Non può che (positivamente) sorprenderci apprendere che l’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che comprende 37 Paesi) ci “vede” tra le economie più performanti al mondo nel 2021. Trend che, anche se in misura minore, continuerà anche nel 2022. La crescita globale sarà pari, sempre nel 2021, al 5,6%. Negli USA sarà identica, mentre l’Eurozona avrà un aumento del 5,2%. La miglior performance in assoluto sarà ad appannaggio dell’Irlanda (peraltro certamente non una delle “locomotive” del mondo), con un incredibile + 15,2% (va ricordato che in quel Paese vigono leggi assolutamente favorevoli a chi tra là trasferisce le proprie attività ovvero la propria sede fiscale). Tra i Paesi emergenti, svetta l’India, con + 9,4%, che supera la Cina, ferma all’8,1%. In Europa, al di fuori dell’area €, il Regno Unito raggiunge il 6,9%, mentre nell’€urozona, la Germania per una volta “arranca” con un modesto 2,9%. Peggio fa il Giappone, agli ultimi posti al mondo, con + 1.8%.
Come detto, per una volta l’Italia “fa la Germania”. Con un formidabile + 6,3%, superiamo la media UE e siamo ben sopra gli USA.
Vero che arriviamo dal drammatico – 8,9% del 2020, uno dei peggiori risultati al mondo, ma è indubbio che il nostro Paese ha finalmente intrapreso, sotto la guida del Governo Draghi, la strada delle riforme (anche se sotto la “minaccia” della Commissione Europea: “no riforme, no party” verrebbe da dire, pensando ai finanziamenti previsti dal Recovery Plan – Next Generation EU, a sua volta declinato nei PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza), che danno diritto, nel nostro caso, ad ottenere circa € 200MD (di cui circa € 82MD a fondo perduto). Ci sono, poi, motivazioni più “congiunturali”, quali l’aumento dell’export (grazie anche all’indebolimento dell’€, che quest’anno ha perso circa il 9% nei confronti del $), settore strategico per il nostro Paese. E’ comunque tutta la “filiera” manufatturiera che funziona, con una ripresa un po’ di tutti i settori industriali (anche se, per es, riprendendo in parte quanto scritto ieri, quello dell’automotive soffre ancora). Ma anche una certa ripresa della fiducia dei cittadini, anche se nelle ultime settimane l’andamento dei contagi, come noto, qualche preoccupazione l’ha nuovamente fatta tornare (per non citare la variante Omicron di questi giorni).
Strada in discesa allora? Un sano realismo ci deve portare a non perdere di vista gli aspetti che possono rendere accidentata e tortuosa la strada del risanamento. E non pochi sono i temi che devono essere attenzionati.
In primis, come ormai a tutti noto, l’inflazione. Oramai anche Powell si è convinto che non sarà più un fenomeno “transitorio”, ma che ci terrà compagnia per un po’. In Europa la situazione è (ancora per il momento) senza dubbio diversa (di là dell’oceano si viaggia al 6%, da noi per fine anno dovrebbe essere al 4,5%), ma qualche riflessione credo che Christine Lagarde e i membri del Comitato Direttivo della BCE stiano cominciando a farla.
Strettamente collegato al rialzo dei prezzi, per il nostro Paese sta diventando critico il tema del “caro bolletta”. Sappiamo come uno dei limiti maggiori per l’Italia sia la “dipendenza” energetica. Nell’autunno scorso si sono registrati aumenti in bolletta del 31% per l’energia elettrica e di oltre il 40% per il gas, solo in parte “calmierati” dal Governo grazie a stanziamenti aggiuntivi per circa € 3MD.
Si calcola che il costo delle “bollette” sarà, per una famiglia italiana, mediamente pari ad € 3.368 nel 2022, con un aumento di circa € 1.200 rispetto all’anno precedente. Certamente, quindi, l’esecutivo sarà chiamato a nuove coperture, probabilmente superiori a quelle messe in campo quest’anno (se non altro perché l’aumento di quest’anno si è concentrato nell’ultimo trimestre, mentre già sappiamo che il prossimo aumento riguarderà tutto il 2022: probabile, quindi, che gli stanziamenti saranno in misura superiore ai precedenti).
E poi rimane il problema occupazionale, uno dei mali “endemici” del nostro Paese. La disoccupazione viaggia stabilmente, da noi, oltre il 10% (i paragoni con altri Paesi sono avvilenti: ci salviamo solo se guardiamo alla Grecia e, in parte, alla Spagna). Difficile pensare ad una vera e stabile ripresa con percentuali così elevate. Una spinta, come già in parte stiamo verificando, può arrivare dall’apertura dei “cantieri”. L’edilizia, grazie al superbonus, sta conoscendo una fase di crescita che ha pochi precedenti; si spera, quindi, che con l’avvio delle grandi opere pubbliche previste dal PNRR arriva un’ulteriore, decisiva spinta che permetta di portare la disoccupazioni a livelli meno gravi.
Ieri giornata “bipolare” per il mercato statunitense. Dopo un avvio in forte rialzo, con gli indici in crescita di circa l’1%, la notizia dello “sbarco” anche in USA della variante Omicron ha bruscamente fatto virare i listini, che hanno chiuso ai minimi di giornata: Nasdaq – 1,60%, Dow Jones – 1,34%, S&P – 1,5%.
Questa mattina i mercati asiatici confermano un certo equilibrio, con quotazioni con variazioni minime: Nikkei – 0,65%, Shanghai sulla parità, Hong Kong + 0,43%. Equilibrio che sembra confermato anche dai futures, ovunque in buon rialzo.
Petrolio che questa mattina rialza la testa, con il WTI a $ 66,57 (+ 1,42%): siamo ben lontani rispetto alle quotazioni di solo 1 mese fa, quando eravamo ben oltre i $ 84. Qualche novità potrebbe arrivare dall’Opec +, che deve in qualche modo rispondere ad alcuni Paesi, con in testa gli USA, che hanno deciso di “attingere” dalle riserve strategiche per calmierare i prezzi.
Gas oramai vicino ai $ 4, in ulteriore discesa (– 2%).
Cede anche l’oro, che fa segnare $ 1.776 (- 0,52%).
Spread a 134,80, con il BTP che si avvicina ad un rendimento dell’1,05%.
€/$ stabile a 1,1313.
No news sul Bitcoin, che ha trovato “fissa dimora” intorno ai $ 57.000.
Ps: si è concluso, come sappiamo, circa 10 giorni fa il G26 sul clima.
La lotta all’inquinamento, è noto, parte dagli alberi e dal verde. Bene: dal 2001 al 2020 sono scomparsi 411 ML di ettari di alberi. Si calcola fossero, in passato, circa 6.000 MD su tutta la terra: oggi ne sarebbero rimasti 3.000 MD, e continuano a diminuire al ritmo di 15 MD l’anno. Di contro, le polveri di CO2 sono aumentate, 2020 su 2019, di 165 ciga tonnellate (cioè 165 MD di tonnellate…).
Difficile pensare ad un pianeta “sano” con questi numeri.