In questi giorni è un susseguirsi di numeri e di dati sulle previsioni economiche dell’anno da poco iniziato. Tutte indicano un andamento che, per quanto peggiore, in termini di crescita, rispetto al 2022 (il Fondo Monetario Internazionale stima, a livello globale, un + 2,9% vs il + 3,4%), sarà migliore di quanto ci avevano lasciato intendere le precedenti previsioni(migliorare, sempre a livello globale, di un + 0,2%). Previsioni che, pe quanto riguarda il nostro Paese, migliorano di ben lo 0,8%, permettendoci di chiudere in positivo anche il 2023 (+ 0,6%, favorita da una crescita “acquisita” dello 0,4% grazie all’ottima chiusura 2022, + 3,9%, nonostante un ultimo mese negativo – – 0,1% – dato però inficiato dal fatto che l’ultimo trimestre ha avuto 3 giorni lavorativi in meno rispetto al precedente), allontanando ancor di più lo “spettro” della recessione.
Quello che maggiormente stupisce, però, non è la “resilienza” della nostra economia, che si sta dimostrando più forte di “corazzate” come la Germania (crescita prevista + 0,2%) o la Gran Bretagna (forse la peggiore tra le potenze economiche, a – 0,6%, ma qui, evidentemente, pesa non poco la Brexit: quanti rimpianti….), o il fatto che la Cina stia ripartendo (+ 5,2% la crescita quest’anno) o, ancora, la conferma dell’India (+ 6,1% dopo il + 6,8% dell’anno scorso), ma quanto sta succedendo alla Russia.
A quasi 12 mesi dall’invasione dell’Ucraina, ad oggi l’economia russa, infatti, “tiene” ben più di qualsiasi previsione. Lo stesso FMI ci dice che quest’anno il PIL, dopo la flessione del 2022 (peraltro molto meno di quanto si pensasse, a – 2,2% e non a – 3,4% come si sosteneva), crescerà dello 0,3%, ben il 2,6% in più rispetto al – 2,3% di ottobre. Eppure ben sappiamo come le sanzioni abbiano colpito (e stiano continuando a farlo, visto che a giorni partirà il tanto discusso price cap sulle materie energetiche) Mosca: riserve estere congelate per $ 300MD, esportazioni duramente colpite, pesanti limitazioni all’import di tecnologia, sistema finanziario penalizzato dal blocco del sistema di pagamenti SWIFT.
Evidentemente la Russia, forte delle “amicizie” in giro per il mondo, è riuscita a creare comunque un sistema “parallelo” utile ad aggirare i provvedimenti sanzionatori che l’Occidente ha varato a più riprese in questi mesi. A cominciare dall’export di gas e petrolio: secondo gli analisti di Kpler, solo nel mese di gennaio sono stati esportati, via mare, oltre 158 milioni di barili, ai massimi dell’ultimo anno. Un risultato ottenuto grazie alla “fame” di energia di Paesi come Cina e India, piuttosto che alla compiacenza del sistema armatoriale greco (come noto uno dei più potenti al mondo) o di quello indiano. Un altro capitolo molto importante è quello riguardante l’import, soprattutto di tecnologia: si calcola che le importazioni di chip siano aumentate da $ 1.8 MD del periodo gennaio-febbraio 2021 a ben $ 2,45 MD nello stesso periodo 2022, grazie soprattutto agli arrivi da Cina e Hong Kong. Anche qua c’è il “trucco” per aggirare il blocco: secondo il New York Times l’Armenia ha aumentato di 10 volte l’import di smartphone, che poi vengono rivenduti ad importatori russi. E lo stesso accade, per molti altri prodotti, banalmente dalle lavatrici ai pezzi di ricambio per le auto, con la Turchia, la Bielorussia, il Kazahkstan, il Kirghizistan, etc. Complessivamente sembra che le importazioni siano tornate sopra il livello del febbraio scorso, inizio del conflitto. E, per stessa ammissione del FMI, neanche il price cap potrebbe cambiare lo stato delle cose.
Intanto i mercati hanno chiuso il mese di gennaio con un’altra giornata piuttosto positiva.
Le piazze americane hanno chiuso le contrattazioni ai massimi di giornata, con il Dow Jones a + 1,09%, Nasdaq + 1,59%, S&P 500 + 1,46%. A “scatenare” gli acquisti i dati sui salari USA, cresciuti meno delle previsioni (+ 1% contro il previsto + 1,1%). Bene anche il nostro indice MIB, che grazie al + 1% di ieri ha toccato quasi il + 12% da inizio anno, trascinato dall’aumento dei titoli bancari.
Questa mattina tutte di segno verde le borse asiatiche: sulla parità Tokyo, con il Nikkei a + 0,10%, mentre Shanghai e Hong Kong sfiorano il + 1%.
Futures Usa al momento sotto la parità, di segno opposto, seppur di poco, quelli europei.
In rialzo il petrolio, con il WTI che si riaffaccia verso gli 80$ (79,16, + 0,25%).
In ripresa anche il gas naturale Usa, a $ 2,734 (+ 1,68%).
Oro a $ 1.944,20, questa mattina in leggero calo (– 0,14%).
Stabile lo spread, sempre vicino ai 200 bp (196,6).
Non si muove il rendimento del decennale, in area 4,20%.
Leggero recupero del Treasury, con il rendimento che passa al 3,50% dal 3,54% del giorno precedente.
€/$ a 1,0879, con la moneta unica in leggero recupero.
Bitcoin sempre sul filo dei $ 23.000 (23.093, questa mattina in lievissimo calo, – 0,15%).
Ps: si chiude una pagina che ha cambiato il modo di volare. Dopo 54 anni dal 1° volo (9 febbraio 1969, rotta New York-Londra, e quale altra se no), ieri è stato consegnato dalla Boeing l’ultimo 747 dei 1574 prodotti, l’aeromobile su 2 livellie con 4 motori in grado di trasportare fino a 500 passeggeri. L’ultimo velivolo è stato venduto alla Atlas Air: anche questo un segno dei tempi che sono cambiati. Il primo venne consegnato alla Pan Am, compagnia area a cui si deve gran parte del progetto che ha portato alla nascita del velivolo.