E’ improbabile che Jerome Powell, che il Presidente Biden ha appena riconfermato a capo della FED, abbia letto gli scritti di Luigi Einaudi, che definì l’inflazione la “più iniqua delle tasse”, colpendo maggiormente i ceti medio-bassi (costretti a spendere in consumi la maggior parte dei loro redditi).
Di certo non ha pensato a lui quando, nella giornata di ieri, ha dichiarato che non siamo più di fronte ad una fase “transitoria”, ammettendo che l’aumento dei prezzi, in molti settori, difficilmente potrà subire un’inversione di rotta. Un cambio di “paradigma” destinato a modificare drasticamente l’approccio della banca centrale americana: già nella prossima seduta, prevista per il 15 dicembre, la FED potrebbe annunciare la svolta, accelerando la diminuzione degli acquisti mensili di titoli governativi e corporate con garanzia pubblica (il “noto” tapering) e quindi anticipando la data in cui gli acquisti finiranno (fino al mese scorso la “velocità di crociera” era di $ 120 MD, con un piano già programmato di riduzione da $ 15MD mese).
Ormai è certificato che l’inflazione, almeno sull’altra sponda dell’oceano, interessa tutti i settori e sempre di più “comprime” i salari: a “fomentarla” contribuisce non poco la massa di risparmio che le famiglie americane hanno accantonato negli ultimi 2 anni, accantonamento favorita dallo “stay at home” a causa dei lockdown e dalle modificate (almeno in quella fase) abitudini di vita: banalmente, perché comprare un abito nuovo quando, lavorando in smart working, è sufficiente una tuta…?
Diventa quindi superfluo “sostenere” la domanda (perché questo è uno degli obiettivi delle politiche monetarie espansive) nel momento in cui il problema non è sul lato della domanda, bensì su quello dell’offerta: i blocchi produttivi prima, le difficoltà di approvvigionamento dopo, hanno enormemente ridotto l’offerta di beni. Clamoroso quello dell’automotive, con tempi di attesa che oggi superano tranquillamente l’anno. Quei “pochi” beni che si possono reperire hanno contestualmente subito un aumento dei prezzi piuttosto evidente, trasferendo quindi sul “consumatore finale” i maggiori costi: rimanendo, per esempio, nel settore dell’automotive, secondo Alix Partners nel 2021 l’aumento del costo medio è stato di $ 3.600. Costi che già nel 2020 avevano avuto un aumento medio di $ 1.700.
Quello dell’auto è un settore che, almeno in parte, aiuta a capire cosa sta succedendo nei settori produttivi. Spesso la produzione, come dimostrano anche i dati di quest’ultimo periodo, sotto la minaccia della crescita dei contagi, è in forte diminuzione (la produzione mondiale di autovetture, per es, è crollata da 90 a 77 ML di auto), ma non gli utili: le vendite calano, ma non i margini e gli utili operativi, grazie, appunto, all’aumento dei prezzi. Nel 3° trimestre dell’anno in corso sono aumentati dell’11% a $ 23,1MD, contro un calo del fatturato dell’1,6%, a $ 371 MD e le vendite crollate del 16%. Il margine medio è passato dal 6,2 al 7%, con forti differenze tra una casa e l’altra: Tesla, per esempio, ha toccato il 14,6%, contro il 10,5% di BMW, il 9,9% di Toyota o il 9,2% di Daimler. Stupiscono, peraltro, ancor di più i valori di borsa delle varie case: Tesla, indiscutibilmente la società con la capitalizzazione maggiore al mondo del settore ($ 1.141 MD) vale quasi 5 volte Toyota, seconda in termine di valore ($ 245 MD).
Per rimanere nel settore auto, le previsioni non sono per un miglioramento, almeno per il 2022, della situazione: rimarrà una crisi dell’offerta, con consegne al lumicino rispetto alla domanda, il che ovviamente manterrà alto il prezzo (anche per la mancanza di offerte promozionali), crisi causata ancora dalla carenza di microchips, sempre più richiesti per via della sempre maggiorautomatizzazionedei vicoli (secondo Boston Consulting il “gap” tra domanda e offerta sarà, nel 2022, intorno al 20%).
La nuova “visione” sull’inflazione da parte del Presidente FED Powell, unita alle preoccupazioni sulla variante Omicron (e alle dichiarazioni del Ceo di Moderna sul rischio dell’inefficacia dei vaccini), ieri ha provocato una nuova caduta dei listini, in calo ovunque (lo S&P ieri sera ha chiuso in ribasso dell’1,9%).
La giornata, invece, inizia con auspici ben diversi: le piazze asiatiche si apprestano a chiudere tutte in territorio positivo, con rialzi che vanno dallo 0,41% di Tokyo, allo 0,36% di Shanghai all’1,04% di Hong Kong (ma anche al + 2% di Seul e al + 1% di Mumbai).
Stessa cosa per quanto riguarda i futures: anche qui i rialzi sono diffusi, tutti intorno all’1%.
Rimbalza il petrolio, con il WTI che prova un recupero dopo il – 5% di ieri: questa mattina fa segnare $ 67,82, + 2,35%. Continua invece il calo del gas naturale, che si porta a $ 4,4 (- 2,21%).
Oro a $ 1.787, in rialzo dello 0,51%.
€/$ a 1,1326.
Spread a 130,5 bp, con il rendimento del BTP stabilizzato intorno all’1%. Treasury in leggero rafforzamento, per un rendimento all’1,48% (da 1,52%).
Bitcoin che non di scosta dai $ 57.000 (57.145, + 1%).
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: dopo l’addio di “the doctor” Valentino Rossi, è la volta della “divina”. Ultimo tuffo (in piscina) ieri per Federica Pellegrini, la nuotatrice italiana più grande di sempre (come testimoniano 130 medaglie). Una carriera lunghissima, che non poteva che chiudersi con una vittoria: nella sua ultima gara ai Campionati italiani, ha nuovamente chiuso al 1° posto nella “specialità della casa” (i 200 mt stile libero).E con lei si è tuffato, però vestito, il Presidente del Coni Giovanni Malagò. Ma lui non era in gara.