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Direttore: Alessandro Plateroti

L’anno che sta per chiudersi (e quello che verrà)

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Ci si avvicina a grandi passi verso la conclusione dell’anno. E quindi, come sempre, sta per iniziare la stagione dei “bilanci” per le grandi case di investimento e le società di asset management.

Come sappiamo, ad oggi indubbiamente i mercati hanno offerto perfomances assolutamente interessanti, con le borse di quasi tutto il mondo ampiamente positive, ad eccezione della “greater China”, cioè “l’agglomerato” Cina e Hong Kong, dove invece, dopo la svolta “interventista” del Governo, il vento è cambiato. Ma avremo tempo di tornare in argomento mano a mano che i numeri saranno pressochè definitivi.

Intanto, però, non si sta fermi e si comincia a “preparare” il terreno per l’anno che sta arrivare.

Le variabili che gli investitori si troveranno ad affrontare e di cui si dovrà tener conto bene o male le conosciamo: inflazione, tassi, ripresa economica, supply chain. Il tutto messo in uno “shaker” in cui, però, l’incidenza maggiore sarà data, per il terzo anno, dall’andamento del virus, che continua a non dare tregua e che non lascia tranquilli.

Di certo tutti dovranno fare i confrontarsi con tassi reali negativi, elemento che quasi sicuramente sposterà gli equilibri, facendo propendere le scelte degli investitori, almeno ancora per qualche mese, verso i mercati azionari. Anche perché è probabile che il perdurare del virus induca ulteriormente alla cautela le Banche Centrali, spostando in avanti il momento delle scelte “drastiche”, e quindi il “ritocco” dei tassi, pur, con tutta probabilità, perdurando alti livelli di inflazione (da più parti aumentano i dubbi sulla durata della “transitorietà”, visto che, se arriverà, la diminuzione non dovrebbe iniziare prima di inizio estate).

Guardando, allora, ai mercati azionari, notiamo che Wall Street, la piazza più importante del mondo, dove, non a caso, troviamo lo S&P, l’indice “guida” dell’universo borsistico, è cresciuta molto di più dell’Europa. Il motivo va ricercato, oltre che nella “tipicità” dell’economia americana, la più forte e sviluppata del mondo, nel fatto che buona parte del mercato borsistico è costituito dai titoli growth, vale a dire quelli di società con le maggiori potenzialità di crescita, e quindi tutto il settore tecnologico. Va ricordato, infatti, che le 6 maggiori società (Apple, Amazon, Google-Alphabet, Facebook, Microsoft e Tesla) ormai rappresentano, in controvalore, quasi il 30% dello S&P, e circa il 50% (!)dell’indice Nasdaq. Le borse europee, invece, sono “fatte” in gran parte da titoli value, quelli di società più legati a business tradizionali, quindi più statici e con minori ritmi di crescita (ma anche meno soggetti alle “mode”).

Ecco perché la borsa americana non è mai stata così “cara”, con un rapporto “prezzo/utile” molto superiore a quello delle borse europee. Si calcola che il divario non sia mai stato così ampio da 15 anni a questa parte, collocandosi a 0,7. Solo una volta, tra il 2014 e il 2015, il rapporto si è avvicinato a 1 (0,95, per l’esattezza), per poi iniziare a divaricarsi. Come dimostra anche il “dividend yeld” (la percentuale di distribuzione degli utili), che, mentre negli USA viaggia intorno all’1,3%, dai noi si colloca al 3,5%. Merito, senz’altro, di una diversa politica di distribuzione da parte delle aziende, ma anche perché il prezzo dei titoli è più basso, e quindi facendo innalzare la percentuale. Motivo per cui da più parti si guarda ai mercati europei con una certa attenzione per l’anno che verrà (anche se c’è da star certi che Wall Street non “abdicherà”).

Si chiude in altalena una settimana altrettanto in altalena per le borse asiatiche. Bene il Nikkei (+ 0,50%)e Shanghai (+ 1,13%), mente ancora una volta Hong Kong “paga” la caduta del settore tech, trascinato al ribasso da Alibaba dopo dati che hanno deluso gli analisti.

Dopo il nuovo record di ieri sera degli indici statunitensi (Nasdaq + 1,07%, S&P + 0,3%), i futures sono di nuovo impostati al rialzo, con aumenti nell’ordine dello 0,5%.

In recupero le materie prime: petrolio (WTI) a $ 79,25 (+ 0,96%), dopo essere scivolato sin verso i $ 77 in seguito alle pressioni dell’amministrazione Biden nei confronti della Cina affinchè inizi ad utilizzare le riserve strategiche (prosegue, infatti, il muro contro muro con l’Opec + sull’aumento dei livelli produttivi voluti da Washington, che però incontra la resistenza sei Paesi produttori, ferma agli accordi già presi, che prevedono un incremento di 400.000 barili giorno però di mese in mese). Gas naturale sempre in prossimità dei $ 5 (4,937, + 0,59%).

Oro “bloccato” in area $ 1.860.

Torna a scendere lo spread, che questa mattina troviamo a 117,90 bp, per un rendimento del BTP intorno a 0,95%. Si lima anche il rendimento del treasury, a 1,58%.

€/$ sempre sotto 1,14 (1.1357), con il $ sostenuto dalle attese sui tagli agli acquisti di bond da parte della FED.

Ancora in caduta il bitcoin, che scende a $ 56.000 (- 6%).

Ps: succede a Roma. Il sindaco Gualtieri, insediato da poche settimane, si trova affrontare, per l’ennesima volta, l’emergenza rifiuti, non più accettabile per una città che è un po’ la “cartolina” d’Italia nel mondo. Per cercare di risolvere il problema, si darà vita ad una vera e propria “incentivazione all’aumento del tasso di presenza” del personale addetto alla pulizia delle strade (nei primi 6 mesi dell’anno in corso, il tasso di assenteismo all’Ama, la società del Comune che gestisce i rifiuti, è stato pari al 15%). Chi garantirà la presenza per tutte le giornate del piano straordinario che dovrebbe garantire “strade pulite entro Natale” riceverà un premio di € 360 (lordi). Ma lo stipendio non è un modo per remunerare il “dovere” di prestare la propria attività (fermo restando il diritto al lavoro previsto dalla nostra Costituzione)? Di certo il rischio è di creare un precedente poi difficile da smantellare…

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ultimo aggiornamento: 19 Novembre 2021 8:45

Ma l’inflazione è sempre uguale?