Direttore: Alessandro Plateroti

Il primo mese dell’anno si è chiuso con la pubblicazione di un dato (riferito comunque al 2023) che, ad una prima lettura, si presta alla fotografia di un Paese in grande salute.

I dati sull’andamento dell’occupazione resi noti dall’Istat vanno però letti con attenzione.

Nel 2023, infatti, si sono aggiunti 456.000 occupati, tra dipendenti, a tempo indeterminato e a tempo determinato, e autonomi, che ha portato il numero degli occupati a 23,7 ML, il numero più alto mai registrato da quando sono iniziate le rilevazioni da parte dell’Istituto di statistica.

Tutto bene quindi? Il valore che deriva dal numero dei lavoratori attivi non è dato dalla pura analisi statistica: va visto, infatti, in relazione alla produttività e alla crescita che si riescono a realizzare. Infatti, al record di occupati dovrebbe corrispondere una crescita (fatta da produzione, valore dei servizi, consumi) altrettanto forte. Cosa che, invece, non si sta verificando. Il che, evidentemente, dovrebbe portare a qualche riflessione.

Cominciamo con il dire che, normalmente, c’è un certo “disallineamento” tra crescita e occupazione, quantificabile in un lasso temporale di circa 6 mesi (vale a dire che rispetto al dato di fine anno si dovrebbe prendere a riferimento la crescita che si realizzerà alla fine del 1° semestre dell’anno in corso). Detto ciò, peraltro, emergono altre analisi.

Se guardiamo, per es, alle ore lavorate si nota che l’aumento è stato dell’1,1% rispetto al 2022, mentre il livello di produttività si è incrementato di un modesto 0,3%.

Un altro elemento che andrebbe analizzato, poi, è quello relativo alla natura dei contratti (cosa al momento non ancora disponibile): vale a dire capire quanti sono effettivamente i contratti a tempo pieno e quanti quelli part time.

C’è poi l’aspetto legato all’utilizzo dello smart working. Oggi solo il 9% dei lavoratori non se ne avvale. La stragrande maggioranza del restante 91% lavora da casa 1 o 2 giorni alla settimana. Cosa che, indubbiamente può portare a diversi benefici (soddisfazione sul lavoro, minori costi per le aziende, etc), ma, realisticamente, va ad influenzare la produttività media.

Di certo, nel nostro Paese, oggi il livello di disoccupazione è sceso al 7,2% (per fare un raffronto, ad inizio 2020, appena prima, quindi, della pandemia, eravamo al 7,5%). Anche qui, peraltro, la lettura si presta a luci e ombre.

Guardando, per esempio, alla disoccupazione giovanile, si nota che è leggermente calata, ma rimaniamo, quasi drammaticamente, sempre in vetta alle classifiche europee (siamo al 20,1%).

Se “cristallizziamo”, poi, i numeri al mese di dicembre, possiamo notare che è aumentato il numero dei lavoratori autonomi (+ 26.000) e quello degli occupati a tempo determinato (+ 21.000), mentre è diminuito quello dei lavoratori a tempo indeterminato (- 33.000). Mentre è ulteriormente scesa l’occupazione femminile: a fronte di un tasso di occupazione del 61,9% (il tasso di occupazione è l’indice che misura il numero di occupati sulla popolazione totale), si nota che quella maschile tocca il 71%, mentre quella femminile si ferma al 52,8% (quindi quasi una donna su due in Italia non ha un lavoro).

C’è poi un aspetto non meno importante, legato alla demografia (e quindi parametrato alle fasce di età dei lavoratori). Come detto, l’aumento degli occupati, nel 2023, è stato pari a 456.000 unità. Oltre l’80%, però (vale a dire 362.000 persone) ha un’età superiore ai 50 anni. Sempre nello scorso anno,  a causa dello “scatto di età”, sono entrati in quella fascia 874.000 lavoratori, “rimpiazzati”, invece, da soli 569.000 individui. A cui si deve aggiungere che ci sono state oltre 42.000 pensioni anticipate in meno, per cui maggiore è il numero di chi è rimasto al lavoro. Quindi l’equazione “maggior occupazione=creazione di un numero maggiore di posti lavoro” non è matematica.

Infine, è vero che è diminuito il tasso di disoccupazione (0,2% su base mensile, 0,8% su base annua), ma è altrettanto vero che è aumentato quello degli inattivi (quello che un lavoro non ce l’hanno e neanche lo cercano), cresciuto anche qui dello 0,2% mese su mese, ma dello 0,7% sull’anno.

Insomma, “c’è da lavorare” se vogliamo che il nostro Paese si lasci alle spalle un periodo in cui l’incertezza e le preoccupazioni fanno parte del nostro quotidiano.

Ieri, dopo la BCE nei giorni scorsi, è stata la volta della FED.

Come previsto, anche la Banca Centrale Usa ha lasciato le cose come stavamo, confermando la “forchetta” al 5,25-5,50%. A “scuotere” il mercato (che infatti ha chiuso in flessione, con il Nasdaq in ritirata di quasi il 2%, il Dow Jones a – 0,82% e lo S&P 500 a – 1,61%) sono state le dichiarazioni del Presidente Jerome Powell, che ha affermato che indubbiamente l’economia (Usa) fa progressi e che, quindi, entro l’anno i tassi scenderanno, lasciando però intendere che i tagli saranno probabilmente meno di quanto i mercati si aspettassero (3 vso attese di almeno 4), per un totale di 0,75%. A prevalere, quindi, è stata la delusione, come, peraltro, spesso accade in situazioni simili (va comunque ricordato che i mercati arrivano da un “rally” iniziato a fine ottobre, che ha visto le quotazioni dei mercati azionari americani salire a 2 cifre). Delusione che dovrebbe essere pesto riassorbita, senza andare a modificare il “sentiment” di mercato.

Questa mattina i mercati del Pacifico scontano un certo nervosismo.

A Tokyo il Nikkei cede circa lo 0,76%, sulle voci che la Bank of Japan potrebbe varare, per la prima volta dal 2007, una manovra restrittiva, rialzando i tassi (oggi incredibilmente ancora negativi, a – 0,10%).

Non si risolleva Shanghai, positiva in avvio di seduta, ma passata poi in negativo (– 0,64%).

“Tiene”, invece, a Hong Kong l’Hang Seng, che resiste con un + 0,53%.

Futures positivi oltre oceano, mentre soffrono, al momento, quelli europei.

Leggero calo per il petrolio, con il WTI a $ 75,92.

Reagisce il gas naturale Usa, che si riporta oltre i 2,1 $ (2,157, + 2,52%).

Dopo il rialzo di ieri, questa mattina l’oro vede lo 0,35%, a $ 2.062.

In rialzo lo spread, che risale a 156 bp.

BTP a 3,72%. A proposito di BTP, ennesimo successo, ieri, dell’asta del Tesoro: a fronte di un’offerta di titoli (durata 15 anni), riservata ad operatori istituzionali, sono arrivate richieste (70% dall’estero) per € 77MD (grazie a tassi, per quanto in calo, sempre interessanti se confrontati ai rendimenti dei titoli governativi offerti da altri Paesi).

Bund a 2,16%.

Treasury sotto il 4% (3,93).

Significativo rafforzamento del $, con l’€/$ che scende sotto l’1,08 (1,0787).

“Lima” un pochino il bitcoin, che troviamo, questa mattina, a $ 42.227.

Grazie per l’attenzione.

Ps: ancora e sempre lui, Elon Musk. Si diceva, ieri, della sua Neuralink e dell’impianto, in un cervello umano (un paziente tetraplegico), in grado di aiutare, con il solo utilizzo del pensiero, l’uso di smartphone e tablet.

Questa volta, invece, fa scalpore la notizia che un giudice del Delaware ha bloccato il suo compenso straordinario. E che compenso: $ 55,8 MD, varato dal CdA di Tesla nel 2018. Somme che l’imprenditore sudafricano, per quanto naturalizzato americano, dovrebbe restituire.

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ultimo aggiornamento: 01-02-2024


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