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Economia di guerra e mercato non risolvono i problemi: le domande per Draghi

Il recente dibattito sulla riconversione industriale in Europa ha preso piede con notizie significative provenienti dalla Germania. Il Gruppo Volkswagen, attualmente in difficoltà, ha dichiarato la propria disponibilità a partecipare alla corsa al riarmo, avviando una conversione della propria produzione. Il ministro Adolfo Urso, in un contesto di crisi dell’automotive, sembra intenzionato a seguire questa direzione, evitando di richiedere a John Elkann impegni vincolanti durante l’audizione prevista per mercoledì 19 marzo. Invece di affrontare il declino dell’industria automobilistica italiana, Urso suggerisce di orientare le attività verso settori come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza. Questa scelta solleva interrogativi sulla capacità del governo di rispondere in modo adeguato alla fuga di Stellantis e al ritardo italiano nella transizione verso l’elettrico.

La crisi dell’industria bellica e le sue conseguenze

La produzione di armi non si limita a generare strumenti di morte, ma diventa anche un mezzo per distrarre l’opinione pubblica e giustificare l’assenza di un piano industriale e occupazionale sostenibile. La necessità di un piano che integri la transizione ecologica e il Green Deal è diventata sempre più urgente. Le fabbriche di Mirafiori, ad esempio, non dovrebbero essere riconvertite per la produzione di armamenti, un concetto che Urso deve considerare attentamente.

Un altro evento di grande rilievo si svolgerà domani, martedì, quando l’ex presidente del Consiglio e già capo della BCE, Mario Draghi, si presenterà in Senato per discutere il suo rapporto sulla competitività europea, presentato a Bruxelles lo scorso autunno. La situazione geopolitica attuale è complessa, con Donald Trump che gioca un ruolo di primo piano nel ridisegnare le alleanze internazionali e nel tentativo di trasferire il peso della crisi del debito sull’Europa. Questo scenario ha portato a un atteggiamento di subalternità tra i vertici europei, culminato nella proposta di Ursula von der Leyen di un riarmo europeo.

Domande cruciali per il futuro dell’Europa

In questo contesto, sorgono domande fondamentali che dovranno essere poste a Draghi. Cosa significa, al giorno d’oggi, colmare il divario di innovazione? È sufficiente liberare il mercato interno da ogni barriera e promuovere la competizione capitalistica all’interno dell’Unione Europea? È ancora previsto un processo di rapida decarbonizzazione? La riduzione delle dipendenze strategiche deve necessariamente accompagnarsi a un rafforzamento delle istituzioni politiche e a una realizzazione concreta del Green Deal, che sembra ora trascurato.

La leadership dell’Europa nelle tecnologie verdi non può essere compromessa dal ritardo di alcuni Stati membri, in particolare l’Italia, che si trova ad affrontare un governo che privilegia alleanze con Paesi non in linea con i valori democratici dell’Unione. La parola d’ordine rimane decarbonizzare, non solo per favorire la competitività, ma anche per ridurre i costi energetici.

Le sfide energetiche e le scelte politiche

L’agenda al 2030 prevede un significativo investimento nelle fonti rinnovabili, con l’obiettivo di raggiungere il 50% di energia solare ed eolica, affiancate da biomassa, idroelettrico e nucleare. Tuttavia, il ricorso a fonti come il nucleare solleva interrogativi sulla sostenibilità e sull’impatto ambientale. Inoltre, la questione dell’energia rimane centrale: come si possono ridurre i costi senza intervenire sugli extra-profitti dei produttori?

Un altro tema delicato riguarda la spesa militare e il suo impatto sul deficit, in contrasto con la necessità di armonizzare il welfare e garantire salari equi in tutta l’Unione. La proposta di Urso di affrontare la crisi dell’automotive convertendo il settore in un’industria bellica appare discutibile.

Draghi sostiene che l’Unione Europea debba considerarsi sempre più come un’unica entità, un concetto che trova consenso. Tuttavia, l’affidarsi al mercato in un contesto di economia di guerra e competizione internazionale sembra un approccio rischioso, che potrebbe allontanare l’Unione dagli obiettivi di cooperazione e sviluppo comune.

Serena Libra

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