Siamo entrati oramai nel 3° mese di guerra. Un guerra che i servizi segreti americani avevano dato per certa ben prima del suo inizio, ma che tutti, in fondo, pensavamo (e speravamo) non scoppiasse. Un conflitto che, in questi circa 70 giorni, ha cambiato già più volte la sua fisionomia: da “guerra lampo”, come Putin avrebbe voluto fosse, a “guerra di posizione”, con la resistenza ucraina che, a sorpresa, è riuscita a respingere in diverse zone del Paese l’avanzata russa, che ora, invece, dopo aver di fatto definitivamente conquistato, non senza gravi perdite, il Donbass e tutto il corridoio che collega quella regione al Mar Nero (e aver raso al suolo Mariupol, una città simile a Genova), si appresta ad un nuovo assalto. Diversi missili sono già stati lanciati su Odessa, ma anche in altre zone del Paese gli attacchi stanno diventando più intensi: questa sembra, infatti, la strategia di Putin in vista del 9 maggio, data piena di significato per la Russia, in cui si celebra la “vittoria” contro l’invasore tedesco durante la 2° Guerra Mondiale. Visto che non sarà possibile celebrare una nuova “vittoria”, si ripiega sulla prova di forza per liberare l’Ucraina dalle forze “neonaziste” (la capacità manipolatoria e la “presa” sulla popolazione dei regimi spesso è sorprendente).
Ineluttabili le conseguenze sul piano economico, a livello globale e, ancora di più, a livello locale, con l’Europa e Paesi più di altri maggiormente impattati, con scenari di stagnazione e anche di recessione sempre più probabili.
Riprova ne sono i dati rilasciati dall’Istat sull’andamento del 1° trimestre dell’anno (va ricordato che, anche se la crescita dell’intero anno 2022 fosse pari a zero, un’ipotesi ritenuta, ad inizio anno, la più negativa, il PIL sarebbe comunque cresciuto del 2,3% grazie allo slancio conseguente al poderoso rialzo – + 6,5% – dell’anno scorso). Il 1° trimestre si è chiuso con un saldo negativo pari allo 0,2%; peraltro va detto che le stime erano per un – 0,5%. La decrescita è data soprattutto dall’aumento dei prezzi delle materie prime, una “tassa” che costa tra gli € 80 e i 90 MD in più rispetto al 2019, ultimo anno “normale”. Una “scure” a cui il Governo solo in parte, ovviamente, potrà porre rimedio, comunque aumentando il deficit e/o togliendo risorse inizialmente destinate ad altre attività. Senza contare la quasi certa necessità di rivedere, almeno in parte, il PNRR e gli investimenti ad esso collegati.
L’incertezza della guerra non può che rendere ancora più grave la situazione, rallentando gli investimenti da parte delle imprese e i consumi da parte delle famiglie, una “tenaglia” che renderà sempre più difficile raggiungere gli obiettivi fissati ad inizio anno (già rivisti dal Governo e da tutti gli osservatori).
L’inflazione, come noto, ha raggiunto percentuali che non si vedevano da 30-40 anni, posizionandosi, per quanto riguarda il nostro Paese, ben oltre il 6%. Il dato di fine aprile (6,2%) è più basso verso quello di fine marzo (6.5%). Un dato, peraltro, solo apparentemente positivo: la diminuzione, infatti, è data sostanzialmente al taglio delle accise sulla benzina e sul petrolio, oltre che dalla riduzione del prezzo delle tariffe regolate di gas e metano.
Al netto, infatti, dei prodotti energetici, l’inflazione “core” è passata dall’1,9% al 2,5%, un aumento di quasi il 30% in un solo mese. Siamo ad una percentuale senz’altro più “gestibile” rispetto all’inflazione comprendente anche le materie energetiche, ma che denota comunque una tendenza pericolosa, che rischia di rendere sempre più vicina e concreta l’azione della BCE per bloccare una spirale che sembra non voler fermarsi.
Non va certo meglio alla Russia, dove l’inflazione quest’anno, secondo le previsione della Governatrice della Banca Centrale, Elvira Nabiullina, dovrebbe posizionarsi tra il 18 e il 23%, mentre per l’anno prossimo le attese sono in un range tra il 10 e il 12%. PIL in “caduta libera”, con stime tra il – 8 e il – 10%. Se a questi numeri da “brivido” dovesse aggiungersi un “default”, per quanto “tecnico”, le conseguenze sarebbero ancor più gravi e pesanti: e eventuali nuove e ancor più massicce sanzioni non farebbero che travolgere definitivamente l’economia del Paese.
Dopo la pesante caduta di venerdì, con il Nasdaq arrivato a perdere il 4,47%, una delle cadute più gravi degli ultimi 2 anni, trascinato da giganti quali Amazone ed Apple, la prima settimana di maggio riparte con molti mercati chiusi per festività. E’ il caso di Great China e Hong Kong, con le borse di Shanghai, Shenzen, Hong Kong e Taipei chiuse per festività.
Tra le poche aperte, positiva Tokyo, che si appresta a chiudere in rialzo dello 0,22%.
Materie prime contrastate: in rialzo il gas naturale, che si porta a $ 7,455 (+ 2,91%), mentre apre debole il petrolio, con il WTI che scende dell’1% ($ 103,76). Ancora debole l’oro, che scivola dell’1,41% ($ 1.886).
Spread a 182 bp, con il BTP sempre in area 2,70%.
Questa mattina debole anche il treasury, con il rendimento che sale al 2,93%.
€/$ sempre debole, con il “biglietto verde” che rischia di “rompere” la resistenza dell’1,05 (1,0519).
Bitcoin a $ 39.126 (+ 2,64%).
Ps: secondo l’Eurostat, l’Agenzia Statistica Europea, 4 regioni italiane si collocano, a livello UE, tra 5 regioni con i peggiori livelli occupazionali (periodo osservato 2021, popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni). La media UE è pari ad un’occupazione al 68%, mentre le 4 regioni hanno dati ben peggiori: Sicilia al 41,1%, Campania 41,3%, Calabria 42%, Puglia 46,7%. La quinta? Guyana francese…(parlare di UE rimane difficile, per quanto faccia giuridicamente parte della Francia).