Direttore: Alessandro Plateroti

Mentre il mondo si interroga se siamo di fronte ad un allargamento del conflitto ucraino (ipotesi drammatica), i mercati sembrano, nelle poche ore trascorse dalla caduta di un paio di missili in territorio polacco, aver già espresso il loro giudizio. A parte il momentaneo, comprensibilissimo, scivolone di Wall Street (tra i pochi aperti nei minuti in cui è stata diffusa la notizia), a cui ha fatto seguito il recupero delle quotazioni (anche se non ai livelli precedenti: il Nasdaq, per esempio, ha chiuso a + 1,45%, mentre prima “girava” intorno al + 2.7%), l’andamento di queste ore sulle piazze asiatiche, nonché i futures su Europa e Usa, confermano che gli operatori ritengono quanto successo un “incidente” di percorso piuttosto che un cambio di strategia da parte della Russia. Tutti gli indici (ma anche altri fattori, vedi, per esempio, l’andamento del $ Usa) non danno segni di cedimento o particolare nervosismo, con una “volatilità” sotto controllo, come dimostra l’indice Vix (non a caso detto “della paura”: il fatto che sia appena sopra il livello di ieri è la testimonianza che di “paura”, sui mercati – almeno per ciò che riguarda l’escalation militare – ce n’è poca).

A far da traino, ieri, ancora una volta, le notizie provenienti dagli Usa, dove, nel pomeriggio, sono stati resi noti i dati relativi ai prezzi alla produzione. Il mercato, che partiva dall’8,4% di settembre, si aspettava una leggerissima discesa all’8,3%: sapere che la crescita è stata “solo” dell’8% (il più basso incremento da 12 mesi a questa parte) ha quindi positivamente stupito gli operatori, convinti ancor di più che, per quanto riguarda la crescita dei prezzi, il “peggio è passato”. L’inflazione, negli Usa, sembra davvero regredire, fornendo ad osservatori e operatori “motivazioni di acquisto”: diventa, quindi, ogni giorni più ampio lo schieramento di chi è convinto che il prossimo 14 dicembre la FED abbandonerà, almeno in parte, gli abiti del “falco”. La strada del rialzo dei tassi, per quanto continui a salire, dovrebbe essere meno ripida: se fino alla settimana scorsa circa il 50% degli operatori era persuaso che il prossimo rialzo sarebbe stato, ancora una volta, dello 0,75%,  ora quasi la totalità ha assunto una posizione ben più morbida, dicendosi convinto che il rialzo si fermerà allo 0,50%. Di conseguenza, il “picco” è stato abbassato al 4,88%, che dovrebbe essere toccato verso la metà dell’anno prossimo, dal precedente 5,10%. Va comunque detto che da qui a quella data verrà pubblicato almeno un altro dato sull’inflazione Usa, per cui potrebbero intervenire ulteriori cambiamenti di giudizio.

Intanto i mercati una volta di più ci confermano come vivano di “futuro” piuttosto che di “qui e ora”: da quando, ad inizio ottobre, sono iniziate a “girare” notizie che i prezzi stessero rallentando la loro corsa, grazie all’azione combinata delle politiche aggressive da parte delle Banche Centrali (innanzitutto FED e BCE) e arretramento, in Europa, dei prezzi dell’energia (in particolar modo del gas), i listini hanno “virato” in maniera evidente, a partire da quelli europei. Il nostro indice MIB, per esempio, ha recuperato oltre il 21%, mentre a Francoforte il Dax è rimbalzato del 20%. Molto di più di quanto avvenuto oltreoceano, dove lo ha fatto S&P 500 ha fatto segnare il + 10%, con il Nasdaq a + 7%.

Altrettanto evidente il recupero del mercato obbligazionario, il vero sconfitto del 2022, con perdite che, per quanto ridotte nelle ultime settimane, superano abbondantemente il 10%, ma che sui titoli high yeld (quelli con rating più basso) sono arrivate quasi al 20%: il rallentamento del rialzo dei tassi, come detto ormai vicini al punto più alto, porta a pensare che le prossime emissioni potrebbero avvenire a condizioni meno interessanti, provocando il ritorno degli acquisti su titoli già emessi, il cui valore è sceso in maniera molto pesante in questi mesi (da qui l’aumento dei loro rendimenti).

Come detto, i listini asiatici hanno reagito (o stanno reagendo) in maniera composta alle notizie provenienti dalla Polonia: se Shanghai al momento è leggermente negativa (– 0,45%), a Tokyo il Nikkei è addirittura in territorio positivo (+ 0,14%). Negativa Hong Kong, dove l’Hang Seng cede circa lo 0,90%.

Futures al momento positivi a Wall Street, mentre in Europa ruotano intorno alla parità.

Petrolio stabile, con il WTI a $ 86,27.

Più debole il gas naturale Usa a $ 5,979 (- 1,06%).

In rialzo quello europeo allo snodo di Amsterdam, a € 129,35 al megawattora (+ 6,81%).

Oro a $ 1.777, praticamente ai massimi dal mese di agosto.

Spread abbondantemente sotto i 200bp (193,7), con il BTP che ritorna verso il 4%. Si chiude oggi il collocamento del BTP Italia: ieri le sottoscrizioni hanno toccato € 2,2MD, portando il totale nei 2 giorni a € 5,4 MD circa. Dato giudicato buono, ma inferiore a quello relativo all’emissione di giugno, quando, alla fine della 2° giornata, si era vicini ai 6MD.

€/$ di nuovo a 1,0378: nei primissimi minuti dall’uscita della notizia sui missili il $ si era portato all’1,030.

Bitcoin che sembra guardare “oltre” il crack FTX (gli ultimi numeri parlano di circa $ 30MD “volatilizzati”): questa mattina quota $ 16.852, – 0,17%.

Ps: cominciano domenica i mondiali di calcio in Qatar. Con noi italiani costretti a fare il tifo per qualcun altro…Non potendo discutere di quale dovrebbe essere la formazione da schierare, si discute di altro. Tipo l’investimento che il nostro servizio pubblico ha fatto per assicurare la visione di tutte le partite del torneo: circa € 150-160 ML “ufficiali”, anche se probabilmente ci si avvicina ai 200…Si sprecano i confronti con 4 anni fa: in Russia (eravamo assenti anche là….) Mediaset spese meno della metà (circa € 80 ML), però ottenne entrate pubblicitarie per circa € 90 ML. Difficile, questa volta, che si arrivi alla copertura dei costi…

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ultimo aggiornamento: 16-11-2022


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