E’ ben comprensibile la volatilità di questi giorni sui mercati (oltre che prevedibile), frutto del mix derivato dalle decisioni sulle politiche monetarie, situazione economica attuale (ma soprattutto futura) e preoccupazioni legate all’andamento della pandemia. Il risultato, peraltro, come per tutti i cocktail è dato dal giusto dosaggio degli ingredienti.
La giornata di ieri fotografa in maniera piuttosto chiara la situazione. Molteplici sono i fattori che hanno portato tutti gli indici in rosso: finanziari, macroeconomici, sanitari, politici.
Partendo dagli ultimi (che, per una volta non riguardano direttamente il nostro Paese, anche se c’è da scommettere che la tensione è destinata a crescere man mano che ci si avvicinerà all’elezione del Presidente della Repubblica, a meno che non si trovi “la” soluzione che tutti gli analisti e osservatori sembrano preferire, vale a dire la conferma di Draghi Primo Ministro e Mattarella che rimane al suo posto, almeno per il periodo che ci separa dalle elezioni politiche del prossimo anno), la notizia che il senatore democratico Joe Munchin voterebbe contro il Piano di aiuti da circa $ 2.000 MD ($ più $ meno) ha “destabilizzato” i mercati (almeno in parte, soprattutto, ovviamente, quello americano). Ormai, infatti, gli operatori avevano dato per “acquisiti” gli interventi di sostegno: il loro venir meno significherebbe, quindi, togliere risorse alle imprese e alle famiglie, facendo venir meno investimenti e consumi. Nella notte, però, pare che ci sia stato un riavvicinamento tra le parti, con il Presidente Biden che avrebbe convinto Munchin ad un passo indietro, almeno parziale, trovando un punto di incontro (si parla di una riduzione del Piano di aiuti per circa $ 250 MD).
Da un punto di vista sanitario, la situazione è sotto gli occhi di tutti. I nuovi lockdown annunciati in diversi Paesi, le nuove restrizioni (sia quelle già messe in atto che quelle annunciate), una situazione in “divenire” giorno dopo giorno sono tutti elementi che stanno nuovamente provocando grande incertezza, sia tra i Governi che, ancor di più, tra i cittadini. Basti pensare che, soltanto nel nostro Paese, negli ultimi giorni ben 8 ML di persone hanno disdetto le prenotazioni per le vacanze natalizie, rinunciando a viaggi o soggiorni fuori casa, con una perdita per il settore turistico, in termini di mancati incassi, stimata in € 10 MD.
E l’incertezza, come ben sappiamo, è la principale nemica dei mercati. Come dimostra il dato appena indicato, le ricadute dell’incertezza sull’economia sono pressochè immediate. In un momento in cui lo “stay at home” sembra di nuovo farsi largo, ovvio che gli investitori guardino con preoccupazione a quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi. Le stime di crescita per il 2022, seppur inferiori al rimbalzo dell’anno in corso, sono infatti ben auspicanti in termini di rafforzamento del ciclo economico e la stragrande maggioranza degli osservatori era convinta che non i vaccini, seppur non ancora in grado di “proteggere” completamente dal virus, senz’altro avrebbero evitato nuove chiusure. Il ritrovarsi, invece, ancora “sommersi” dai contagi sta provocando una certa destabilizzazione e facendo nascere dubbi sulla effettiva possibilità di mantenere la “velocità di crociera” che tutti gli organismi monetari ed economici (nonché i Governi) avevano previsto.
Per arrivare, poi, alla componente più finanziaria e monetaria. Sono della settimana scorsa le decisioni (o, nel caso, della BCE, le “non” decisioni, visto che la Lagarde ha preferito, per il momento, mantenere le “mani libere” – il che non è detto, visto quanto sta succedendo, non sia la scelta migliore) di alcune Banche Centrali (in primis la FED) per fronteggiare la violenza della crescita dell’inflazione. Ora, se la recrudescenza del virus dovesse continuare, arrivando, come detto, a mettere a rischio la crescita, dall’altra parte una conseguenza (positiva, in questo caso), positiva in questo caso, potrebbe averla, vale a dire “fermare” l’inflazione, se non, addirittura, accelerare la sua discesa. Cosa che, evidentemente, si scontrerebbe con le decisioni di maggior “rigore” assunte neanche una settimana fa (non solo dalla FED: basti pensare alla Bank of England o alla Banca Centrale Norvegese, che hanno deciso un rialzo, seppur modesto dei tassi). La riduzione dei rendimenti dei treasury americani di ieri (passati all’1,37% dall’1,40% del giorno prima) starebbe a dimostrarlo: solitamente, quando la Banca Centrale annuncia politiche di maggior rigore l’immediata conseguenza è assistere ad un rialzo dei rendimenti, non alla loro diminuzione. Se succede significa che gli operatori non sono più così convinti che l’inflazione rimanga ai livelli attuali e “stimano” una sua discesa, che andrebbe, quindi, a penalizzare meno chi investe in obbligazioni. Peraltro, è assolutamente prematuro arrivare a qualsiasi conclusione, vista la “brevità” del periodo osservato.
Ultimo elemento, la decisione della Banca Centrale cinese di “limare” il tasso “prime rate”, portandolo dal 3,85% al 3,80%: un taglio di pochi basis point, quindi, ma che va “controcorrente”, in un momento in cui le altre Banche si muovono in maniera opposta, e che, soprattutto, starebbe a significare un momento di difficoltà per l’economia cinese, come ben sappiamo alle prese con la crisi forse più grave che si ricordi del settore immobiliare.
Di fatto, comunque, la “summa” di questi fattori ha portato ieri i mercati a “pagare pegno”, con discese tra l’1% e il 2%, anche se Wall Street, per citare il mercato “leader” ha chiuso lontano dai minimi). Discese che sembrerebbero, peraltro, frutto più di prese di beneficio che di un effettivo “cambio di umore” degli investitori.
L’andamento dei mercati del Far East asiatico (e dei futures sui mercati occidentali) sembrano favorire la tesi dell’emotività.
I rialzi sono diffusi e, in alcuni casi, “potenti”: Tokyo rimbalza del 2,08%, Hong Kong fa segnare + 1,50%, mentre rimane un po’ più indietro Shanghai, che si ferma ad un + 0,90%.
Come detto, futures ampiamente positivi sulle piazze occidentali, con rialzi superiori all’1% in Europa e vicini all’1% a Wall Street.
Sale il petrolio, con il WTI che si riporta verso i $ 70, dopo la caduta di ieri.
Debole invece il gas naturale, che perde il 2,45% a $ 3.75.
Oro che “perde” quota $ 1.800 ($ 1.792).
Recupera lo spread, che questa mattina scende sotto i 130 bp, permettendo al BTP di rientrare nella “confort zone” sotto l’1%.
$ sempre sostenuto, con €/$ a 1.128.
Ferma la sua discesa anche il bitcoin, che “rivede” i $ 47.000.
Ps: il dubbio di oggi era se dedicare le 2 righe finali a Elon Musk o se, invece, rivolgere il pensiero ad Alex Zanardi. Il “pirotecnico” imprenditore americano (anche se di origini sud africane) ha dichiarato che quest’anno pagherà $ 11MD di tasse. “tanta roba”, come si suol dire. Ma nulla rispetto all’insegnamento che, ancora una volta, ci trasmette il mitico Alex. Mai arrendersi, mai mollare, tirare fuori sempre il meglio di noi e le ultime risorse, anche quando pensiamo siano finite (i famosi ultimi 5 secondi, che poi magari diventano 10 e più). Grazie Alex. Tu si che sei il n. 1.