Difficile, per non dire impossibile, che entro mercoledì (vale a dire nei primi 3 scrutini) “esca” il nome del nuovo Presidente della Repubblica. Questi 3 giorni, almeno questo è l’augurio, dovrebbero servire per arrivare al nome “condiviso” che permetterebbe già alla 4° votazione, a partire dalla quale sarà sufficiente il raggiungimento della maggioranza assoluta, 50% + 1 dei Grandi Elettori (scesi a 1008 per la morte di un deputato del Centro destra). Se, invece, l’elezione dovesse trasformarsi in una “maratona” (il record è di 23 scrutini per arrivare all’elezione di Leone, mentre per Mattarella ne sono stati sufficienti 4), ne deriverebbero conseguenze pesanti sulla stabilità politica e sulla continuità del Governo. Lo scenario peggiore, con sullo sfondo l’incognita delle elezioni anticipate. Un rischio che il nostro Paese non si può permettere in questa fase: ecco perché l’Europa, dalla UE alle principali cancellerie, guarda con grande preoccupazione a quanto sta per accadere a Roma.
E’ noto che la “desiderata”, non solo a livello “Istituzionale”, ma dalla maggioranza dei cittadini italiani, come certificato da molti sondaggi, sarebbe il mantenimento dello “status quo”, con Mattarella disposto a rinnovare il mandato e Draghi che rimarrebbe a capo dell’esecutivo, in modo da arrivare al marzo 2023, quando, con la scadenza naturale della legislatura, si andrebbe alle elezioni e subito dopo, con molta probabilità, Mattarella potrebbe rimettere il proprio mandato. Ma spesso ciò che appare più semplice, per non dire ovvio, si scontra con la necessità dei partiti di “certificare” il loro ruolo, per non dire la loro “ragion d’essere”: alzare il livello della discussione va di pari passo con l’esigenza di non tenere alto il proprio “peso negoziale”.
Al di là del tanto lavoro ancora da fare per mettere in sicurezza i nostri “conti” e garantire che la crescita prosegua a ritmi sostenuti (il PNRR è appena all’inizio, con solo una gran parte di riforme ancora da attuare, mentre l’inflazione inizia a preoccupare e il caro bollette richiede interventi urgenti per sostenere famiglie e imprese, con queste ultime costrette, in alcuni casi, a rallentare, se non bloccare, la produzione per i costi ormai quasi insostenibili), uno “spauracchio” non da poco è costituito dal rialzo dello spread. Già in queste settimane, complice anche la congiuntura internazionale, abbiamo assistito ad un forte aumento (siamo a circa 140 bp): se i tempi dovessero allungarsi e farsi largo l’incertezza, i 200bp, se non livelli superiori, sarebbero raggiunti in tempi brevi, con un impatto devastante in primis sul costo del nostro debito pubblico, ma che ben presto si trasformerebbe in un ulteriore aggravio per il sistema produttivo, che vedrebbe alzarsi, dopo il rincaro dell’energia, anche quello degli oneri finanziari, e per le famiglie, che già, come detto, devono fare i conti con un’inflazione oramai al 4%.
Con le pesanti chiusure di venerdì, molti indici, con in testa Wall Street, in questo primo scorcio dell’anno hanno toccato perdite superiori alle 2 cifre. Il caso più evidente è il Nasdaq, in calo di circa il 12 % da inizio anno, e lontano di circa il 14% dai massimi di fine novembre. Meglio va al Dow Jones, in calo “solo” del 6,34% da inizio anno, mentre lo S&P 500 lascia sul terreno l’8,31%.
La settimana che si apre, quindi, assume particolare importanza per “testare” i mercati e capire se avranno la forza per riprendersi, con sullo sfondo la “spada di Damocle” della crisi Ucraina, con le truppe russe pronte all’invasione, ipotesi che porterebbe alla reazione dell’occidente, con in testa gli USA, pronti a sanzioni durissime. Uno scenario quindi che potrebbe portare a tensioni anche sui mercati.
Da quanto è possibile vedere dalle chiusure asiatiche, sembra che si sia voglia di “rialzare” la testa. Il Nikkei e l’indice di Shanghai sono, seppur di poco, positivi, mentre Hong Kong cede circa l’1.3%.
Segnali positivi arrivano per il momento dai Futures, ovunque positivi: fa eccezione, probabilmente non a caso, il nostro MIB, che dovrebbe iniziare la giornata con un segno meno.
Segnali di ripresa arrivano anche dal petrolio, con il WTI che conferma quota $ 85.60, in rialzo dello 0,4%.
Debole il gas naturale, che retrocede del 2,50% ($ 3,907).
Oro a $ 1.837 (+ 0,20%).
Spread che riparte da 140 bp, con il BTP ad un rendimento più o meno equivalente, visto il bund a zero.
Treasury a 1,77%, sui valori di venerdì.
€/$ a 1,1324: il mercato valutario potrebbe essere “l’osservato speciale” di questi giorni. Il fatto che le oscillazioni siano modeste, con il $ che non da segni di particolare forza, potrebbe essere visto come la conferma che la crisi geopolitica rimane comunque sotto controllo.
Dopo le forti perdite di venerdì, quando è arrivato a perdere oltre il 10%, il bitcoin “tiene” i $ 35.000. Livello comunque quasi del 50% inferiore ai massimi di $ 69.000 di qualche mese fa.
Ps: sembrerebbe che mercoledì 19 gennaio la popolazione mondiale abbia superato gli 8MD di abitanti. Soltanto nel 1974 eravamo la metà. I 6MD sono stati raggiunti nel 1999 e i 7MD nel 2011. La progressione è evidente. E se ci sono Paesi che demograficamente non crescono più (noi siamo tra quelli che stanno addirittura “decrescendo”), ce ne sono altri che hanno crescite vertiginose. L’Africa, per esempio, nell’arco di 30 anni dovrebbe raddoppiare, passando dagli attuali 1,3MD a circa 2,5MD. Ed il 2050 sarà l’anno in cui la popolazione mondiale raggiungerà i 10MD.