Nella notte di venerdì, Fitch, una delle maggiori società di Rating, ha innalzato il rating dell’Italia, portandolo da BBB- a BBB (dopo che, va ricordato, in piena emergenza ci aveva “downgradato”, con una decisione esattamente). Il giudizio fa seguito a quello di altre società, tra cui S&P e DBRS, che nei mesi scorsi avevano comunicato decisioni analoghe. Oggi il rating del nostro debito pubblico va dal Baa3 di Moody’s al BBB di S&P e Fitch al BBBh di DBRS.
La decisione, evidentemente, rispecchia il giudizio positivo di tutti gli osservatori (analisti, economisti, banche d’affari) sul nostro Paese e su quanto il Governo guidato da Mario Draghi sta facendo per “rimettere in pista” l’Italia. Le polemiche del fine settimana sul “contributo di solidarietà” per i redditi oltre € 75.000 per finanziare il “caro bollette” e la minaccia dello sciopero generale da parte dei sindacati confermano come la situazione politica, con l’avvicinarsi dell’elezione del Presidente della Repubblica, cominci a farsi “incandescente”, mettendo a rischio la stessa stabilità dell’esecutivo.
Stabilità che, però, insieme all’avvio delle riforme che ci richiede l’Europa, ha permesso, in questi mesi non semplici, di “portare a casa” un risultato molto concreto e non solo di facciata. Infatti, nel 2021 il rendimento medio all’emissione dei BTP è stato appena dello 0,11%, un livello mai toccato in precedenza: solo l’anno scorso, per guardare al passato recente, il tasso medio era più di 5 volte superiore, allo 0,59%. E questo nonostante, come sappiamo, il livello del debito sia cresciuto sino a toccare il 160% del PIL, per poi iniziare a scendere, non perché stia diminuendo in termini assoluti (anzi, sta continuando a crescere, seppur di poco) quanto perché il PIL sta aumentando con percentuali da boom economico (l’OCSE ha certificato il + 6,3% per quest’anno), arrivando, in questi mesi, al 155%. Tradotto, significa che il Tesoro, sui quasi € 460 MD di titoli di debito emessi quest’anno (compresi € 152 MD di BOT) risparmierà circa € 2MD all’anno per i prossimi 7 anni, vale a dire la durata media del nuovo debito (7,12 anni per l’esattezza).
Ma l’errore più grave sarebbe “mollare la guardia”.
Senza scendere in analisi politiche, il primo elemento di preoccupazione è l’approssimarsi della scadenza del mandato del Presidente Mattarella. Tutti sappiamo che il più probabile candidato è proprio il Presidente Draghi: il suo eventuale “trasloco” al Quirinale potrebbe aprire, quindi, una grande fase di incertezza, con il rischio anche di elezioni anticipate e la possibilità che tutto ciò che di buono è stato fatto quest’anno venga messo in discussione.
La crescita di quest’anno, che ci vede ai primi posti al mondo, dovrà essere accompagnata da quella dei prossimi anni se vogliamo tornare a livelli superiori a quelli pre-pandemia (PIL 2020 – 8,9%). E l’instabilità politica, ovvero un Governo meno efficace, potrebbe mancare i target già fissati per il 2022 e il 2023 (rispettivamente + 4,7% e 2,8%). Numeri che ci permetterebbero di ridurre il gap accumulato in questi decenni verso altre economie europee: negli anni 70 il nostro PIL è cresciuto del 45%, negli anni 80 del 26,9%, negli anni 90 del 17,3%, nel 1° decennio degli anni 2000 del 3,2%, nell’ultimo (ante pandemia, quindi al 2019) di un misero 0,9%. Ma non solo. A partite dal 1990, le retribuzioni medie lorde sono diminuite, in termini reali, del 2,9%, contro una crescita del 31% in Francia, del 33% in Germania, di ben il 276% in Lituania.
Questo guardando il lato delle retribuzioni. Ma se guardiamo all’andamento industriale, scopriamo numeri forse ancora più preoccupanti (fermo restando che le 2 osservazioni, retribuzioni e industria, non sono così indipendenti tra loro). Nella classifica di Fortune delle prime 500 aziende al mondo, solo 6 sono italiane (di cui 3 a controllo pubblico): la Spagna ne ha 7, la Francia ben 26. E ben sappiamo come in questi anni sia continuato lo “shopping” di aziende italiane (in tutta evidenza non ancora terminato, guardando quanto sta succedendo intorno a Telecom).
Insomma, sembrerebbe che “da fare ce n’è”.
La settimana inizia ancora una volta all’insegna dell’incertezza, con le piazze asiatiche che si apprestano a chiudere in calo, dopo un andamento altalenante: Nikkei – 0,36%, Shanghai- 0,50%,, Hong Kong – 1,72%, causa la nuova frenata dei titoli tech.
Per i listini occidentali, invece, i futures lasciano intravvedere un avvio positivo, con rialzi saldamente oltre il mezzo punto.
Segni di ripresa del petrolio, con il WTI che sale a $ 67,82 (+ 2,32%). Crolla, invece, il gas naturale (– 7,3%), a $ 3.853.
Leggera discesa per l’oro, a $ 1.783.
Il giudizio di Fitch “spinge” lo spread, in rafforzamento a 127,9 bp, per un rendimento del BTP che porta verso 0,95%.
Treasury a 1,38%, dopo che la settimana scorsa aveva già dato segnali di forza.
€/$ a 1.1286, con il $ che riprende il suo cammino e “mette in un angolo” l’€.
Ha “rotto gli ormeggi”, dopo giorni di “calma piatta”, il bitcoin: questa mattina è a $ 48.000, dopo che nel fine settimanasi era spinto sotto i $ 45.000, in caduta di oltre il 20% rispetto ai valori di venerdì. A questi prezzi, siamo “sotto” di circa il 30% dai massimi di 1 mese fa.
Ps: il Censis, in uno studio appena pubblicato, ha certificato che per 3 ML di italiani il Covid non esiste e per 6 ML il vaccino è inutile. Spaziando oltre (è proprio il caso di dirlo), il 10% è convinto che l’uomo non sia mai arrivato sulla Luna, mentre il 5,8% (e quindi circa 6 milioni di persone….) è convinto che la terra sia piatta. Insomma, che ci sia un “centro di potere” che manipola tutto e continua a nascondere la verità, dando una rappresentazione fittizia e falsa del mondo.