Il cielo sopra l’Italia è caratterizzato da nuvole e la possibilità di temporali, un’immagine che ben rappresenta l’andamento dell’economia nazionale all’inizio del 2025. Secondo la recente analisi dell’Istat, il Prodotto Interno Lordo (Pil) ha mostrato un incremento dello 0,7% nel 2024, anche se il ritmo di crescita si sta rallentando. A gennaio, la produzione industriale ha recuperato il calo subito a dicembre, ma la fiducia delle imprese continua a scendere in quasi tutti i settori. Le prospettive per il commercio internazionale sono cupe, in particolare a causa della minaccia di una guerra commerciale tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche, ha dichiarato ad Huffpost che “l’economia era su un sentiero di graduale e contenuto miglioramento, ma ora il pendolo sta andando verso il peggio”.
L’Italia ha concluso il 2024 con una leggera crescita del Pil, che ha registrato un incremento dello 0,1% negli ultimi tre mesi dell’anno, superando le performance di Germania (-0,1%) e Francia (-0,2%), ma non quelle della Spagna (+0,8%). Questa crescita è stata principalmente alimentata dalla domanda interna, sostenuta da un aumento dei consumi e degli investimenti. Tuttavia, De Novellis avverte che “in questo scenario, i dati del passato non sono più utili per capire il futuro”. L’imprevedibilità delle politiche economiche statunitensi rende ora difficile anticipare l’evoluzione del contesto economico.
Le prospettive per il commercio internazionale rimangono fragili, nonostante i segnali di ripresa evidenziati a fine 2024, quando gli scambi globali di merci hanno mostrato un incremento dell’1,1%. L’Istat mette in guardia riguardo alla possibile escalation delle tensioni commerciali, in particolare tra Stati Uniti, Cina e Unione Europea, che potrebbero influenzare negativamente la domanda globale e le catene di approvvigionamento. Questo scenario rischia di colpire l’Italia, il cui saldo commerciale ha superato i 54 miliardi di euro nel 2024. Le esportazioni verso gli Stati Uniti hanno rappresentato oltre il 10% del totale, con settori chiave come quello farmaceutico (15,1%), dei macchinari (6,8%), degli autoveicoli (5,5%), delle bevande (4,4%) e dell’abbigliamento (3,2%).
A febbraio, l’indice di fiducia delle imprese ha mostrato un deterioramento in quasi tutti i settori, con cali significativi nelle costruzioni, nei servizi e nel commercio al dettaglio. Solo il comparto manifatturiero ha registrato un lieve miglioramento, ma De Novellis avverte che potrebbe trattarsi di un’illusione temporanea. L’incertezza economica porta a rinviare le spese non urgenti, e questo impatta negativamente sugli investimenti aziendali e sugli acquisti di beni durevoli da parte delle famiglie. Inoltre, la crescente percezione del rischio potrebbe tradursi in un irrigidimento delle condizioni di credito, ostacolando ulteriormente la capacità di investimento delle aziende.
Nonostante il quadro economico complessivo sia preoccupante, emerge un segnale positivo dalla produzione industriale, che ha registrato un forte rimbalzo a gennaio (+3,2%) dopo il calo di dicembre (-2,7%). Tuttavia, De Novellis invita a non sopravvalutare questo risultato, sottolineando che dicembre, come agosto, è un mese particolare in cui molte aziende chiudono, riducendo i giorni lavorativi. Il rimbalzo di gennaio è quindi più un effetto statistico che un segnale di crescita reale. Osservando l’andamento degli ultimi mesi, l’indice della produzione industriale si è mantenuto sostanzialmente stabile intorno a 94 punti. De Novellis conclude che questa stabilizzazione potrebbe essere stata il preludio a un miglioramento, ma l’incertezza sulle tariffe e il calo degli investimenti internazionali complicano ulteriormente la ripresa.
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