Bassa produttività, scarsa propensione agli investimenti, situazione demografica, evasione elevata, forbice tra nord e sud che non accenna a diminuire, difficoltà ad attuare riforme, apparato burocratico paralizzante, distanza tra scuola e mondo delle imprese. Questi alcuni dei problemi che non permettono al nostro Paese di fare il “salto di qualità” e di crescere al pari dei nostri competitors. Basti pensare, per esempio, che, per quanto riguarda la produttività, dal 1980 ad oggi abbiamo perso 45 punti rispetto alla Germania, 35 vso gli USA, 34 sulla Francia. Per non parlare del reddito: se, sempre nel 1980, quello di un cittadino americano era superiore del 58% rispetto al nostro, ora siamo a + 116%. In Germania era pari al + 7%, ora siamo a + 26%. Nel nostro Paese il reddito reale degli individui è rimasto sui livelli dei primi anni 90: un gap che, anno dopo anno, continua ad aumentare, allontanandoci sempre di più dai Paesi che “contano”.
Ma, come ben sappiamo, il “vero” problema dell’Italia si chiama debito pubblico, un macigno che oramai pesa circa € 3.000 MD, che “inghiotte” (anno 2023) circa € 80 MD per spesa di interessi, con proiezioni che portano a toccare i 100 MD nel 2026. Se guardiamo ai numeri assoluti, altri Paesi, sostanzialmente, si trovano in una situazione simile: Germania e Francia, per es, messe insieme hanno un debito circa doppio di quello italiano (fermo restando un rapporto debito/PIL ben inferiore), ma con una spesa per interessi appena superiore a quella dell’Italia (84 MD circa). Il motivo va sostanzialmente ricercato nel fatto che il nostro rapporto debito/PIL è tra i peggiori d’Europa (Unione Europea): ci batte, infatti, solo la Grecia, che è al 161%.
In termini di rating, secondo Moody’s siamo al 24° posto (su 27), a pari merito (forse sarebbe il caso di dire “demerito”) con la Romania, e davanti solo 2 Paese (Grecia e Cipro), con un rating Baa3.
Secondo Standard & Poor’s (rating BBB) siamo al 22°, in compagnia di Bulgaria e Ungheria, e davanti a Romania, Grecia e Cipro.
Stessa posizione anche per Fitch (BBB), sullo stesso livello di Bulgaria, Ungheria e Cipro e davanti a Romania e Grecia.
Appare quindi, in maniera piuttosto evidente, che il dato che viene maggiormente osservato non è tanto l’ammontare assoluto del debito, quanto la capacità di mantenere il rapporto con la crescita (PIL) a livelli ritenuti accettabili (parlare di rientro del debito è un azzardo, non solo per noi ma un po’ per tutti i Paesi, non solo UE: non a caso il debito governativo, a livello globale, è in continua crescita). In sostanza non è tanto un debito che cresce, quanto, piuttosto, la mancanza di una crescita adeguata, il denominatore che può far abbassare il rapporto.
Ne abbiamo conferma leggendo il Piano strutturale di bilancio in corso di predisposizione da parte del Ministero del Tesoro: il PIL reale dovrebbe chiudere l’anno in corso con un + 1%, per salire all’1,2% l’anno prossimo, scendere all’a,1% nel 2026, poi 0,8%, 0,7%, 0,6% fino al 2029. E il debito/PIL? 135,8% quest’anno, 137,1% l’anno prossimo, 138,3% per il 2026, 138% 2027, 137% 2028, 135,3% 2029.
Certo, come si suol dire “le previsioni si fanno per poi essere smentite”, ma qualcosa di vero lo contengono: con questi ritmi pensare che il nostro rating possa migliorare e , con lui, un consistente ribasso dello spread appare opera quasi “ciclopica”: ma è il percorso obbligato se volgiamo portarci a livello non parliamo della Germania, ma almeno di Spagna e Portogallo, il cui spread viaggia rispettivamente intorno ai 79 bp e 57 bp. E quindi anche della Francia, le cui incertezze politiche e finanziarie hanno fatto salire il divario con il bund tedesco a 80, sopra le due economie iberiche.
La cosa che stupisce (e che dovrebbe un elemento di riflessione per chi ha in mano le “redini” del nostro Paese) è che, nonostante tutte le problematiche di cui sopra, continuiamo ad essere tra le prime 8 economie al mondo:pensiamo dove potremmo essere se non dovessimo accantonare circa il 4/4.5% del PIL per pagare interessi (e con le pensioni che oramai raggiungono una cifra pari a circa il 16/17% del PIL, con prospettive di ulteriori innalzamenti).
Inizio settimana (o ultimo giorno del mese) memorabile per la borsa di Shanghai, che sale, in questi minuti, di oltre l’8,3%, massimo rialzo da 9 anni a questa parte,, che porta il rialzo mensile, se dovesse chiudere su questi livelli, al + 18%.
Molto bene anche, a Hong Kong, l’indice Hang Seng, in rialzo del 3,8%.
Male, invece, a Tokyo, il Nikkei, che scivola di quasi 5 punti (- 4,96%) sulla notizia che Shigeru Ishiba ha vinto la corsa per la leadership del partito di Governo, mentre gli investitori avevano “puntato” su Sanae Takaichi, favorevole ad una politica monetaria espansiva, mentre Ishiba non aveva espresso alcun pensiero in merito.
Contrastati gli altri mercati asiatici: bene l’Australia (Sidney + 0,8%), meno bene il Kospi di Seul (- 1%) e Mumbai (- 0,7%).
Futures in leggera contrazione negli USA, intorno alla parità in Europa.
Leggero recupero per il petrolio, con il WTI che si porta vicino ai $ 70 (69,04), + 1,14%.
Gas naturale Usa $ 2,892, – 0,55%.
Oro sempre in prossimità dei massimi, a $ 2.680 (- 0,63%).
Spread a 132,8 bp.
BTP a 3,46%.
Bund 2,14%.
Treasury poco mossi.
€/$ sempre intorno a 1,116.
Leggero calo per il bitcoin, che tratta appena sotto i $ 65.000 (64.935).
Ps: il tema demografia è sempre di maggior attualità, visti i risvolti sociali. Al di là dell’innalzamento dell’età media della popolazione, l’altro aspetto, ben più grave, è la diminuzione dei giovani.
Negli ultimi 10 anni, in Italia, la popolazione studentesca è scesa di 800.000 unità. Ciò significa che hanno chiuso 900 scuole e le classi di sono ridotte di oltre 6.000. In compenso il corpo docente è salito di 170.000 unità. Peraltro gli insegnanti, nel nostro Paese, sono pagati molto meno rispetto ad altri: per es, lo stipendio medio, alle superiori, in Italia è pari a € 50.734 contro i 92.874 dell’Olanda o i 77.071 della Francia.