Anche il mese di ottobre scivola via.
E non a caso, come ormai abitudine, l’ultimo giorno del mese è la data in cui veniamo inondati dalle statistiche e dai dati (a maggior ragione quando coincide con l’ultimo giorno del trimestre): ogni cosa, che si tratti di consumi delle famiglie o di investimenti societari, di occupazione o di ore lavorate, di inflazione o di aumenti salariali, di indici di borsa o di rendimenti obbligazionari, di PIL o di conti aziendali, viene messa sotto la lente di ingrandimento degli analisti e delle società di rating (soprattutto queste ultime, come ricordato ieri dallo stesso Presidente Mattarella nel suo discorso durante la cerimonia per la nomina dei nuovi Cavalieri della Repubblica), in grado, con i loro giudizi, di “incanalare” le scelte degli investitori e indirizzare, di conseguenza, i mercati.
Scopriamo, così, che le cose, per il nostro Paese, almeno per quel che riguarda la crescita non sono poi così brillanti come ci si poteva aspettare. Torniamo, nei fatti, a fare “l’Italia”, cioè il Paese che, in Europa, fa fatica a tenere il passo delle altre economie: il terzo trimestre si è chiuso con una crescita “zero”, lasciando quindi le cose invariate, vale a dire ad un modesto + 0,4% in termini di crescita “acquisita” per l’anno in corso. Un dato che rende non solo praticamente impossibile raggiungere il “target” dell’1% fissato dal Governo (e su cui erano stati “costruiti” i conti), ma che ci allontana anche da quel + 0,8% emerso dopo le ultime revisioni.
A determinare lo stop il vero e proprio crollo del manufatturiero e, in parte, dell’agricoltura: a “tenere in piedi” i conti, grazie anche alla stagionalità, sono stati i servizi, con in testa turismo e ricettività.
Il tutto mentre il “resto d’Europa” è tornato a fare meglio di noi (solo Lettonia e Ungheria hanno ottenuto risultati peggiori). Vero è che si tratta di dati relativi ad un trimestre, ma non sarebbe sbagliato tener conto del “campanello d’allarme”. Anche perché nel frattempo Francia e, soprattutto, Germania, le 2 economie ritenute più in crisi, seppur si trovino in una situazione politica alquanto precaria, hanno dato segnali di ripresa piuttosto evidenti e, ancor di più, sorprendenti: la Francia chiudendo il trimestre a + 0,4%, la Germania con un + 0,2% che ha allontanato definitivamente lo “spauracchio” della recessione tecnica, un vero e proprio affronto per un Paese da sempre abituato a “tirare il gruppo” (tra l’altro proprio nel giorno in cui la Volkswagen ha confermato il crollo degli utili e il quasi certo taglio del 10% degli stipendi, riuscendo però ad evitare la chiusura di almeno 3 stabilimenti nel Paese). Mentre sembra fare “gara a sé” la Spagna, il più “americano” (con riferimento alla salute dell’economia) degli Stati europei, con un ritmo di crescita che dovrebbe portarla a chiudere l’anno a + 3,4%.
Ecco, quindi, che l’Europa cresce più del nostro Paese (+ 0,9%: se non tenessimo conto dell’Italia la crescita, però, salirebbe all’1,1%).
Un “ritmo” che ci allontana ancor di più dagli Stati Uniti, che dovrebbero chiudere vicino al + 3% (+ 2,8%): da quelle parti il soft landing, evidentemente, non sanno cosa sia. La cosa che più colpisce, peraltro, è il rimbalzo dei consumi, con la spesa delle famiglie americane aumentata del 3,7%, a conferma di forte ritorno della fiducia dei consumatori statunitensi. Fiducia che trova, probabilmente, ulteriore conferma dal dato in arrivo, relativo al mese di ottobre, a riguardo delle nuoce “buste paga”, che sembra siano cresciute di oltre 233.000 unità, il dato più alto dal luglio 2023.
Il “poker” crescita economica, inflazione in calo, forte mercato del lavoro, fiducia dei consumatori è un fattore che dovrebbe essere un vantaggio per la parte democratica e, quindi, la vittoria di Kamal Harris nel voto di martedì.
Ma, paradossalmente, come ricordato pochi giorni fa, i sondaggi ci dicono una cosa diverse, assegnando a Trump maggiori possibilità di vittoria (per quanto la candidata sia in leggero vantaggio: ma sappiamo che, negli USA spesso non è sufficiente avere il maggior numero di voti – nel 2016 Hillary Clinton superò Trump di oltre 3 ML di preferenze: ciò che conta è avere la maggioranza dei Grandi Elettori (538).
Prende fiato la borsa americana: ieri sera, a Wall Street, tutti i principali indici hanno chiuso in territorio negativo, con il Dow Jones a – 0,22%, Nasdaq – 0,79%, S&P 500 – 0,33%.
Dopo 3 sedute positive consecutive, anche il Nikkei di Tokyo “tira i remi in barca”, preparandosi a chiudere intorno al – 0,50%.
Positiva Shanghai (+ 0,41%), mentre a Hong Kong l’Hang Seng viaggia attorno alla parità.
In rialzo, a Seul, il Kospi (+ 0,6%), mentre a Mumbai il Sensex ha aperto a – 0,5%.
Futures negativi su entrambe le sponde dell’oceano: più marcato il calo a Wall Street, penalizzata dalla caduta, nel dopo borsa, di Meta e Microsoft, entrambe in arretramento del 3% sulle prospettive di un calo degli utili futuri per via dei grandi investimenti nell’Intelligenza artificiale.
Petrolio che continua nel suo lento recupero dopo la caduta del 6% di lunedì: questa mattina WTI a $ 68,87, + 0,28%.
Gas naturale Usa $ 2,812, – 1,37%.
Oro che, dopo aver toccato “terreni inesploati” (oltre $ 2.800), questa mattina arretra dello 0,35% ($ 2.793).
Spread a 125 bp.
Continua la risalita dei rendimenti del BTP, tornato sopra il 3,60% (3,63).
Bund 2,38%.
Stabili i treasuries (4,27%).
€ sempre in recupero sul $ (1,0855).
Bitcoin a $ 73.220.
Ps: l’Islanda non è certo, almeno per quanto riguarda l’economia (ma non solo per l’economia), un benchmark. Però, forse appunto per questo, può essere un “laboratorio” da cui gli altri Paesi più forti possono prendere spunto. L’isola del nord Europa (circa 400.000 abitanti) già tra il 2020 e il 2022 ha introdotto, appunto a causa del Covid, la “settimana corta” come norma: 4 giorni di lavoro (o, in alternativa, sempre 5 giorni, ma con un numero di ore lavorate quotidianamente inferiore), mantenendo invariato lo stipendio. Uno schema che, all’epoca, aveva visto l’adesione del 51% degli interessati. Dopo la crescita “boom” del 2021 e del 2022 (rispettivamente + 5,3% e + 9%), anche il 2023 ha visto numeri record (+ 5%), con un tasso di disoccupazione intorno al 3,4%, il più basso d’Europa. Certo, parliamo, sostanzialmente, di una popolazione equivalente a quello di un medio capoluogo di provincia italiano, ma resta il fatto che, pur diminuendo le ore lavorate, l’economia cresce. Ma a scuola non ci avevano insegnato cose diverse….?