Che arte meravigliosa e, spesso, incomprensibile la politica.
L’anno che sta per chiudersi è stato il più “elettorale” di sempre, con oltre 50 elezioni nel mondo, che hanno coinvolto 76 Paesi e oltre 2 MD di persone.
In molti casi l’esito, come sappiamo, è destinato a cambiare, forse anche profondamente, gli equilibri globali: basti pensare all’elezione “per eccellenza”, che il 5 novembre ha consacrato Trump e portato il Partito Repubblicano a controllare i 2 rami del Congresso. Se il suo insediamento è fissato per il 20 gennaio, giorno in cui presterà giuramento, ieri si è insediata la nuova Commissione Europea, con Ursula von der Leyen al suo secondo mandato (peraltro ottenendo una maggioranza alquanto faticosa).
Il fatto se vogliamo paradossale è la sensazione che il Governo europeo sia quasi un “fastidio” e ci riguardi (non solo noi italiani va detto) da lontano: come se fosse un’imposizione caduta dall’alto, di cui faremmo volentieri a meno, se non altro per i vincoli (e le regole) che impone (infatti, non a caso, l’affluenza alle urne è mediamente più bassa rispetto a quella, già bassa, delle elezioni politiche, per non parlare di quelle amministrative, per le quali è sufficiente ricordare quanto avvenuto neanche 2 settimane fa, con una regione tradizionalmente attenta alla politica come l’Emilia Romagna con appena il 46% che è andato a votare. Ma il discorso sul “diritto/dovere” di esprimere il proprio parere politico è ben più ampio e complesso, e non riguarda, evidentemente, sono le elezioni per il Governo dell’Europa).
Il “quotidiano” ci da un quadro un po’ diverso. Ne abbiamo conferma guardando a quanto sta succedendo nei 3 Paesi con il “peso” maggiore in Europa.
La Germania sta vivendo, probabilmente, al più grave crisi economica e politica dal dopo guerra; mai come in questo periodo si è fatta sentire la mancanza di una leadership autorevole, con il risultato che la crescita da un paio di anni si è fermata (complice la guerra in Ucraina, che “pesa” sul tessuto economico del Paese più di quanto faccia verso altri), l’alleanza di Governo è saltata e a febbraio si andrà a votare.
In Francia il Governo presieduto da Michel Barnier, in carica da neanche 3 mesi (5 settembre), sembra già giunto al capolinea. Anche in quel Paese “stanno volando gli stracci” (mal comune non è, in questo caso, mezzo gaudio….) intorno alla discussione sulla nuova Legge Finanziaria: c’è da dire che la Costituzione francese permette (art. 49.3) il varo della Legge di Bilancio senza passare dal voto parlamentare. Ma questo sarebbe uno “sgarbo” istituzionale piuttosto grave, che provocherebbe una “levata di scudi” potente, al punto di unire destra e sinistra (verrebbe da dire “estrema” destra ed “estrema” sinistra, visto il “manicheismo” di quelle forze politiche). E infatti lo spread, come sempre l’indicatore forse più immediato e di semplice lettura, tra Oat (i governativi francesi) e Bund è arrivato a circa 90 bp, il massimo dal 2012.
Per quanto ci riguarda, invece, si può dire “nulla di nuovo”: ancora una volta siamo alle “baruffe chiozzotte” di goldoniana memoria, con gli alleati di Governo (e la nostra non è una maggioranza “semaforo” come quella tedesca, appartenendo, le forze che la compongono, alla stessa parte politica) che si “azzuffano” sul Canone Rai (il Canone Rai…), il cui peso impatto sulla manovra vale circa € 430 ML (la spesa pubblica italiana vale, nel suo complesso, € 886 MD circa…).
In poche parole, nei 3 Paesi che dovrebbero essere il “punto di riferimento” dell’Europa si continua a litigare: in uno si andrà a votare tra pochi mesi, nel secondo l’equilibrio è appeso ad un filo, nel terzo i litigi, nonostante una maggioranza forte (evidentemente solo da un punto di vista numerico), sono ogni giorno più intensi e clamorosi, per cui anche da noi inizia ad esserci qualche segnale di una tenuta che si fa sempre più precaria.
Il tutto mentre dall’altra parte dell’oceano “qualcuno” ha già fatto capire che farà di tutto per puntare sull’indebolimento dell’Europa, giocando sulla “bilateralità” dei rapporti con i singoli Governi a discapito dell’Europa (il rapporto di forza, evidentemente, è ben diverso).
La fine dell’anno si avvicina e con lei, ovviamente, l’inizio del nuovo anno. E’ tempo, quindi, di iniziare a pensare agli scenari che contraddistingueranno l’anno che sta per arrivare. Che non potranno prescindere dalle considerazioni anche di tipo geopolitco: e mai come in questa fase, probabilmente, analisti ed osservatori avranno modo di “sbizzarrirsi” e immaginare prospettive forse anche “dirompenti” (non dimentichiamoci, in sottofondo, ma neanche troppo, una Cina che deve uscire da una crisi che comincia a farsi pesante, con una crescita in continuo rallentamento, una crisi medio-orientale non semplice da risolvere, per non parlare di un’inflazione che qualche preoccupazione ancora è destinata a suscitarla).
Chiusure negative ieri sera a Wall Street, con tutti gli indici in calo (Dow Jones – 0,31%, S&P 500 – 0,38%, Nasdaq – 0,85%).
Questa mattina le borse asiatiche si muovono in maniera contrastata.
Positivo, a Tokyo, il Nikkei, a + 0,56%.
In calo, invece, sia Shanghai (- 0,43%) che, a Hong Kong, l’Hang Seng (- 1,30%).
Sulla parità il Kospi di Seul: le autorità monetarie coreane, anticipando i tempi, si stanno muovendo per “mettere in sicurezza”, almeno in parte, l’economia del Paese verso i rischi dell’arrivo dei dazi promessi da Trump.
Debole, a Taiwan, il Taiex, in calo dello 0,16%.
Futures in leggero rialzo di qua e di là dell’Oceano (Eurostoxx + 0,55%, S&P 500 + 0,10%).
Petrolio che lima il prezzo, con il WTI a $ 68,60 (- 0,28%).
Gas naturale Usa $ 3,227 (+ 0,53%).
Oro $ 2.662, – 0,19%.
Spread a 124,9.
BTp al 3,41%.
Bund 2,15%.
Oggi mercato obbligazionario Usa è chiuso per festività anticipata del Thanksgiving.
€/$ 1,0536, con l’€ in leggero rafforzamento sulle voci che la BCE potrebbe rivedere la decisione, fino a pochi giorni fa piuttosto scontata, di ridurre ulteriormente i tassi.
Bitcoin a $ 95.755.
Ps: si sa che i “nuovi poveri” sono sempre più in aumento anche in Italia. Ne abbiamo la conferma da un numero che, nella sua essenzialità, dice molto di più di tante statistiche: nel 2024 quasi mezzo milioni di cittadini (463.176, ad essere precisi) non si sono potuti permettere le cure o l’acquisto di farmaci di fascia C (quelli a pagamento). E ben 4.422.000 famiglie hanno cercato, sempre per motivi economici, di limitare la spesa medica. Primum vivere deinde philosofhari: il rischio, per qualcuno, è addirittura, rinunciare a vivere…