La scena politica oggi non può che essere monopolizzata dalle elezioni francesi, il cui risultato ha quasi del clamoroso, contraddicendo decisamente quanto i sondaggi lasciavano prevedere.
Il “patto di desistenza” voluto da Macron e Mélenchon non solo ha allontanato la destra dalla maggioranza assoluta, ma ha contribuito probabilmente a relegarlo, inaspettatamente, al 3° posto, sopravanzato anche da Ensemble, il partito che fa riferimento al Presidente Macron, che era dato in profonda crisi.
Se, sotto alcuni aspetti, il quadro che si preannuncia si può definire una vittoria di Macron (a molti la decisione di annunciare elezioni anticipate era parso un azzardo), che ha allontanato quello che era ritenuto il rischio maggiore (per la Francia e per l’Europa), vale a dire una schiacciante vittoria della “destra-destra”, dall’altra la vittoria della sinistra radicale, data certamente in aumento ma non al punto di essere il primo partito, potrebbe aprire un nuovo “fronte”, rendendo difficile formare un nuovo governo. Da subito sia il Presidente che il leader della sinistra hanno detto che qualsiasi possibilità di accordo è da escludersi: e in effetti, se ci fermiamo ad analizzare il programma di politica economica, le distanze sono abissali, con i conti francesi, laddove al governo salisse la sinistra in versione “radicale”, che desterebbero ben più di una preoccupazione, evocando i 45 giorni più disastrosi che la Gran Bretagna ricordi sotto il mandato di Liz Truss, la premier inglese costretta a rassegnare le dimissioni per la “rivolta” dei mercati (cosa che, essendo la Francia la seconda economia UE, sarebbe per l’Europa ben più grave).
La prima reazione dei mercati, anche loro certamente “colti di sorpresa”, potrebbe essere moderatamente positiva: il maggior rischio che “annusavano” non era tanto sui conti francesi (per quanto il “populismo” fosse l’arma più affilata del “Ressemblement”, quanto su un possibile “allontanamento dall’Europa della Francia, cosa che avrebbe potuto causare una sorta di effetto “emulazione”. Una boccata d’ossigeno, quindi, salutare.
Passata “la festa”, però, potrebbe arrivare la presa di coscienza delle difficoltà nella formazione di una “squadra” degna di questo nome: un percorso che si preannuncia non semplice e che potrebbe richiedere tempi lunghi, per arriva, comunque, ad un risultato politicamente modesto. Aspetto, questo, che farebbe (o potrebbe) emergere le preoccupazioni, con i mercati che potrebbero diventare, almeno per quanto riguarda l’Europa, più “guardinghi”.
A livello globale, invece, rimane sullo sfondo il “problema americano”, con Biden sempre più solo: se ad abbandonarlo fossero i “grandi finanziatori” (le elezioni americani richiedono investimenti enormi, anche superiori al miliardo di $), a quel punto la sua “solitudine” sarebbe definitiva e “totale”, e il suo passo indietro non più una eventualità ma una certezza. Un dilemma che per i democratici diventa ogni giorno più urgente da risolvere: i sondaggi già li vedono rincorrere, dando i repubblicani in testa, e ogni giorno che passa rischia di rendere la distanza incolmabile, rendendo la vittoria per la Casa Bianca un autentico miraggio.
Sullo sfondo rimangono, peraltro, i temi squisitamente economico-finanziari: al netto delle elezioni francesi e di quelle britanniche (queste si che si prestano ad una lettura chiarissima e semplicissima: i britannici hanno voglia di cambiare), il mercato del lavoro Usa sembra iniziare a dare qualche segnale di rallentamento, con la disoccupazione che si è portata al 4,1%, contro attese ferme al 4, e con le paghe orarie in diminuzione rispetto a maggio (dal + 0,4% al + 0,3%). E se il mercato del lavoro perde colpi, si fa più probabile l’intervento della FED, che ormai da quasi un anno è “silente”, con i tassi fermi al 5,25/5,50%. Non a caso le probabilità di un aumento di un taglio a settembre sono aumentate dal 66% al 75% tra gli analisti.
La settimana si apre con i mercati del Pacifico in ripiegamento: se il Nikkei naviga sulla parità, Shanghai arretra dello 0,51%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong estende la perdita sino all’1,72%.
Sale, invece, l’indice di Taiwan, grazie al rialzo di TSMC.
Sulla parità il Kospi di Seul, mentre l’India ha aperto appena debole.
In moderato ribasso i futures su tutte le piazze, con cali tra lo 0,20 e lo 0,50%.
In ribasso il petrolio, con il WTI in calo dello 0,94% a $ 83.18.
Più netto il calo del gas naturale Usa, a $ 2,332, – 3,72%.
La presunta instabilità politica francese è senza dubbio uno dei motivi che questa mattina spingono le quotazioni dell’oro, ad un passo dai $ 2.400 (2.398, + 1,13%).
Spread a 139,6 bp, con il BTP al 3,93%.
Bund al 2,55%.
OAT francese che riparte dal 3,21%.
Treasury Usa al 4,29%.
€/$ a 1,0824, sostanzialmente stabile.
Sempre debole il bitcoin, in leggero ribasso anche questa mattina ($ 55.472, – 0,68%).
Ps: se c’è una cosa che ha reso il ciclismo unico è la sua “umanità”. Oltre ad essere forse oggi l’unico sport veramente “pop” (è forse l’unico, tra i grandi eventi sportivi, per la cui visione “in diretta” non si paga), è anche uno sport in cui emerge la fatica “vera”. E con lei anche la gioia “vera”. Che, appunto in quanto espressione popolare, a volte può sfuggire dagli “schemi” imposti dalle federazioni. Quello che è successo venerdì scorso al Tour de France, quando Julien Bernard, corridore francese, durante la crono, si è fermato per dare un bacio alla moglie e al figlio, che erano lungo il percorso. Comportamento ritenuto “sconveniente ed inappropriato, con danno dell’immagine dello sport” da parte dell’UCI (Unione Ciclistica Internazionale). Ma la felicità non ha prezzo.