Agatha Christie era solita dire che “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova”.
Dopo quelli di Germania e Spagna, ieri sono usciti i dati sull’inflazione in Francia. L’andamento conferma il trend in atto, con i prezzi “armonizzati” (vale a dire quelli che vengono segnalati da tutti gli Stati membri UE utilizzando identiche metodologie che li rendono “comparabili”) che scendono al 6,7% dal precedente 7,1% di novembre e l’indice “non armonizzato” (e quindi quello stilato in base a parametri in uso solo in Francia) che rallenta al 5,9% rispetto al precedente 6,2%. Anche per il Paese transalpino la principale ragione va ricercata nel caso dei prezzi dell’energia, mentre, come per Germania e Spagna, anche per Parigi i prezzi al netto dei “contributori” più variabili (energia, appunto, e alimentari) si nota una maggior fatica nel loro arretramento.
La pubblicazione dei dati francesi ieri ha dato nuova linfa ai mercati finanziari europei, con borse in crescita e tassi in diminuzione. Nei primi tre giorni di mercati aperti del 2023, la loro crescita è evidente: a Milano il nostro indice MIB è salito del 4,87%, realizzando la miglior performance europea, seguito da Parigi, dove il Cac 40 è cresciuto del 4,68%. A Francoforte il Dax ha fatto segnare + 4,07%, mentre a Madrid l’Ibex 35 chiude la classifica con + 4,02%, portando la media europea (Stoxx 600) a + 4,35%. Discorso analogo si può fare per i rendimenti dei decennali, scesi ai livelli pre natalizi: il bund tedesco ieri rendeva il 2,27%, l’Oat francese il 2,778% (spread 50,8), il bonos spagnolo il 3,312% (spread 104,2), il nostro BTP il 4,275& (spread 200,5), la Grecia il 4,488% (spread 221,8).
Molteplici sono le ragioni del cambio di marcia.
Innanzitutto una ragione “tecnica”. Ad inizio anno si è in una fase di “costruzione” dei portafogli: tutte le società di asset management, le Banche d’affari, gli investitori istituzionali, infatti, decidono le “strategie” per l’anno che appena cominciando, individuando le classi di investimento e i settori che potrebbero ottenere i migliori risultati. Scelte che si basano, ovviamente, anche sui dati che giorno per giorno vengono comunicati e sulle conseguenti aspettative economiche. Quello che emerso in questi giorni relativamente all’inflazione sta spingendo diversi operatori a ritenere che la spirale dei prezzi abbia toccato il “picco”. Di conseguenza non sono pochi quelli che scommettono su una BCE (il rialzo dei mercati è stato molto più evidente per le piazze europee rispetto a quella americana) meno “aggressiva”, che quindi potrebbe almeno in parte rivedere la propria strategia in tema rialzo dei tassi (mentre non dovrebbero esserci cambiamenti per quanto riguarda le riduzione del proprio bilancio, riemettendo sul mercato una parte del colossale portafoglio di titoli (circa € 4.000 MD) acquistati in questi anni, riduzione comunque piuttosto modesta, visto che si parla di € 15 MD mese a partire dal mese di marzo). Peraltro una certa prudenza potrebbe essere l’atteggiamento più saggio. Vero è che l’inflazione sta flettendo, ma il calo è chiaro che è dovuto quasi esclusivamente ai prezzi dell’energie (che poi sono stati la vera causa dell’esplosione dell’inflazione in Europa, contagiando praticamente tutti gli altri settori). Oggi si assiste al processo contrario: la discesa è stata violenta per quanto riguarda l’energia (basti ricordare che a fine agosto il prezzo del gas europeo aveva toccato circa € 360 al megawattora, ieri ha fatto segnare € 64), mentre è più lenta sulle altre componenti, che recepiscono con più fatica l’arretramento dei prezzi (se i costi di produzione diminuiscono, la diminuzione dei prezzi sulle merci avverrà nel momento in cui verranno messe in distribuzione, con una discrasia temporale che può essere anche di mesi).
Difficile, quindi, che queste evidenze bastino per far cambiare idea alla Banca Centrale europea, dove i “falchi”, in questo momento, sono senz’altro in maggioranza (per buona pace di molti nostri esponenti politici). L’obiettivo era e rimane quello dell’inflazione “target” al 2%: gli sforzi vanno tutti in quella direzione, a rischio di vedere un’economia più lentamente (comunque con un rischio recessione al momento piuttosto limitato, sia in termini di durata che in termini di profondità).
Un atteggiamento che, a maggior ragione, riguarda la FED americana: in Usa, come noto, la crescita dei prezzi trova origine non sulla crescita dei prezzi energetici ma in quella dei consumi, motivo meno “temporaneo”, essendo dovuto al benessere che deriva dalla crescita economica e dai risparmi accantonati. Se ne è avuto prova ancora ieri, nel momento in cui sono state rese note le minute dei verbali dell’ultima riunione del 13-14 dicembre scorso, verbali in cui viene ribadita la priorità nella lotta all’inflazione, allontanando l’ottimismo in una conclusione più ravvicinata del rialzo dei tassi.
L’ottimismo guida anche oggi i listini asiatici. A Tokyo il Nikkei sale dello 0,40%, in Cina Shanghai fa segnare + 1,01%, mentre ad Hong Kong l’Hang Seng cresce dell’1,26%. Bene anche Seul, mentre l’India è sulla parità.
Futures questa mattina in leggera flessione un po’ ovunque, con cali comunque contenuti, intorno al – 0,15/0,20%.
Continuano a soffrire il petrolio ed il gas: il clima particolarmente mite (ieri a Bilbao si sono registrati 25°, oltre 10 in più rispetto alla media di periodo, ad Atene molta gente era in spiaggia) sta limitando i consumi, permettendo agli stoccaggi di rimanere quasi esauriti. Il WTI oggi si aggira intorno ai $ 73,6, mentre il gas naturale USA è a $ 4,106. Di quello europeo si è detto, con le quotazioni ai livelli di fine 2021.
Oro che rimane in “quota” $ 1.860: questa mattina è a $ 1.858,40 in leggerissimo calo (- 0,13%).
Spread in leggerissimo aumento (202,1), per un BTP al 4,29%.
Treasury al 3,71%.
€/$ in modesto indebolimento, a 1,0592.
Stabile il bitcoin, a $ 16.810 (- 0,20%).
Ps: sono passati 56 anni da quando è uscito nelle sale cinematografiche Romeo e Giulietta, forse il miglior film di Franco Zeffirelli.Una vita. Oggi i 2 protagonisti, Olivia Hussey e Leonard Whiting, hanno rispettivamente 71 e 72 anni. Ciò significa che all’epoca in cui girarono il film avevano 15 e 16 anni. Motivo per cui hanno deciso di fare causa alla casa produttrice (la Paramount) che, a loro parere, li costrinse a girare una scena di nudo (peraltro piuttosto pudico). Entità della richiesta danni? $ 500 milioni. Sarebbe interessante capire su quali basi è stata conteggiata, oltre a comprendere quali conseguenze i 2 interpreti abbiano patito.