Quante volte, nelle nostre conversazioni quotidiane, si sente ripetere “nulla è casuale”.
Affermazione che potrebbe lasciare intendere la presenza di un “disegno superiore”, relegando il libero arbitrio ad un ruolo, se non secondario, meno determinante.
Ieri le autorità cinesi hanno deciso che gli importatori di superalcolici (nella fattispecie brandy e cognac) dalla UE dovranno effettuare un deposito che può arrivare sino al 39% del prezzo. Va precisato che il valore complessivo dell’import cinesi di questa tipologia di alcolici è stato, per il 2023, pari a circa $ 1,8 MD: per fare un confronto, l’import di auto dalla UE è stato di circa € 20 MD (e quindi circa $ 22 MD al cambio corrente).
Ma, appunto, nulla è casuale.
Scopriamo, così, che il provvedimento ha, di fatto, un unico destinatario: la Francia. Si pensi, infatti, che il 99% delle importazioni di brandy e cognac arrivano dal quel Paese (infatti non parliamo mica di whisky….). In assoluto, come detto, non si parla di cifre così importanti, ma per alcuni “players” del settore la misura rischia di essere apocalittica, rappresentando l’export cinese quasi il 60% del fatturato. Ma perché Pechino ha messo nel mirino proprio la Francia?
Nei giorni scorsi, a Bruxelles, si sono riuniti i 27 Stati membri per concordare alcune decisioni in ambito economico comunitario. All’ordine del giorno, tra le altre cose, l’introduzione di nuove tariffe sull’import di veicoli elettrici dalla Cina, con aumenti, dall’attuale 10%, sino al 45%, imitando, quindi, gli USA, che nei mesi scorsi hanno introdotto tariffe aggiuntive sino al 100% (con un piccolo dettaglio però: che l’import di auto elettriche cinesi, in quella parte del mondo, è praticamente nullo, misurandosi in poche migliaia di autoveicoli su un parco auto tra i più estesi al mondo). Se la Germania si è astenuta (l’industria automobilistica tedesca, come noto, è probabilmente quella che sta maggiormente soffrendo la crisi del settore a livello globale, con un crollo produttivo di centinaia di migliaia di mezzi: solo l’export verso la Cina vale, per le case automobilistiche del Paese, circa il 30% dell’intera produzione), cercando di “tendere una mano” a Xi Jinping (sperando di essere in qualche modo contraccambiata), non così la Francia, ritenuta da Pechino come la “capofila” di coloro che sono favorevoli all’introduzione dei dazi.
Nulla, peraltro, è ancora deciso, vista la posta in gioco. Quello di Pechino, quindi, sembra quasi un “segnale ai naviganti”: intanto andiamo a colpire un settore “di nicchia” (per la Francia comunque non tanto…: non a caso ieri molti titoli del settore – alcuni controllati dalle grandi “maison” del lusso, come LVMH – hanno avuto ricadute pesanti, per es Remy Cointreau – 6%, Pernod Ricard – 3,7%, etc), riservandoci interventi ben più “invasivi” in settori ben più strategici. Quale, appunto, quello dell’auto: infatti sono allo studio dazi sull’import di auto europee di grossa cilindrata con motori termici: una misura che rischia di “affossare” ulteriormente un settore già in crisi.
Nulla, al momento, è ancora deciso. Certo, però, che se “guerra deve essere”, meglio (per la Cina) scegliere il “terreno” in cui si dovrà svolgere la battaglia: e quello dell’automotive è, probabilmente, quello a maggior impatto. Anche perché è quello in cui la Cina sta più puntando: se l’import di auto europee vale, come detto, circa € 20 MD, l’export verso la UE non arriva alla metà (circa € 9,7 MD). Un divario ancora molto ampio, che è destinato, se il processo di trasformazione tra combustione ed elettrico dovesse proseguire (anche se qua e là si intravvedono avvisaglie di un rallentamento, vuoi per gli elevati costi di produzione, ma anche per costi gestione ben superiori a quelli dei motori tradizionali), a colmarsi, visto il peso della produzione elettrica cinese.
Ieri la riapertura dei mercati cinesi dopo la Golden Week non è stato certamente omogeneo.
I rialzi, infatti, di Shenzen e Shanghai, infatti, sono da imputarsi essenzialmente ad un “riequilibrio” delle quotazioni: a fronte del circa + 4% delle piazze cinesi ha fatto da contraltare la caduta del 9%, a Hong Kong, dell’Hang Seng. La più pesante dal 2008: uno scivolone dovuto al fatto che le attese di nuovi provvedimenti, da parte delle autorità cinesi, che potessero sostenere i mercati non hanno avuto riscontro, dando motivo agli operatori di alleggerire la componente azionaria.
Questa notte, viceversa, a fronte dello storno di Shanghai (- 4,96%), l’Hang Seng si mantiene intorno alla parità, anche se in questi minuti da segnali di un leggero indebolimento.
Positivo, a Tokyo, il Nikkei, che sale dello 0,7%, sulla scia delle chiusure positive di ieri sera a Wall Street (Nasdaq + 1,55%, Dow Jones + 0,30%, S&P 500 + 0,97%).
A Taiwan Taiex + 1,45%.
Sensex Mumbai + 0,2%.
Futures al momento deboli a New York, sulla parità in Europa.
Ieri ulteriore calo del petrolio, con il WTI che si è portato sotto i $ 74; questa mattina, invece, in leggera risalita (+ 0,29%, $ 73,85).
Gas naturale Usa 2,709, – 0,99%.
Oro che si allontana dai record ($ 2.634, – 0,12%).
Spread a 130,1 bp.
Mercato obbligazionario che ha ritrovato stabilità, dopo le vendite di lunedì: questa mattina il BTP apre al 3,56%.
Bund 2,26%.
Treasury Usa ancora sopra il 4% (4,028).
Da segnalare che questa notte la Banca Centrale Neozelandese ha tagliato i tassi di riferimento dello 0,50%.
€/$ a 1,0968.
Bitcoin poco mosso, a $ 62.650.
Ps: uno degli obiettivo del Ministero della Cultura è di renderla “fruibile” se non proprio a tutti almeno al maggior numero di persone (anche se vengono sempre alla mente le parole di un Ministro – non della Cultura, ma dell’Economia – che qualche anno fa disse che “con la cultura non si mangia”).
“Di fronte a questo cambiamento di paradigma la quarta rivoluzione epocale della storia delineante una ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa impugnando una ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro. Inteso come minaccia”. Alessandro Giuli (nuovo Ministro della Cultura) dixit.
Ecco, appunto: da oggi ne abbiamo conferma.