Come giustamente ci ricorda Danilo Taino in un articolo sul Corriere, Nancy Pelosi, Speaker della Camera Usa (l’equivalente del nostro Presidente della Camera, quindi un ruolo “al di fuori” dell’Amministrazione Biden e non sotto il suo diretto “controllo” politico), ha tutto il diritto di visitare Taiwan, pur non avendo uno specifico concreto valore politico. Rimane da valutarne l’opportunità, in un momento in cui il mondo si trova già ad affrontare una crisi geopolitica piuttosto grave, che vede, seppur non direttamente, il coinvolgimento anche degli Usa.
La Storia ci dimostra che spesso la presunta “opportunità” è direttamente proporzionale alla forza e all’importanza, da un punto di vista economico, di un Paese piuttosto che un altro, oltre che dalla sua ubicazione geografica, come succede quasi sempre ai “territori di confine” (vedi il caso dell’Ucraina).
Nel caso di Taiwan, parliamo di un’isola abitata da circa 24 ML di abitanti, che dal 1949 ha dichiarato la sua indipendenza, mai accettata, dalla Repubblica Popolare Cinese. Va precisato che non solo la Cina non riconosce lo Stato insulare: infatti, neanche gli altri 4 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Regno Unito e Francia) lo riconoscono come Stato indipendente, così come pure la UE. Di fatto, quindi, si parla di una “Provincia” cinese, per quanto tutti lo considerino una realtà “staccata”.
La sua importanza, oltre che dalla posizione geografica (dista appena 180 km dalle coste cinese), deriva dal dominio assoluto nel settore dei semiconduttori, con 2/3 del mercato sotto il suo diretto controllo. TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company) da solo vale l’84% della produzione dei chips più evoluti. La stessa Cina è il maggior partner commerciale, con il 26% degli scambi, seguita, guarda caso, dagli Usa, con il 13%, con il Giappone all’11% e Hong Kong e UE all’8%.
Oltre alla tecnologia, Taipei presidia anche il 10% della flotta navale commerciale mondiale, con 2 dei più grandi porti del mondo (Kao-hsiung e Taipei).
Il PIL procapite è pari a $ 35.000, vale a dire 2 volte e mezzo quello dei cittadini cinesi (e il triplo della media mondiale). Le esportazioni, nel 2021, sono state pari a $ 347 MD, mentre l’import si è attestato a $ 287 MD.
Forse, leggendo queste cifre, l’opportunità è più chiara. Numeri che, comunque, probabilmente “nascondono” la volontà, da parte degli Stati Uniti, di confermare il loro ruolo di “gendarmi del mondo”, come traspare dalle parole di Henry Kissinger, che, all’alba dei suoi 99 anni, continua a dire la sua in fatto di politica estera ed equilibri geopolitici: secondo lui “è importante impedire l’egemonia cinese o di qualsiasi altro Paese, stando però molto attenti a non provocare una crisi globale comparabile alla seconda Guerra Mondiale”.
Sui mercati del Far East, le preoccupazioni di ieri, confermate da cali ben superiori all’1,5%, hanno lasciato il campo ad una maggior tranquillità. Questa mattina solo Shanghai, per il momento, è frazionalmente debole (– 0,05), mentre sia Tokyo che Hong Kong sono in rialzo dello 0,5% circa.
Futures europei e americani in diffuso, seppur contenuto, rialzo.
Petrolio ancora debole, con il WTI a $ 94,33 (- 0,20%).
Gas naturale Usa che è sceso sotto gli 8$ (7,736), mentre quello europeo fa segnare $ 204 al megawattora (+ 3,55%).
Oro a $ 1.774 (- 0,37%).
Spread a 224bp, con il BTP intorno al 3% di rendimento.
Treasury a 2,70%, dal 2,55% di ieri.
In recupero l’€, che torna a 1,018 vso $.
Bitcoin che si muove sempre sulla soglia dei $ 23.000.
Ps: l’esercito Usa, per mano della Cia, ha eliminato Al Zawahiri, l’erede di Bin Laden a capo di Al Qaida, in un blitz avvenuto nei giorni scorsi a Kabul. Ovviamente il Presidente Biden ha fatto sfoggio di enfasi nella conferenza stampa in cui ha reso pubblica l’azione militare. La speranza è che la notizia aiuti il recupero della sua popolarità dai minimi in cui si trova (39%, inferiore a quella in cui si trovava Trump allo stesso punto della sua Presidenza) in vista delle elezioni di mid-term di novembre. Opera, al momento, che appare piuttosto ardua. Vero è che il successo di azioni contro il terrorismo porta ad una crescita della popolarità (Obama, per esempio, con la morte di Bin Laden in circostanze simili aumentò il proprio “share” del 7%, mentre Trump, quando annunciò l’uccisione del capo dell’Isis, al Baghdadi, risalì la china del 4%), ma gli esperti di statistiche e sondaggi affermano che sono “reazioni” di breve periodo. Pare, infatti, che le cattive notizie consolidino il consenso molto più di quelle buone (vd 11 settembre). Oltre al fatto che, durante le crisi economiche, le attenzioni dei cittadini sono rivolte principalmente a “come arrivare a fine mese”, lasciando poco spazio ad altro, per quanto positivo possa essere.