Non c’è solo l’oceano Atlantico a dividere l’Europa dagli USA. Dopo la “3 giorni” (martedì e mercoledì la FED, ieri BCE e Bank of England) delle banche centrali, anche le politiche monetarie, almeno momentaneamente, si dividono.
Dall’altra parte dell’oceano abbiamo una Banca Centrale che, dopo aver definito l’inflazione non più transitoria, ha deciso un netto cambio di marcia, annunciando la fine del piano di acquisti di bond (governativi e corporate garantiti) entro il prossimo mese di marzo (fino a ottobre pari a $ 120 MD mese), ma, soprattutto, ha annunciato che il prossimo anno dovremmo vedere almeno 3 aumenti dei tassi.
Di qua, invece, abbiamo un’istituzione che fa ancora della prudenza il suo “mantra”, confermando sì che a marzo, come da programma, si concluderà il PEPP (piano di acquisti “pandemico”) da € 1.850 MD, ma che i tassi non verranno toccati almeno sino al 2023. Peraltro, il piano APP ( sostanzialmente il QE tradizionale) dovrebbepassare, finito il PEPP, da € 20 MD a € 40 MD mese nel 2° trimestre, per poi scendere a € 30 MD mese nel 3°. Decisioni non “indolori”, che hanno visto una spaccatura all’interno del comitato, con 3 governatori ( Jens Weidmann della Bundesbank, Robert Holzmann per la Banca dell’Austria e Pierre Wunsch per il Belgio) che hanno votato contro (come detto nei giorni scorsi, l’addio di Weidmann, ieri all’ultima presenza nel Comitato, potrebbe portare a nuovi equilibri all’interno del gruppo).
Christine Lagarde ha motivato le decisionidichiarandosi convinta che in Europa l’inflazione è da ritenersi ancora “transitoria”. Il tasso attuale (media per il 2021 2,6%), infatti, dovrebbe salire al 3,2% l’anno prossimo, per poi tornare a scendere all’1,8% (anche se nelle precedenti previsioni era all’1,5%). Aspetto non da poco: va ricordato, infatti, che la “forward guidance” (la politica che determina, nel medio termine, l’indirizzo della Banca Centrale) pone al 2% la soglia dell’inflazione, livello oltre il quale l’Istituto Centrale non può limitarsi a “guardare”. Mantenendolo, quindi, all’1,8% si giustifica la “pazienza” della BCE, mentre Belgio, Austria e, soprattutto, Germania non avrebbero più voluto essere “pazienti”. Non vi è quindi urgenza di “stringere i cordoni”, questo il succo del discorso della Lagarde, in parte preoccupata dal fatto che il PIL della zona €, quest’anno in crescita del 5,1%, l’anno prossimo scenderà al + 4,2%, per poi calare al 2,9% nel 2023 e ancora all’1,6% nel 2024. Sempre che la variante Omicron non crei problemi ben maggiori di quanto sino ad ora si è verificato, con i contagi che crescono ovunque in maniera esponenziale (la curva sta salendo in modo esplosivo in tutto il mondo: ieri in Gran Bretagna i contagi hanno superato le 88.000 unità, a New York sono raddoppiati in 3 giorni, da noi abbiamo toccato i 26.000 casi, il numero più alto da marzo), cosa che non potrebbe non avere conseguenze economiche anche gravi.
Pur terminando il Piano straordinario di acquisti (a marzo, come detto), nel 2022 si prevede che la BCE continuerà ad acquistare titoli per circa € 450 MD; restringendo il campo al nostro Paese, gli acquisti riguarderanno circa il 70% dell’offerta netta di nuovi titoli emessi dal Tesoro, mentre sino al 2024 riacquisterà i titoli che ha già “in pancia” e che via via andranno in scadenza. Cifre comunque enormi, che dovrebbero garantire, in un periodo particolarmente delicato per l’Italia, in considerazione delle prossime elezioni del Presidente della Repubblica (gennaio-febbraio 22) e, ben più critiche, le elezioni politiche del 2023 (sempre che si arrivi a fine legislatura….), un “ombrello” fondamentale per la nostra stabilità finanziaria.
Non la pensa come la BCE (e, in parte, come la FED) la Bank of England (BoE), che, un po’ a sorpresa, ha deciso un aumento dei tassi dallo 0,1% allo 0,25%. Un livello ancora modesto, che però segna la svolta: infatti, la Banca britannica è la 1°, tra le Banche centrali del G7, a ritoccare all’insù i tassi da 10 anni a questa parte. Decisione che arriva dopo la presa d’atto che l’inflazione continua a crescere, con la previsione di un picco del 6% nel prossimo mese di aprile (l’obiettivo, anche per la BoE, è del 2%…), contro previsioni del 5% alla fine del 2° trimestre 22. Non si esclude che, se l’inflazione continuasse a rimanere su quei livelli, i tassi, a fine 2022 possano raggiungere l’1% (sempre nel Regno Unito).
Dopo la forte crescita di Wall Street di mercoledì, ieri il mercato statunitense ha tirato il fiato. Mentre il Dow Jones è rimasto, seppur con una certa volatilità, pressoche piatto, l’indice tecnologico si è “mangiato” tutto il guadagno del giorno precedente, chiudendo a – 2,61%.
Come spesso accade, le piazze del far east questa mattina “respirano” l’aria di New York: tutti i listini si apprestano a chiudere la settimana in calo, con il Nikkei a – 1,80%, Shanghai – 1,15%, Hong Kong – 1,10%.
Futures USA intorno alla parità, mentre quelli Europei indicano discese intorno al mezzo punto (va detto che ieri i listini europei hanno chiuso in territorio mediamente positivo).
Petrolio in leggero calo, con il WTI a $ 71,64, – 0,82%.
Più pesante il gas naturale, a $ 3,694, – 2,12%.
Oro che “riagguanta” quota $ 1.800 (1.809), + 0,5%.
Sul fronte obbligazionario, spread a 131 bp, con il BTP che torna ad un rendimento dello 0,96%.
Le parole della Lagarde danno “fiato” all’€, che recupera verso il $, con €/$ a 1.1326.
Bitcoin che si appresta a chiudere la settimana in “profondo rosso”: – 4%, $ 47.000.
Ps: Bruce Springsteen ha ceduto i diritti del suo catalogo discografico (sia degli album pubblicati che della sua attività di autore) alla Sony per la “modesta” cifra di $ 500 ML . Non è il primo tra i grandi artisti musicali a sottoscrivere un’operazione del genere (il primo fu Bob Dylan, seguito da Paul Simon, Neil Young, etc, per citare i più famosi), ma mai si era raggiunto un valore così alto (nel caso di Dylan ci si fermò a $ 300 ML). Ora, il soprannome di “Boss” è quanto meno doveroso, oltre che assolutamente giustificato….