Il 4 luglio, per gli USA, non è un giorno qualunque. Si celebra oggi il 248° anniversario (era il 1776) dell’indipendenza, grazie alla vittoria delle 13 colonie americane che, sotto la guida di George Washington (che, nel 1789, divenne il 1° Presidente Usa), si erano ribellate alla dominazione britannica.
E’ probabile, però, che oggi qualcuno, dalle parti di Washington, festeggerà in maniera un po’ dimessa. Si fanno, infatti, sempre più insistenti le voci sul ritiro di Biden dalla corsa elettorale. Non solo il New York Times, per quanto nuovamente smentito dallo staff presidenziale, riferisce che sarebbe stato lo stesso Presidente, in un colloquio riservato, a comunicare ad un suo amico la sua scelta. Ma pare che lo stesso Obama, che ben conosce l’attuale Presidente, avendolo voluto come vice durante il suo mandato, inizi a nutrire più di un dubbio sulla capacità del suo vecchio alleato di riuscire a tener testa a Trump. Che, nel frattempo, almeno nei sondaggi ha spiccato il volo, diventando sempre più il favorito.
Comunque vada lo “sfoglio” della “margherita Biden”, per il partito democratico non si prospettano momenti semplici: se l’anziano “commander in chief” non facesse un passo indietro la sconfitta sarebbe praticamente una certezza. Ma anche laddove optasse per il “pensionamento” le prospettive non sarebbero molto rassicuranti. Nei precedenti casi in cui ex vice-presidenti, diventati successivamente gli “inquilini” della Casa Bianca, hanno deciso di dimettersi (vd Nixon) o di ritirare la propria candidatura (vd Johnson), chi è stato chiamato a sostituirli è uscito perdente dallo scontro elettorale.
A distanza, quindi, di 4 mesi (e 1 giorno) dal 5 novembre, il dado sembra tratto. L’unica che potrebbe stravolgere la situazione, capovolgendo lo scenario politico, potrebbe essere Michelle Obama, secondo i sondaggi l’unica che potrebbe battere Trump, sebbene non abbia mai svolto attività politica in prima persona (e abbia più volte chiaramente affermato che non ha nessuna intenzione di iniziare a farla).
Anche il 4 luglio a Londra e in tutta la Gran Bretagna non sarà un giorno qualsiasi: proprio in questi minuti (le 7.00 ora locale) si apriranno i seggi per il rinnovo del Parlamento. Mai esito elettorale, probabilmente, è stato mai così scontato, con i Laburisti che “doppiano”, nei sondaggi, i rivali conservatori (40% vso 20%): un risultato che, in considerazione delle legge elettorale britannica, porterebbe il partito del candidato Premier Keir Starmer ad avere circa 450 seggi su 650, con il rischio per l’attuale Primo Ministro Sunak di perdere anche il proprio seggio, con il possibile ritiro dalla vita politica (si parla insistentemente di un ritorno di Boris Johnson) e il ritorno alla precedente attività di banchiere negli Usa.
Rimane la Francia, la “responsabile” della volatilità dei mercati delle ultime settimane. Volatilità che, in realtà, sembra, negli ultimi giorni, tornata “nei ranghi”, dopo la mossa di Macron (ma anche di Mélenchon, a capo del partito di sinistra radicale France Insoumise) di spingere verso la desistenza. Passo che, stando ai sondaggi, allontana non di poco la destra di Marine Le Pen dalla maggioranza assoluta (fissata a 289 seggi), fermandosi tra i 190 e i 220 seggi. Non volendo, Macron, allearsi con il partito di sinistra (il cui programma di politica economica è oggettivamente insostenibile) diventa sempre più probabile che si faccia largo l’ipotesi di un governo tecnico, un “artificio politico” nuovo per quel Paese.
I mercati, peraltro, iniziano a pensare che questo sia, per Parigi (ma anche per l’Europa), il “male minore”. Ieri, infatti, hanno dato prova di un rafforzamento diffuso, sia in termini di quotazioni azionarie che di riduzione degli spread (forse l’indicatore più importante riferito alla “stabilità politica”). Un andamento che si dovrebbe ripetere, per quanto con percentuali inferiori, nella giornata odierna, con i futures europei in leggero rialzo (quelli USA sono leggermente negativi: da notare che i futures trattano comunque pur essendo, oggi, i mercati USA chiusi per l’”Indipendence day”).
Intanto ieri hanno festeggiato in anticipo il 4 luglio, facendo segnare l’ennesimo record, con lo S&P 500 a + 0,5% e il Nasdaq a + 0,9% (appena negativo, – 0,1%, il Dow Jones).
Questa mattina nuovo rialzo per il Nikkei di Tokyo (+ 0,87%) e l’Hang Seng di Hong Kong (+ 0,12%).
Nuova discesa, almeno per il momento, per Shanghai (- 0,47%).
Sale l’India (nuovo record anche per Mumbai); chiusure positive per Taiwan e Seul, rispettivamente a + 1% e + 0,7%.
Debole questa mattina il petrolio, con il WTI a $ 83.36 (- 0,76%).
Gas naturale Usa a $ 2.435 (+ 0,58%).
Oro a $ 2.366, – 0,21%.
Spread in ulteriore forte recupero, a 135 bp (era a 152 soltanto venerdì scorso).
BTP sotto la soglia psicologica del 4% (3,98), dal 4,04% del giorno precedente.
Bund 2,58%.
Oat a 3,24%, con spread in discesa a 66bp.
Treasury a 4,35%.
€/$ 1,0789.
Altra giornata difficile per il Bitcoin, sceso ben sotto i $ 60.000 (58.840, – 2,17% questa mattina).
Ps: tutti ci siamo accorti che, da qualche settimana, i tappi di plastica non sono più staccabili dalla bottiglia. E’, infatti, diventata operativa una direttiva europea (la 904 del 2019) che impone che i tappi, oltre ad aver subito una riduzione di peso del 20% (sfido qualcuno ad essersene accorto….), rimangano, con un anello di plastica, attaccati alla bottiglia, impedendone la dispersione. Il tutto, ovviamente, in ordine alla “transizione ecologica” (si calcola che, solo in Italia, si consumino circa 8 miliardi di bottigliette di plastica). La cosa che, ancora una volta, colpisce è che anche questa vicenda sia diventata oggetto di “tenzone politica”: conoscevamo la “guerra dei bottoni”, ma non quella “dei tappi” (nessun riferimento a chi la conduce).