Si apre una settimana piuttosto importante per le sorti dei mercati.
Dopo la rovinosa caduta di venerdì, con tutti i principali indici in profondo rosso (il peggiore il nostro MIB, con – 5.07%), questa mattina le borse asiatiche si adeguano, con cadute intorno al – 3% (a parte Shanghai, che lascia sul terreno “solo”, al momento, l’1.35%).
Settimana importante, si diceva, in quanto si riuniranno in sequenza la FED americana, la Banck of Englando e la Bank of Japan.
Per quanto riguarda la prima, si da per scontato il rialzo di 0,50%,ma, vista la fiammata dei prezzi all’8,6%, il più alto livello dal 1981 ad oggi, c’è chi non esclude che si possa arrivare anche allo 0,75%. Uno scenario, se fosse così, non previsto, che confermerebbe la drammaticità della spirale dei prezzi.
La giornata di oggi assume ancora più significato in quanto lo S&P 500, il principale indice mondiale, che venerdì a chiuso a 3.900 punti, se oggi dovesse scendere sotto i 3.837 punti entrerebbe in quella che gli analisti definiscono “bear market”, che definisce perdite oltre il 20%.
L’altro grande tema, che viaggia di pari passo all’andamento degli indici mondiali, è quello degli spread. Aspetto che assume ancora maggior importanza per il nostro Paese, che paga il prezzo salatissimo di avere un debito pubblico oltre il 150% del PIL.
La giornata di venerdì è stata emblematica (ma rischia di esserlo anche quella di oggi), con il nostro spread che ha toccato i 234 bp, con un rendimento del BTP che ha toccato circa il 3,80%: per trovare un rendimento simile bisogna tornare al 2018, nel pieno della tempesta politica italiana, con un Governo molto discusso dall’Europa.
Lo spread non è “accademia”: si calcola, infatti, che le aste tenute dal Tesoro quest’anno abbiano avuto un costo medio dello 0,71%, che è 7 volte il costo medio che abbiamo avuto nel 2021. A fine 2021 il costo medio della spesa interessi era del 2,35%: quello che “ci salva” è la durata media del nostro debito, che ha una vita residua di circa 7 anni, cosa che rende più “sostenibile” il livello di tasso, che è più che direttamente proporzionale alla durata.
Peraltro, quanto è successo venerdì (e, in parte, si sta verificando oggi) è l’ennesima conferma di quanto sia importante la comunicazione. Lo spartiacque, sotto certi aspetti, è stato il Whatever it takes di Draghi del 2012: lì si è capito quanto la chiarezza della comunicazione, oltre che l’autorevolezza di chi espone, possa indirizzare i mercati. Quello che è mancato completamente alla Lagarde giovedì: non essere riuscita, al di là della scontata decisione sui tassi (aggravata, peraltro, dall’incertezza di non essere in grado di definire il successivo rialzo, dando la sensazione di essere in “balia” delle previsioni: previsioni che, da 6 mesi a questa parte almeno, mai si sono rivelate così “fallaci”, inducendo Banche Centrali e autorità finanziarie e governative a rivederle continuamente al ribasso), a dare un’idea di come, se e quando, la Banca Centrale sarà in grado di assicurare uno scudo che eviti un’eccessiva “frammentazione” degli spread (ovvero fare in modo che alcuni Paesi, quelli che una volta era definiti Piigs – Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, oggi togliamo pure l’Irlanda, ma gli altri rimangono i più esposti alla speculazione, i tassi non subiscano delle impennate che renderebbe molto più alto il prezzo da pagare).
Come detto, la settimana parte in salita, con l’Asia che chiude non bene bene, anche se non ai minimi di giornata.
Futures Usa piuttosto deboli, intorno a – 2%.
Sorte analoga per i mercati europei, con tutti gli indici in rosso: MIB intorno a – 2% questi minuti, un po’ meglio il Dax tedesco, – 1,30%.
Scivola il petrolio, con il WTI a $ 118.18 (- 2,16%).
Gas naturale $ 8,519, – 3,92%.
Tiene l’oro, a $ 1.861.
Spread a 240 bp, con il BTP a 3,80%.
Treasury a 3.04%.
La mancanza di chiarezza da parte della BCE spinge ancora il $, che questa mattina si porta a 1.048 vs €.
Crollano le criptovalute: questa mattina troviamo il Bitcoin a $ 25.125, livello più basso dal 2020.
Ps: ieri è morto Claudio Ghezzi, persona sconosciuta alla maggior parte di noi. Claudio Ghezzi, 69 anni, abitava a Lecco ed era noto come “Claudio la Grigna”. Soprannome dovuto al fatto che aveva scalato per ben 5.600 volte appunto la Grigna, la montagna che sovrasta Lecco. Il suo obiettivo era arrivare a 6.000 scalate, un record che non potrà toccare: il destino ha voluto che ieri precipitasse dalla “sua” montagna mentre cercava di soccorrere una alpinista in difficoltà.