Direttore: Alessandro Plateroti

Inizia oggi, con il giuramento a Camere riunite, il nuovo settennato (?) del Presidente Mattarella.

Draghi, invece, si trova a gestire una situazione ancora movimentata, paragonabile a quella successiva ad una forte scossa di terremoto a cui seguono scosse di assestamento. Il Consiglio dei Ministri di ieri, riunito per discutere i progressi sul PNRR e deliberare nuovi allentamenti alle restrizioni sanitarie, ha confermato una situazione piuttosto complessa, in cui le forze politiche che sostengono l’esecutivo si trovano su posizioni non allineate. Il che, evidentemente, non agevola il ruolo del Presidente del Consiglio, chiamato a rassicurare la business community e la UE in merito al percorso verso il risanamento dei conti e il rilancio economico intrapreso dal  nostro Paese.

Fiducia che, almeno per il momento, continua a venirci confermata.

Si spiega, tanto per fare un esempio, in questo modo il grande successo ottenuto ieri dal Tesoro con il collocamento (riservato alla clientela Istituzionale) del nuovo BTP (durata 11 anni, con scadenza maggio 2033) legato all’inflazione europea (BTp€i). A fronte di un’offerta di € 5MD sono infatti arrivate richieste per oltre € 19 MD, di cui oltre il 47% ad operatori stranieri. Il rendimento minimo offerto è pari allo 0,1% annuo, suddiviso in 2 cedole semestrale, a cui va aggiunta l’inflazione europea (con esclusione del tabacco). L’ottimo esito dell’operazione (la più grande su titoli di questa categoria dal 2005) è dovuto, evidentemente, a più fattori. Come detto, senza dubbio il buon momento, in termini di credibilità, che sta attraversando il  nostro Paese a “trazione” Mattarella-Draghi. In secondo luogo, l’Italia, per quanto i tassi sul debito pubblico siano scesi, è, tra i Paesi europei, quello che offre i rendimenti maggiori. Ieri il BTP decennale offriva un rendimento pari a circa l’1,42%, ai massimi dal 2019, con uno spread a 138 bp. E poi, fondamentale, le aspettative sull’inflazione europea. In un momento in cui l’Europa (e l’Italia) si trovano con un livello di crescita dei prezzi ai massimi da 26 anni a questa parte, è ovvio che, per quanto si pensi (e si speri) che si torni a livelli più contenuti e meno pericolosi (ricordiamo che l’inflazione target (il limite per non fare scattare le nuove politiche restrittive) stabilita dalla BCE è pari al 2%.

I dati pubblicati ieri confermano, per il nostro Paese, un’inflazione al 4,8%, in netto rialzo verso il 3,9% fatto registrare a dicembre (inflazione area € al 5,1% contro il 5% di dicembre). Senza la componente energetica ed alimentare, il livello scenderebbe all’1,5%, mentre, togliendo solo l’energia, si assesterebbe all’1,8%. Se le cose rimanessero “cristallizzate” (vale a dire i prezzi non subissero più variazioni), per l’anno in corso l’inflazione italiana sarebbe pari al 3,4% (un anno fa eravamo al – 0,1%). Certo siamo lontanissimi dal + 21,2% toccato tra il 1980 e il 1985, o dal 10% della seconda metà degli anni 70, ma comunque ci troviamo di fronte a livelli enormemente più alti rispetto a pochi mesi fa. Anche le motivazioni sono ben diverse (pe il momento siamo parlando di un’inflazione da offerta più che da domanda – vale a dire le cause sono dettate più da fattori legati alle difficoltà di far “giungere” a destinazione i prodotti energetici e le materie prime che dalla “domanda” di beni di consumo da parte dei consumatori), ma il rischio è che ci sia una sorta di “contagio”, e quindi si arrivi ad aumenti di salari e stipendi, che aiuterebbero a trasformare ancor di più l’inflazione da temporanea a continuativa (che poi è quello che sta avvenendo negli USA).

Ieri nuova giornata positiva per i mercati statunitensi. In serata, però, è arrivata la “doccia fredda” di Meta (ex Facebook), i cui dati non sono piaciuti agli analisti. La società ha comunicato un utile netto, per il 4° trimestre 21, di $ 10,29MD, pari a $ 3,67 per azione vso i $ 3,85 attesi, con un aumento dei ricavi del 20%. Numeri non sufficienti, evidentemente, per gli operatori: nel dopo borsa il titolo ha perso il 22%, trascinando al ribasso altre società come Twitter, Snap e la stessa Google, peraltro artefice, nella giornata di ieri, di un rialzo dell’8%.

Sempre chiusa la great China, questa mattina Tokyo scende di circa l’1%. Deboli, anche se con percentuali inferiori, anche le altre piazze del Far East.

Futures al momento negativi, con il Nasdaq visto in calo del 2%, mentre il Dow Jones e l’Europa sono appena negativi.

Petrolio in leggera discesa, con il WTI a $ 87,92 (- 0,5%).

Dopo il balzo di ieri, il gas naturale cade del 5%, portandosi a  $ 5.227.

Oro di nuovo sopra i $ 1.800 (1.805), anche se questa mattina cede lo 0,37%.

Spread di nuovo vicino ai 140 bp, con le tensioni all’interno della maggioranza di Governo si fanno immediatamente sentire sulle quotazioni dei nostri titoli pubblici. Rendimento che “tira” verso 1,45%.

Continua il recupero dell’, con la valuta europea che “vede” 1,13 verso $ (€/$ 1.1292).

Bitcoin sempre nella “terra di mezzo” tra i $ 37.000 e i $ 38.000: questa mattina scivola del 3,18% a $ 37.054.

Ps: Spotify, uno dei più grandi “negozi di dischi virtuali”, negli ultimi 3 giorni ha perso oltre $ 2MD di capitalizzazione. Indubbiamente il settore di appartenenza (il settore tecnologico) ci ha abituato a “grandi spallate” (basti pensare a quanto è successo nel mese di gennaio). Ma, nel caso specifico, le cause vanno ricercate anche in altri fattori. Per esempio nel fatto che, solo negli ultimi giorni, artisti del peso di Neil Young, Joni Mitchell, Graham Nash hanno deciso di “abbandonare” la piattaforma per motivi legati non tanto alla musica ma all’informazione. A conferma che piattaforme come Spotify, Netflix, You Tube, Amazon, non sono solo “distributori di contenuti”, ma veri e propri editori. Con quelli che ne consegue in termini di “influenza” verso gli utenti.

Riproduzione riservata © 2024 - EFO

ultimo aggiornamento: 03-02-2022


Supermario e l’anno pre-elettorale

Una presenza indesiderata