Quando si pensa alla “speculazione” (riferita ai mercati finanziari), l’immagine è quella di un “avvoltoio” placidamente appostato sul ramo più alto di un albero, da dove si domina agevolmente il panorama, pronto a planare sulla “vittima” designata, approfittando della sua debolezza pe trarre il massimo vantaggio possibile. Nel nostro caso, forse non è sempre corretto parlare di “speculazione” quanto, piuttosto, di comportamenti coerenti rispetto alle vicende che si susseguono.
Prendiamo, per esempio, parlando di un argomento attualissimo, il prezzo del gas (quello determinato dal famoso Ttf di Amsterdam).
Dopo il clamoroso picco di agosto, ricordato ancora nella nota di ieri, in queste settimane, sulle aspettative di un accordo tra i Paesi UE, è iniziata una verticosa discesa che ha fatto scendere il prezzo sin verso i 110€. Ieri, invece, abbiamo assistito ad una veloce inversione, che ha visto un recupero delle quotazioni di oltre il 10%, con un ritorno oltre i 124€. Possiamo chiamare “speculazione” il ritorno di acquirenti, su qui prezzi, dovuto al nulla di fatto nel vertice dei 27 Paesi convocato per deliberare sul price cap (anche se in versione rivista e corretta) e, soprattutto, sulle prospettive che trovare un accordo sarà molto difficile? O, piuttosto, la causa del rialzo è la preoccupazione di pagare oggi, e ancor nei giorni prossimi, un prezzo ancora maggiore e così via?
Verrebbe da dire “ognuno pianga del suo mal”….
“Non ci sono decisioni concrete sull’immediata adozione di un tetto al prezzo del gas. Non c’è nessuna solidarietà sull’uso dei fondi europei, né passi avanti sulla riforma del mercato elettrico. Nelle conclusioni di questa riunione non c’è nulla di precise”. Queste le parole con cui Mario Draghi, al suo ultimo vertice in qualità di Primo Ministro, ha “sepolto” l’incontro, dichiarandone il sostanziale fallimento. Guarda caso, quando le attese sono per un accordo, i prezzi, determinati dai contratti futures, e quindi, appunto, dalle “aspettative”, scendono, quando si allontanano, come ieri, si assiste esattamente all’opposto (+ 10%).
Ancora una volta l’elemento (o meglio, il Paese) di disturbo è la Germania, non quindi un Paese qualsiasi. Ogni qualvolta l’economia europea più forte, seppur stia attraversando una fase non semplice, dimostra di avere le idee “confuse” (che derivano, evidentemente, da una leadership debole da parte del proprio cancelliere Scholz), l’Europa conferma di non essere in grado di “virare”, prendendo in mano la situazione (confermando, a sua volta, un analogo problema di leadership, aggravata dall’uscita di Mario Draghi, lui si vero leader e convinto europeista). Una posizione, quella tedesca, che la sta portando ad un sempre maggior isolamento, isolamento aggravato e reso tangibile dalla decisione di stanziare € 200MD per sostenere le imprese e le famiglie, evidenziando una volta di più la distorsione del mercato UE verso i paesi più ricchi, “tagliando le gambe” all’idea di solidarietà e visione comune, capisaldi di ogni unione, politica o economica che sia.
E allontanando sempre di più l’idea di un intervento comune, una sorta di Recovery Plan dedicato alla crisi energetica.
Intanto si chiude una settimana contrastata per i mercati asiatici. Non si ferma la discesa a Hong Kong, con l’indice Hang Seng che cede lo 0,7%. Un po’ meglio va per Tokyo, con il Nikkei a – 0,51%, e Shanghai, a – 0,12%.
Futures al momento deboli, per un avvio di seduta visto in calo dello 0,9% in Europa e dello 0,3% per lo S&P500 a Wall Street.
Petrolio poco mosso, con il WTI a $ 84,45.
Gas naturale Usa in calo dell’1,4%, a $ 5,294, valori che non si vedevano da giugno.
Oro che si porta verso i $ 1.600 (1.624), con un calo dello 0,84, penalizzato dal rialzo dei tassi reali in Usa.
Spread a 234 bp; la debolezza del bund tedesco, che ieri è arrivato a toccare il 2,4% (secondo qualche banca d’affari dovremmo essere vicini al picco del 2,5%, da dove poi potrebbe cominciare la discesa) fa si che il nostro BTP ieri sia arrivato a rendere il 4,74%.
Treasury Usa al 4,25% dal 4,14% di ieri. Non può passare inosservato il fatto che il rendimento del titolo a 3 mesi renda quanto quello a 10 anni (quello a 2 anni è ben superiore), ulteriore segnale che per gli operatori la recessione ormai è data per certa.
Le dimissioni (inevitabili…) della Prima Ministro britannica Liz Truss ha portato ulteriore tranquillità alla sterlina, in recupero verso le altre valute, oltre che ai gilt, con il decennale al 3,85%.
€/$ sempre intorno a 0,97/0,98.
Debole il bitcoin, che però rimane “arroccato” vicino ai $ 19.000 (19.058, – 0,43%).
Ps: la “finanza” (lo sappiamo bene quest’anno) non è sempre “dolce”. Forse anche per questo JP Morgan, forse la più nota tra le grandi Banche d’Affari internazionali, ha deciso, attraverso la propria società “veicolo” Lynston di “mangiarsi” Pernigotti, acquisendo il 100% di Pernigotti, lo storico marchio dolciario di Novi Ligure. L’ennesima conferma di come la cioccolata possa divenire un rifugio (da non confondersi come un “bene rifufio”)…