Non più tardi di 5 anni fa (luglio 2019) Donald Trump sosteneva che “il valore del Bitcoin e delle altre criptovalute è basato sul nulla”.
Si era anche allora nel pieno della campagna elettorale che porta alle Presidenziali. Ma, evidentemente, quell’asset non aveva raggiunto la notorietà e, soprattutto, le dimensioni attuali, che lo portano ad essere uno dei principali al mondo.
Oggi il l’ex Presidente ha completamente cambiato idea, arrivando a paragonare “l’industria” delle criptovalute (e più in particolare quella del bitcoin) alla “rivoluzione industriale” provocata dall’acciaio. Peraltro, a quanto pare, in buona compagnia, se è vero che anche Larry Fink, l’ormai “leggendario” CEO di BlackRock, da grande “nemico” delle criptovalute ne è diventato un convinto sostenitore.
Difficile pensare che “the Donald”, come nel più classico dei casi, abbia avuto “folgorazione sulla via per Damasco”…Molto più probabile che i suoi esperti di comunicazione e chi cura la sua campagna elettorale abbiano “annusato” che la principale tra le criptovalute (ma un po’ tutto quel settore) negli ultimi anni sia diventato uno strumento “per cercar fortuna” piuttosto diffuso tra i cittadini americani. Uno studio commissionato da Coinbase, una delle principali piattaformeoperative, ha confermato che sono almeno 67 milioni (quindi circa il 20% della popolazione) i cittadini americani che, in un modo o nell’altro, hanno investito nelle criptovalute. Una percentuale che val bene, evidentemente, un “endorsement”, se non una “chiamata alle armi”. A dire il vero, peraltro, anche dalla parte democratica arrivano segnali di grande apertura verso il settore, con Kamala Harris che sta cercando anche lei di “occupare il territorio”, ammiccando a diverse società operanti nel settore.
Indubbiamente per i “puristi” dell’economia e della finanza il mondo dele criptovalute rimane un pianeta in cui i rischi superano di gran lunga le opportunità. Non si può altresì negare che la sua diffusione oggi lo porti ad essere veramente uno degli asset più ricercati e diffusi: per molti ormai esiste una correlazione abbastanza stretta con l’oro e anche, a dire il vero, con alcuni indici di borsa, primo tra tutti il Nasdaq. Di certo chi ricercasse delle “fondamenta” economiche rimarrebbe deluso, non essendoci alcuna relazione con “l’economia reale” (anzi, forse una, e neanche troppo positiva, esiste: è unanimemente certificato che quella delle cripto è una della attività più energivore al mondo, oltre ad essere una delle più inquinanti). Rimane il tema “scarsità”, essendo già previsto che tra circa 120 anni non saranno più emessi nuovi bitcoin (quello che si chiama halving, vale a dire il progressivo – ogni 4 anni – dimezzamento della sua produzione: l’ultimo è stato il 20 aprile, con “l’estrazione” giornaliera passata da 900 a 450). E si sa come la “scarsità” generalmente provochi un aumento del valore di un bene (il caso forse più eclatante è quello dell’oro, un altro bene sempre più scarso e, tra qualche anno, difficile da reperire).
Al di là delle considerazioni macro-economiche, sono bastate poche parole da parte del tycoon americano per “infiammare” le quotazioni del bitcoin, che, nella giornata di ieri, sono balzate oltre i $ 70.000 (anche se questa mattina sono scese sotto i $ 68.000). Rimane difficile che gli Usa possano, almeno nel breve periodo, pensare di considerare la criptovaluta come una “valuta strategica” e quindi una valuta riconosciuta: un conto se si parla di El Salvador (il Paese centro-americano ha “adottato” il bitcoin come valuta nel 2021, permettendo di avviare transazioni ed effettuare pagamenti, dalla rata di mutuo a beni materiali, usando la criptovaluta), un altro della prima economia al mondo, in cui la regolamentazione e la trasparenza dei mercati è uno dei capisaldi (non per niente la SEC, l’organismo che sovrintende e controlla il mercato finanziario USA è temutissima).
Fatto sta che oggi gli USA si ritrovano ad avere, frutto degli interventi dell’autorità giudiziaria e non per volontà di quella monetaria, qualcosa come 210.000 bitcoin, che, ai valori attuali, vogliono dire circa $ 14 MD. Poca roba se confrontata alle riserve aurifere detenute dalla FED (circa $ 600MD), ma pur sempre una cifra importante: e dire, come ha fatto, Trump nel suo intervento a Nashville che, nel caso fosse eletto Presidente, non ne venderebbe neanche uno ha dato nuova benzina agli acquisti.
Con un prodigioso recupero nel finale di seduta (ormai manca poco alla chiusura) l’indice Nikkei di Tokyo si porta, seppur di poco, sopra la parità (+ 0,14%).
Rimangono invece in territorio negativo le borse cinesi, con Shanghai a – 0,78% e Hong Kong (indice Hang Seng) – 1,50%.
Deboli anche Seul e Sidney, mentre a Mumbay il Sensex ha aperto in leggero rialzo.
Questa mattina i futures si muovono intorno alla parità di qua e di là dell’Oceano.
Giornata difficile, quella di ieri, per il petrolio, con il WTI sceso a $ 75,43, in arretramento anche oggi (– 0,59%).
Gas naturale Usa che rimane “aggrappato” ai 2$ (2,059, + 0,93%).
Oro che “valica” nuovamente i $ 2.400 (2.410, + 0,26% questa mattina).
Spread a 134,4 bp.
BTP 3,70%, – 5 bp.
Bund 2,35%.
Treasury 4,17%.
In rafforzamento il $, scambiato a 1,0822 vso €.
Continua, questa mattina, la discesa del bitcoin, che passa di mano, in questi minuti, a $ 66.597.
Ps: il Reddito di Cittadinanza è stata, negli ultimi anni, una delle norme più discusse e “divisive”. Un “destino” che sembra non volerlo abbandonare. Ieri, infatti, la Corte di Giustizia della UE ha emanato una sentenza che dichiara “illegittima” la norma che prevede che la sua assegnazione venga concessa a coloro che risultano residenti nel nostro Paese da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 continuativi. Il rischio, quindi, è che molti di coloro che hanno visto le loro domande respinte possano far ricorso: nell’ipotesi più negativa l’INPS si troverebbe “condannata” a sostenere un esborso di € 3,1 MD.