In astronomia, si definisce cono d’ombra la regione dello spazio in cui un ipotetico osservatore vede un corpo bloccare completamente la luce dell’altro: l’esempio più classico è l’eclissi solare, quando il disco del sole viene completamente oscurato dal disco della luna.
Analogamente, potremmo dire che oramai i mercati sono entrati nel cono d’ombra delle elezioni americane. Come noto, mancano appena 13 giorni al fatidico 5 novembre, il giorno in cui i cittadini americani saranno chiamati a decidere non solo il loro destino, ma probabilmente, visto il ruolo degli USA a livello globale, ad incidereanche su quello di molte altre persone. Se già in tempi normali Wall Street, per rimanere in ambito astronomico, è un po’ la “stella polare”, ancor di più lo è in questo particolare momento.
Mano a mano che la scadenza si avvicina, con sempre maggior attenzione si guarda alle possibili conseguenze dell’esito elettorale e al loro impatto sull’economia americana, che, a sua volta, può indirizzarne molte altre.
Al di là delle “follie propagandische” di Trump (l’ultima, in ordine di tempo, riguarda Hitler e i suoi generali: a suo dire vorrebbe, nel suo staff, persone fedeli come lo erano i generali del 3° Reich, dimostrando, peraltro, una conoscenza della storia abbastanza approssimativa), è indubbio che le due ricette economiche siano piuttosto diverse (fermo restando che buona parte della disputa elettorale si gioca su altri fattori, quali la sicurezza interna, che passa nella lotta ai flussi migratori irregolari – un “must” per l’ex Presidente, e la politica estera). Infatti, il terreno più strettamente economico-finanziario insubbiamente rischia di essere quello più “scivoloso” per “The Donald”, in considerazione del più che buono stato dell’economia americana, che viaggia, incurante delle “turbolenze” che attraversano altri Paesi (a partire dalla Cina per arrivare alla Germania e, quindi, all’Europa), a ritmi di crescita sostenuta, con una disoccupazione vicina ai minimi e un’inflazione che, seppur non troppo velocemente come in Europa, da segnali di rallentamento, e il cui merito va ascritto all’attuale amministrazione democratica.
Ancora una volta la battaglia si gioca sul debito pubblico. Forse perché, in fondo, la regola, più o meno, è sempre la stessa: in questo modo si sposta il problema a “dopo”, dove il “dopo” significa “passare la palla” alle classi politiche che seguiranno (ma non solo a loro, quanto soprattutto alle generazioni future). Fermo restando che sia nel caso di vittoria democratica che di vittoria repubblicana il debito USA è destinato a crescere (già oggi si aggira intorno al 122% del PIL, avendo superato la “modica” cifra di $ 35.000 MD, con un spesa per interessi proiettata verso i $ 1.000 MD all’anno, superiore a qualsiasi altra, anche a quella per la difesa, l’altro grande “divoratore” si soldi pubblici, anche quelle vicino al trilione di $), è scontato che con il tycoon l’aumento sarebbe ben più sostanzioso, poggiando, il suo piano economico, su un abbattimento delle tasse per i ceti più agiati e una “deregulation” generalizzata, infarcita da interventi statali. Accompagnato, il tutto, dall’introduzione di dazi, soprattutto verso i prodotti cinesi, che potrebbero arrivare al 60%.
Ecco, quindi, che con il “count down”, si fanno strada le preoccupazioni di molti analisti e osservatori. Motivo per cui qualcuno inizia a tirare i “remi in barca”, in attesa di capire cosa potrebbe succedere (anche perché si arriva da una fase di mercati che hanno realizzato performance più che positive, per cui è comprensibile, da parte di qualcuno, il desiderio di “portare a casa” i margini realizzati). Va detto, peraltro, che, come la storia ci insegna, le elezioni americane possono provocare un aumento della volatilità nel breve termine, mentre influiscono in maniera pressochè irrilevante sul quadro economico più generale. In altre parole, i mercati sono più forti (risalienti, per usa un termine molto in voga) delle elezioni. Quello che, invece, potrebbe determinare una volatilità più o meno lunga è il caso in cui non ci fosse un “vincitore” evidente, con il risultato messo in discussione, con una paralisi dell’amministrazione e battaglie per il riconteggio dei voti (già si prevede che l’esito definitivo non sarà così immediato, fatto salva l’ipotesi di una vittoria netta e inequivocabile da parte di uno dei 2 contendenti tale da rendere ininfluenti i voti giunti per posta, dati, peraltro, in forte aumento rispetto agli anni precedenti – già oggi avrebbero superato i 21 ML – piuttosto che i dubbi su qualcuno degli swing States, quegli Stati, cioè, in cui è statisticamente provato che le differenze, storicamente, sono minime, nell’ordine di qualche migliaio di voti, ma che possono, incredibilmente, determinare la vittoria di una o dell’altro).
Ieri Wall Street ha vissuto, appunto, una giornata “nell’ombra”, con i vari indici tutti preceduti dal segno meno.
Il Dow Jones ha chiuso le contrattazioni a – 0,96%, il Nasdaq a – 1,55% (ma ad un certo punto delle contrattazioni era ben oltre il – 2%), S&P 500 – 0,92%.
Questa mattina, nel Far East, il Nikkei si appresta a chiudere in leggero rialzo (+ 0,24%).
Diverso il clima che si respira per gli indici “Great China”: Shanghai lascia sul terreno lo 0,82%, mentre, a Hong Kong, l’Hang Seng perde l’1,13%.
Kospi Seul – 0,61%.
Performance identica per il Taiex di Taiwan.
I risultati, comunicati ieri sera a mercati chiusi, di Tesla (utile salito del 17%, con una previsione di consegne in aumento) ha rasserenato il clima,
I futures, infatti, questa mattina segnalano rialzi sulle 2 sponde dell’oceano (siamo nell’ordine del + 0,55%).
Petrolio che sembra aver trovato un po’ di stabilità, con il WTI a $ 71,60, + 1,07%.
Gas naturale Usa a $ 2,40, + 2,31%.
Torna a salire l’oro (+ 0,49%, $ 2.745), dopo la battuta d’arresto di ieri.
Anche lo spread ha ripreso il suo trend, portandosi a 120 bp dai 123 bp precedenti.
BTP al 3,53%, anch’essi in leggera discesa.
Bund 2,33%.
Prendono fiato anche i Treasuries, al 4,21%, dal 4,24% della chiusura di ieri sera.
€/$ a 1,0787, con il $ sempre in ottima salute.
Bitcoin a $ 67.465, a conferma che la giornata si preannuncia più “soleggiata” di quanto non sia stata quella di ieri.
Ps: in questi giorni si parla, con una certa insistenza, dell’invio, da parte della Corea del Nord, di truppe a combattere a fianco dell’esercito russo in Ucraina. La Corea del Nord, come noto, è uno dei Paesi più poveri al mondo, schiacciata da un regime durissimo, guidato dal Kim Jong-un, che, per quanto abbia solo 42 anni, è al potere dal 2011. Lo Stato asiatico ha circa 25 ML di abitanti, ma ben 1,3 ML di militari (uomini e donne). La leva obbligatoria dura qualcosa come 10 anni per i maschi e 7 anni per le donne, ma può arrivare a 13 anni per le truppe speciali. A cui si devono aggiungere circa 7 ML di riservisti. Ma, probabilmente, almeno in questo modo i cittadini si assicurano una vita meno priva di stenti, come succede a buona parte della popolazione. In compenso, però, ha un arsenale atomico, si presume, di almeno 50 testate.