesi ritenuti, sino a qualche tempo fa, più attenti ai conti pubblici, il nostro deficit, che in tempi recenti aveva superato il 7%, sta rientrando su valori più adeguati ad un’economia con minori squilibri, sul fronte politico abbiamo una stabilità, per quanto le tensioni tra gli alleati di Governo ogni tanto sembrerebbero portare ad uno “strappo”, che molti Paesi europei ci invidiano (uno dei motivi per cui il nostro spread, per esempio, ha raggiunto livelli che non vedeva da diversi anni, portandosi verso quota 100 bp).
Oggi si può ben dire che altri sono i “malati d’Europa”.
La debolezza dell’Europa oggi dipende principalmente dal fatto che 2 dei Paesi “fondanti” (e più autorevoli, sia per il peso politico che per la valenza economica) stanno attraversando una delle crisi più gravi della loro storia recente. La Francia ormai da quasi 6 mesi si ritrova, di fatto senza un Governo (quello di Barnier è durato uno “stormire di fronde”, senza essere riuscito a varare la Legge di Bilancio): e le “pulsioni” estremiste (di sinistra, ma forse ancor più di destra) complicano non poco la vita a Macron, costretto, ogni 2 per 3, a confermare che lui rimarrà al suo posto sino alla scadenza del suo mandato (2027). Nel frattempo, il debito pubblico continua a lievitare (siamo a circa € 3.300 MD, per un rapporto debito/PIL ormai al 113%) e lo spread ha raggiunto livelli che aveva conosciuto solo durante la crisi del debito sovrano post Lehman Brothers, avvicinandosi pericolosamente al nostro.
La Germania, di contro, oramai da oltre un paio di anni, non cresce, trascinandosi in una sorte di “recessione tecnica”, con i trimestri che si susseguono “a botte” di – 0,1/-0,2%, e poi magari con un leggero recupero che riporta il segno appena positivo, senza però avere la forza di confermarsi nel tempo. Molteplici le cause di una crisi che prima ancora che economica forse è politica, dove si fa sentire la mancanza di una leasdership vera, in grado di gestire un’alleanza di Governo molto variegata e, di conseguenza, complessa, al punto che a febbraio 2025 si terranno elezioni anticipate.
Sul fronte economico, le conseguenze della guerra ucraina si fanno sentire molto di più rispetto ad altre economie, in considerazione anche della forte dipendenza dalla Russia delle forniture energetiche. Una dipendenza che ha costretto il Paese (non l’unico, a dire il vero) a “riscoprire” l’energia fossile, con il paradosso della riapertura addirittura di alcune miniere di carbone. Un Paese a vocazione industriale come la Germania, in cui l’automotive è il settore trainante, seguito dall’industria chimica, si è trovato a fare i conti con costi produttivi ben più elevati di quanto stimato, con investimenti miliardari in ricerca quasi andati in fumo, con una domanda di beni in continua diminuzione e con una concorrenza (quella cinese) in grado di “sfornare” prodotti analoghi a costi enormemente inferiori.
Con una situazione così difficile, con marchi illustri (vedi Volkswagen) costretti a chiudere impianti e a ridurre la forza lavoro, con una produzione industriale calata, nell’anno in corso, del 4,5% ed un’economia in calo dello 0,1%, pensare che gli investitori vedano “opportunità” su quel mercato può sembrare pura follia.
E invece….
Invece di troviamo col paradosso che l’indice di borsa tedesco (DAX) si trovi ai massimi storici, con una performance che, da inizio anno, supera il 21% (per dire l’indice parigino, CAC 40, da inizio anno ha fatto – 0,67%, percentuale senz’altro più coerente con la situazione francese). C’è qualcosa che non quadra, si dirà, visto che, in tempi normali economia e mercati finanziari dovrebbero “andare a braccetto”.
A tutto c’è una spiegazione: la ragione principale sta nel fatto che le principali aziende tedesche producono in gran parte fuori dai loro confini e, fatto forse ancora più rilevante, che l’indice tedesco si regge su pochissime aziende, molto capitalizzate e con performance molto brillanti. Una sorta di “magnifiche 7” ancora più ristrette (in un mercato che quota molto meno dello S&P 500).
Secondo uno studio di Desutsche Bank, le società quotate al Dax producono l’84% dei ricavi fuori dai confini tedeschi. Di conseguenza, i profitti delle società tedesche risentono in minima parte della crisi di Berlino. Basti pensare che, per il 2025, i profitti sono visti in rialzo del 12,90%.
E poi, come detto, c’è il tema della “concentrazione”: il 40% dell’indice Dax si può dire che sia in mano a sole 4 aziende. Sap (software gestionali), “vale” il 16,7% dell’indice e, da inizio anno, guadagna il 73%. Siemens (peso 9,94% dell’indice), sempre da inizio ha fatto + 14%. Allianz (8,3%) sale, da inizio anno, del 24,6%. Deutsche Telecom (7,5%), + 40,6% da inizio anno.
Ecco, quindi, come spiega la “distorsione”. O meglio sarebbe dire la divaricazione tra economia e mercati. Anomalie, peraltro, che esistono da sempre (negli anni 90 le società petrolifere si trovavano in una situazione simile), ma che oggi forse appaiono ancora maggiori, essendo il fenomeno esteso a molti mercati.
Le chiusure negative di ieri sera a Wall Street (Dow Jones – 0,54%, S%P 500 – 0,61%, Nasdaq – 0,84%) non disturbano affatto i listini del Pacifico.
A Tokyo il Nikkei si appresta a chiudere a + 0,53%, Shanghai è quasi appaiata (+ 0,49%), a Hong Kong l’Hang Seng è intorno alla parità.
A Seul rimbalza il Kospi (+ 2,40%).
In calo, invece,il Taiex a Taiwan (- 0,64%).
Leggermente debole anche la borsa di Sidney (- 0,3%).
Futures appena sotto la parità su entrambe le sponde dell’oceano, con un calo leggermente più marcato su quella europea.
Petrolio in leggero calo, con il WTI a $ 68,08 (- 0,53%).
Identico il calo del gas naturale Usa, a $3,171.
Si riavvicina a quota $ 2.700 l’oro (2.693, + 0,20%).
Spread a 108 bp.
BTp al 3,19%.
Bund 2,11%.
Treasury a 4,18%.
Stabile l’€/$ (1,0564).
Bitcoin a $ 98.015, dopo che nella notte era sceso sin verso i $ 97.000.
Ps: oramai si parla sempre più di “giovani anziani”: l’aumento delle aspettative di vita, una qualità di vita molto migliorata rispetto al passato, interessi che non vengono meno con il passare del tempo sono tutti fattori che aiutano a rimanere (o farsi sentire) più giovani, almeno rispetto all’età anagrafica. A qualcuno, però, tutto questo “riesce meglio”. Per esempio, a Gianni Morandi, lui sì un eterno ragazzo. “Un ragazzo” che domani compirà 80 anni (non c’è che dire, molto ben portati) e che festeggerà con l’uscita di un nuovo album.