Secondo il Premier ucraino Zelenksy il costo della guerra, per il Paese, ad oggi, tra il crollo del PIL (tra i più bassi in Europa, arrivando a malapena a € 150MD) e i danni “diretti”, è pari ad almeno $ 600MD. Una cifra enorme in assoluto, ma che diventa insostenibile per l’ex Repubblica sovietica, che mai, senza gli aiuti della comunità internazionale, potrà risollevarsi. E la guerra non è ancora finita…
Ieri l’amministrazione Biden ha deliberato uno stanziamento di $ 33MD a favore dell’Ucraina. Cifra non casuale, peraltro: si stima, infatti, che affinchè il Paese possa continuare ad andare avanti, e quindi sostenere la guerra, servano tra i $ 5 e 7MD mese. Di conseguenza si può stimare che la guerra possa dura almeno altri 5 mesi. Altro che guerra lampo quindi, come preventivato da Putin. Almeno $ 20MD saranno costituiti da aiuti prettamente militari, mentre altri $ 8.5MD verranno utilizzati per i sostegni economici. La differenza sarà costituita da aiuti umanitari e garantire le forniture alimentari.
Qualcuno comincia a fare analogie con la guerra del Vietnam, quella che forse più ha segnato la seconda metà del secolo scorso. Anche quella sembrava destinata ad essere una “guerra lampo”: ben sappiamo, invece, com’è andata a finire, con gli USA “impantanati” per circa un decennio ed equilibri mondiali ridefiniti. Per non parlare dei costi, quantificati, tra diretti ed indiretti, in non meno di 3 punti percentuali di PIL all’anno. Con una grande differenza: che quella era una guerra “di altri”, di cui in Europa avvertivamo l’esistenza soprattutto per gli echi “idealisti” (anche se inflazione e crisi energetica degli anni 70 in qualche modo possiamo dire che hanno tratto origine anche da quel conflitto, considerato l’impegno “economico” a cui sono stati costretti gli Stati Uniti), mentre questa è una guerra che si sta consumando “in casa”, quindi con conseguenze di ben altra dimensione.
Di certo la decisione di Biden si può dire innalzi ancor di più il “livello” del conflitto. Se è vero che qualsiasi scelta, oltre a quella che si appalesa nel modo più evidente – in questo caso “ti permetto di continuare ad esistere” – dall’altra contiene almeno un altro messaggio, anche in questo caso possiamo leggere cose forse ancora più determinanti. Il destinatario è ovviamente Putin: l’America, e con lei tutto l’occidente (che non può rimanere insensibile a quanto fanno gli USA), è al fianco dell’Ucraina, non ha paura di lui ed è disposta a sostenere l’Ucraina anche nel lungo periodo. A provocazione (blocco delle forniture a Polonia e Bulgaria, per esempio) si risponde con provocazione (aiuti economici e ancor di più prettamente militari, con fornitura di mezzi pesanti e balistici di nuova generazione).
Intanto anche gli spread stanno “provocando” reazioni. Ieri il nostro è cresciuto di ben 20 bp, arrivando a toccare i 181 bp verso bund, quota mai più toccata dal 2019 (a inizio 2022 eravamo a 119 bp), con il rendimento dei BTP che ha superato il 2,70%. La Banca Centrale Europea, per bocca del Vice Presidente Luis de Guindos, si è affrettata a dichiarare che non rimarrà a guardare, lasciando intendere di essere pronta ad intervenire in difesa della stabilità dei mercati (nelle settimane scorse più volte si è parlato della volontà di istituire uno “scudo” volto a difendere, appunto, gli spread).
Anche sull’inflazione non arrivano dati confortanti: in Germania i prezzi sono saliti ai massimi da 40 anni, il massimo dai tempi della riunificazione, arrivati a toccare il 7,4% (7,2% quella attesa), mentre quella “armonizzata” agli standard europei ha raggiunto il 7,8%. In USA, invece, il primo trimestre dell’anno ha fatto segnare una decrescita dell’1,4% “annualizzata” dal + 6,9% dell’ultimo trimestre 2021: se anche il 2° trimestre chiudesse con un segno meno, avremmo la cosi detta “recessione tecnica”, che si manifesta con 2 trimestri consecutivi con crescita negativa.
Nonostante indicatori economici certamente non brillanti, ieri i mercati (con riferimento agli indici azionari) hanno conosciuto un giorno “da leoni”. Il Nasdaq ha chiuso a + 3,48%, il Dow a + 1,85% mentre lo S&P è cresciuto del 2,47%.
Indici positivi questa mattina nel Far East asiatico: Nikkei + 1,75%, Shanghai + 2.26%, Hong Kong in scia al Nasdaq (+ 3,27%). Rialzi, peraltro, non sufficienti a chiudere il mese con numeri positivi: le perdite, per Cina e Giappone, sono state pari al 5%.
Futures al momento positivi nell’Area €, con rialzi superiori all’1%, mentre negli USA si trovano intorno alla parità (nel dopo borsa Amazon perdeva il 10% dopo aver comunicato numeri meno positivi rispetto alle attese).
Materie prime tutte in crescita: petrolio (WTI) a $ 105,82 (+ 0,44%), gas naturale $ 6,908 (+ 0,29%) dopo la flessione di ieri, oro + 1,07% ($ 1.913).
Spread in leggerissimo recupero dopo il picco a 181bp di ieri: questa mattina apre a 179, livello non sufficiente per riportare il rendimento del BTP sotto il 2,70%.
Treasury stabile a 2,82% (ieri 2,83%).
Lieve indebolimento per il $, che scambia a 1,0546 verso €.
Bitcoin a $ 39.557 (+ 0.31%).
Grazie come sempre per l’attenzione e, come tutti i venerdì, buon fine settimana.
Ps: la Cina si conferma, ancora una volta, un Paese difficile da decifrare. Da una parte “chiudono” intere megalopoli da 20-30ML di abitanti senza porsi troppe preoccupazioni (almeno in apparenza) sulle ricadute, anche sociali, che i lockdown possono provocare. Dall’altra non esitano, primo Paese al mondo, ad autorizzare la circolazione di taxi senza conducente. Dal 2 maggio, infatti, a Pechino, tramite app, si potrà prenotare un taxi a guida autonoma. L’obiettivo è estendere il servizio a 65 città entro il 2025, per arrivare a 100 entro il 2030.