Anche appellandosi alle più grandi doti di fantasia, è difficile trovare argomenti nuovi e diversi da quelli che oramai da settimane vanno ripetendosi. Lo stesso Covid-19 dimostra doti di resilienza difficilmente immaginabili fino a pochi mesi, quando oramai lo si dava per sconfitto (almeno in Occidente, in Cina di certo la percezione era diversa, visti i colossali lockdown a cui sono state sottoposte le maggiori aree metropolitane). Guerra in Ucraina, aumento dei prezzi delle forniture energetiche, inflazione, rischio recessione, colli di bottiglia nelle forniture di materie prime e non solo, con la logistica in piena crisi, aumento dei tassi. A cui si aggiungono altre situazioni emergenziali “spot”, come la siccità o il caos negli aeroporti di mezzo mondo (solo negli USA, per es, durante il lungo we del 4 luglio sono stati cancellati 1.400 voli, con ritardi pesanti per altri 14.000 a rendere la vita difficile per gli oltre 13ML di americani che pare abbiano utilizzato le strutture aeroportuali per muoversi e viaggiare). Argomenti che, con tutta probabilità, ci terranno compagnia per tutta l’estate, ma c’è da credere anche per tempi più lunghi.
La guerra in Ucraina senz’altro non lascia intravedere spiragli di pace. Anche se Papa Francesco ha espresso il desiderio di un viaggio, prima a Mosca e poi a Kiev, per promuovere se non la pace almeno un armistizio, l’idea non sembra realisticamente realizzabile. Troppe sono le incognite e le incertezze e, soprattutto, nulla è stato avviato a livello di diplomazia. La conquista praticamente di tutto il Donbass, con l’occupazione della regione di Luhansk (e con Putin che non ha lesinato le congratulazioni ai generali che hanno condotto le operazioni) ha permesso all’esercito russo di raggiungere quello che sin da subito era apparso essere l’obiettivo principale. Il tutto mentre continua la “conta dei danni” di guerra, per quanto parziale e, soprattutto, non definitivo, visto il perdurare del conflitto. Una prima stima parla di circa $ 750 MD di danni, rendendo sempre più indispensabile, quando le armi saranno state messe a tacere, un nuovo Piano Marshall (ad oggi gli aiuti ricevuti sono nell’ordine di $ 6,2 MD…). Probabile che al risarcimento sarà chiamata anche la Russia, le cui riserve sono pari a $ 330 MD (al momento praticamente bloccate dalle sanzioni).
Strettamente collegato alla situazione bellica il tema delle forniture energetiche. In questi giorni, sulle previsioni di un nuovo restringimento, da parte di Gazprom, delle forniture verso la Germania (che coinvolgerebbe anche l’Italia), il prezzo è aumentato in maniera considerevole: ieri il megawattora ha toccato per un certo punto € 165, per poi scendere a € 160, comunque notevolmente sopra il prezzo del giorni precedente. Da giugno i prezzi sono praticamente raddoppiati: con il fermo totale per manutenzione del gasdotto Nord Stream tra l’11 e il 21 luglio, dopo che già le forniture tedesche sono scese del 60%, è facile prevedere una nuova tensione sul prezzo. Magra la consolazione che nei giorni, per la prima volta, si è importato più gas liquido dagli USA rispetto a quello che la UE riceve dalla Russia. La stagione estiva è, peraltro, di grande aiuto, vista la forte riduzione dei consumi, e non certo grazie ai risparmi energetici. La vera resa dei conti sarà l’autunno, periodo entro il quale ci si augura che le scorte siano tornate a riempire gli impianti (ad oggi siamo intorno al 50/60%).
Passare dalle forniture energetiche all’inflazione il passo è breve, anche se, parlando di aumento dei prezzi, le componenti non si limitano all’energia (che comunque va ad impattare in maniera trasversale un po’ su tutti i settori produttivi, dalle auto all’agricoltura). Inflazione che ogni mese presenta un conto sempre più salato, anche se si pensa che oramai il picco sia stato raggiunto. Ma che comunque va combattuta in maniera decisa.
E qui nasce il dilemma dei banchieri centrali, anche se, nelle loro ultime dichiarazioni, la volontà di combatterla anche a rischio di provocare una recessione (per quanto, sotto certi aspetti, “pilotata”) pare abbia preso il sopravvento. Ma se per molte banche centrali l’attuazione delle politiche monetarie può apparire non troppo problematica, per la BCE ogni volta assume toni più accesi, confermando una differenza di vedute tra i Paesi più rigorosi e quelli invece meno attenti alla spesa. E’ quanto emerge, per esempio, dalle dichiarazioni di ieri di Joachim Nagel, il presidente della Bundesbank (di fatto, quindi, l’azionista di maggioranza della Bce), il quale ha affermato, a proposito dell’ormai famigerato scudo antispread allo studio degli esperti della Banca Centrale, che forse non è lo strumento più idoneo tra i vari “attrezzi” del mestiere, spingendo invece per l’OMT (le “operazioni monetarie di lungo termine” volute da Draghi quando era a capo della BCE), che, però, riconducono al MES, definizione che definire “non amata” da molti governi è un eufemismo.
Intanto Draghi si appresta ad incontrare il leader turco Erdogan, soltanto un anno fa definito un “dittatore”. Ma nulla, evidentemente, è per sempre: oggi, incredibile ma vero, il “dittatore” turco è forse il diplomatico più coinvolto nella ricerca di una soluzione che permetta, per esempio, una via di uscita al grano ucraino, fondamentale per l’alimentazione di molti Paesi poveri del medio oriente e dell’Africa mediterranea.
Dopo l’Indipendence Day di ieri, riaprono oggi i mercati USA.
Salvo la borsa di Shanghai, leggermente negativa (– 0,32%), praticamente tutti i mercati asiatici hanno chiuso o si apprestano a chiudere in territorio positivo. Tokyo + 1,03%, Hong Kong + 0,37%, ma bene anche Seul e Mumbay, per rimanere agli indici più importanti.
Da segnalare che la Banca Centrale Australiana ha nuovamente ritoccato i tassi all’insù, portandoli all’1,35% dallo 0,85%, riportantolo praticamente ai livelli del maggio 2019.
Futures in rialzo su tutte le piazze, con variazioni nell’ordine di mezzo punto percentuale.
Petrolio in rialzo, con il WTI a $ 109, 73 (+ 1,09%).
Gas naturale USA a $ 5,763 (+ 0,35%).
Oro a $ 1.810.
Spread a 200bp, con il BTP sempre intorno al 3,30%.
€/$ stabile a 1,0432.
Balzo del Bitcoin, che si riporta, grazie al + 6,7% di questa mattina, a $ 20.397.
Ps: siamo, giustamente, tutti molto preoccupati per il livello raggiunto dall’inflazione. Di certo, in Turchia lo sono di più: a giugno ad Ankara l’aumento dei prezzi, da un anno all’altro, ha toccato l’80%, ai massimi da 24 anni. I prezzi energetici hanno toccato il 151%, mentre gli alimentari sono al + 94%. Forse anche per questo il presidente Erdogan è così attivo sul fronte diplomatico: spostare l’attenzione verso altre questioni a volte aiuta, almeno a livello interno….