Spesso le “prove di forza” nascondono una profonda debolezza.
Le parole di Putin, che ieri ha affermato, in una riunione governativa, di accettare, per le esportazioni delle merci russe (e quindi anche delle materie prime energetiche), unicamente pagamenti in rubli, sembrano un “caso di scuola”. La decisione, infatti, appare come una forzatura nei confronti dell’occidente, “reo” di aver imposto sanzioni che stanno “tramortendo” l’economia russa.
Innanzitutto è del tutto evidente la violazione contrattuale: relativamente alle forniture di gas e petrolio, la componente più importante dell’export russo, tutti i contratti prevedono il pagamento in € o in $. Infatti, se guardiamo al gas, nel 3° trimestre dello scorso anno, il 58% delle vendite era stato pagato in € e il 39% in $. Perché la “richiesta” di Putin abbia valore, occorre che i contratti firmati vengano accettati da entrambe le parti in causa, cosa che, ovviamente, non è possibile.
E’ assolutamente evidente che la mossa del Presidente ha 2 principali obiettivi: aggirare le sanzioni imposte e difendere il rublo, che dall’inizio del conflitto ha perso oltre il 30% del proprio valore (ma era arrivato, nei confronti del $ e dell’€, anche a dimezzare il proprio potere di acquisto). Se gli importatori dovessero pagare in valuta locale, sarebbero costretti ad andare sul mercato valutario a comprarla, in totale contraddizione rispetto a quanto imposto dalle sanzioni (anche la Banca Centrale russa ne è destinataria, non potendo di conseguenza approvvigionarsi di valute forti). La legge della domanda e dell’offerta farebbe il resto, permettendo al rublo di risalire la china. Ieri ne abbiamo avuto una prima prova, con una rivalutazione contro $ di quasi il 9%.
L’altra conseguenza che si è notata, come prevedibile, è l’impennata dei prezzi, soprattutto del gas: una reazione, peraltro, che al momento sembra più che altro emotiva, dovuta alla preoccupazione che la decisione sia un primo passo verso il blocco delle esportazioni verso l’Europa (ricordiamo che i Paesi UE dipendono dal gas russo per il 40% del proprio fabbisogno). Appare molto difficile che aziende come Gazprom “chiudano” i rubinetti: al di là della loro stessa sopravvivenza, verrebbe messa in discussione la tenuta del sistema finanziario del Paese. Come noto, già oggi, dopo l’avvio delle sanzioni, la recessione è un dato di fatto, con qualche analista che si è spinto a prevedere una caduta del PIL tra il 10 e il 15%. Peraltro, già alcune certezze sono sotto gli occhi di tutti: i tassi sono passati in un colpo solo dal 9,75 al 20%, per cercare di limitare i danni derivanti dalle sanzioni, circa 500 aziende straniere hanno abbandonato il Paese (il caso forse più clamoroso è la chiusura, da parte di Mc Donald’s, dei propri 850 ristoranti).
Quelle delle forniture è forse l’argomento più delicato, e che “separa” gli USA dall’Europa, con i primi che vorrebbero (cosa che loro hanno già fatto) un embargo totale anche da parte della UE, incontrando la fortissima resistenza di alcuni stati membri (in primis la Germania). E possiamo essere certi che il tema sarà forse l’argomento più importante negli incontri che inizieranno oggi con l’arrivo di Biden in Europa. Ma come la Russia non può fare a meno del proprio export (che assicura tra i 700 e gli 800 ML $ di incassi giornalieri), così la UE non può rinunciare alle forniture per mandare avanti l’economia e riscaldare le nostre abitazioni.
Ecco quindi, per tornare all’affermazione iniziale, che le parole di Putin sanno quasi di “chiacchiere e distintivo”, per citare una delle battute più famose della storia del cinema (Gli intoccabili, di Brian De Palma). Quasi un tentativo per irretire i propri avversari più che dimostrare la volontà di attuare ciò che sembra molto difficile.
Un nervosismo, quello di Putin, che forse nasce anche da alcuni segnali che confermerebbero che il “fronte” dei sostenitori sta iniziando a perdere pezzi: sembra infatti che Anatoly Chubais, uno degli artefici del piano di privatizzazioni iniziato negli anni 90 con Eltsin, si sia rifugiato a Istanbul, già destinazione, in queste settimane, di molti cittadini sovietici “non allineati” con le scelte del loro Presidente. E pare chela stessa Governatrice della Banca Centrale, Elvira Nabiullina, avesse già rassegnato le proprie dimissioni e sia stata “convinta” da Putin in persona.
La giornata di ieri è stata, comunque, influenzata dalle dichiarazioni di Putin, con gli indici USA che hanno chiuso deboli e i prezzi dell’energia che hanno ripreso a salire (petrolio + 5%, gas megawattora + 17%). Borse asiatiche questa mattina “in scia”: Shanghai – 0,6%, Hong Kong – 0,77%, mentre si difende Tokyo, con il Nikkei in leggero rialzo (+ 0,25%).
Futures ovunque moderatamente positivi, più sostenuti, al momento, in Europa.
Ritraccia leggermente il petrolio, con il WTI a $ 114,5. – 0,37%.
Gas naturale $ 5,177, – 1,05%.
Sale l’oro, che tocca i $ 1.943 per oncia (+ 0,24%).
Spread a 151 bp, con il BTP sempre intorno al 2%.
Scende leggermente invece il rendimento del treasury, che fa segnare + 2,33% dal precedente 2,41%.
Bitcoin appena sopra i $ 43.000 (+ 2.10%).
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: parliamo, ancora una volta, di eccellenza italiana. Ieri Prysmian, “erede” di Pirelli Cavi e più grande produttore al mondo di cavi ad alta tensione, nonché tra le maggiore società nel settore della fibra ottica, ha varato la Leonardo da Vinci, la più grande nave al mondo per la posa di cavi ad altissime profondità. La sua prima “missione” sarà la stesura di oltre 700 km di elettrodotto sottomarino tra la Danimarca e il Regno Unito.
Un po’ di sano orgoglio italiano non guasta.