Se l’anno che sta per chiudersi ci da una fotografia del nostro Paese migliore (da un punto di vista macroeconomico) rispetto ai dati previsionali (con il PIL passato dal 3,4% al 3,7% ulteriormente rivisto al 3,9% in queste settimane), il 2023 non si preannuncia tra i più favorevoli. Tra i tanti dati macro che compongono le analisi statistiche, solo 2 sono in crescita, entrambe legate al lavoro e che, comunque, non hanno una valenza positiva: salgono le retribuzioni lorde, “strascico” dell’inflazione (l’impatto sul costo del lavoro non è immediato: paradossalmente assistiamo al rialzo nel momento in cui assistiamo “all’inversione” della curva, con i prezzi che danno i primi segni di cedimento) e sale la disoccupazione, dopo che proprio la settimana scorsa l’Istat aveva reso noto che è scesa al 7,8%, minimo da decenni. Per l’anno prossimo si prevede, infatti, che torni all’8,2%, quasi la norma per il nostro Paese.
Lo scenario previsto dall’Istat non lascia molti dubbi.
Il PIL dovrebbe passare dal 3,9% di cui sopra ad un modesto 0,4% (ma c’è chi, come Fitch, una delle maggiori società di analisi e di rating, prevede un andamento ben più negativo, ipotizzando una decrescita – e quindi una sostanziale recessione, per quanto molto debole, dello 0,1%). Dovrebbero scendere le importazioni, quest’anno cresciute del 13,2%, mentre l’anno prossimo saliranno solo del 2,2%. Idem l’export, che dal + 10,8% passerà al + 2%. La spesa delle famiglie, quest’anno cresciuta quasi in linea con il PIL (+ 3,7%) salirà di un modesto 0,4%, anche qui in linea con il PIL. Sul lato delle imprese, gli investimenti fissi passeranno dal + 10% al + 2%. Sul fronte dell’occupazione, si avrà una crescita dello 0,5%, contro il + 4,3% di quest’anno: un dato che non sarà sufficiente a compensare l’aumento dei livelli di disoccupazione (come detto prevista all’8,2%).
Continuerà a crescere la spesa pubblica: dagli € 852,4 MD consuntivati nel 2019, l’anno chiuderà a € 1.094 MD. Ma l’anno prossimo “decollerà” ulteriormente, toccando, secondo la Legge di Bilancio (a proposito, oggi scade il termine per presentare gli emendamenti – si parla di circa 3.000 – tra cui, entro domenica, dovranno essere individuati quelli da sottoporre al voto del Parlamento, in modo da consentire l’inizio delle votazioni dal 15 dicembre per arrivare al “via libera” probabilmente tra il 22 e il 23 dicembre) i 1.183,6 MD nel 2023 (le voci “incriminate” sono le “solite note”: pensioni, da € 297 ad € 319,7, e interessi sul debito, , da € 77 MD ad € 81 MD), con un’incidenza sul PIL che dal + 57,5% salirà al 59,5%.
Forse non a caso, quindi, arriva ilmonito del Presidente della Repubblica Mattarella sulla necessità di rispetta gli impegni assunti con il Pnrr. Senza dubbio un “dovere istituzionale”, prima ancora che finanziario, non sprecando un’opportunità unica: la perdita di credibilità per l’Italia sarebbe devastante, con conseguenze che potrebbero farsi sentire sul costo del debito, con lo spread che tornerebbe a far sentire il suo peso. Rischio, peraltro, già nell’aria: nella prossima riunione del 14/15 dicembre, la BCE, oltre a ritoccare nuovamente i tassi (previsione 0,5%), dovrebbe riconfermare non solo lo stop agli acquisti dei titoli governativi, ma la loro reimmissione sul mercato (da ottobre la Banca Centrale ha già ridotto l’esposizione sul debito italiano di circa € 800 ML). In sostanza, viene meno una delle leve più importanti per tenere sotto controllo gli spread, soprattutto quelli riferiti ai Paesi più esposti.
Ieri 4° seduta consecutiva in calo per la borsa americana (Dow Jones – 1,03%, Nasdaq – 2%): si ridimensiona il forte rialzo di novembre sulle preoccupazioni che la FED possa continuare sulla strada del rigore “stronger”, accantonando l’idea di un rialzo dello 0,50% e ripristinando la possibilità del 5° rialzo consecutivo dello 0,75% , fatto mai verificatosi, neppure nel momento peggiore della crisi dei primi anni 80 cresciuti con percentuali ben superiori agli attuali.
Il calo dei listini USA si fa sentire in particolar modo a Hong Kong, con l’Hang Seng che cede il 2,97%. Va meglio a Tokyo, con il Nikkei a – 0,7%, e in Cina, dove Shanghai perde lo 0,4%.
Futures appena positivi negli Stati Uniti, sulla parità in Europa.
Nuovo forte calo del petrolio, ai minimi dell’anno. WTI a $ 74,34, questa mattina sulla parità.
Recupera il gas naturale USA, a $ 5,693, + 3,89%.
Oro a 1.787, + 0,17%.
Spread a 179,8, sotto i 180 bp pr la prima volta dalla primavera scorsa, per un rendimento del BTP in area 3.65%.
Treasury Usa a 3,55%.
Stabile l’€/$, a 1,0464.
Bitcoin a $ 16.800 (- 1,32%), nonostante “l’endorsement” di Goldman Sachs, secondo cui il settore delle criptovalute nasconde, dopo il crollo di Ftx, delle opportunità interessanti.
Ps: continua la “querelle” sull’uso del contante (e sulla possibilità che il Governo sposti l’obbligo di accettare transazioni con carte a partire da € 60). Secondo la Confesercenti, il costo annuo, per i commercianti, delle transazioni diverse dal contante è pari a € 772ML (pari allo 0,05% del PIL). Peraltro il precedente Governo a guida Mario Draghi aveva stanziato € 400 ML sotto forma di credito di imposta al 100% per andare incontro ai piccoli esercizi. Secondo Bankitalia il costo del sistema per “tenere i piedi” l’utilizzo del contante (a questi livelli) è pari, tra furti, assicurazioni, trasporto valori, a circa € 7,4 MD su base annua. Che diventano addirittura 10 MD per lo Studio Ambrosetti. Per non parlare del rischio, per molti, di perdere opportunità di business, in considerazione del fatto che il turismo, soprattutto quello estero, e i giovani praticamente usano quasi esclusivamente monete elettroniche.